Al direttore - Nei suoi giusti attacchi al
politicamente corretto ecclesiastico – che in
genere condivido – stavolta si è spinto forse
un po’ troppo in là, facendo di tutta l’erba
un fascio, soprattutto mettendo nello stesso
calderone monsignor Fisichella e me insieme
al cardinal Martini e a don Verzè. Certo,
sempre di posizioni cattoliche si tratta, ma
di sicuro molto diverse tra loro. Nel mio caso
lei attribuisce al mio saggio sul concetto
di vita uscito su Vita e pensiero intenzioni
che non c’erano. Riflettendo su un testo di
Ivan Illich, infatti, ho scritto che sarebbe opportuno
mettere in discussione la categoria
di vita, concetto che mi sembra alquanto
astratto e in sostanza di matrice positivista,
che oggi è centrale nel linguaggio pubblico
della Chiesa, ma l’ho fatto non per aderire
ad una concezione astratta e spiritualista,
ma proprio al contrario, cioè per tornare all’idea
concreta e individuale di persona.
“Non sarebbe meglio, invece che di vita in
senso astratto – ho scritto – parlare dei problemi
delle singole creature – siano essi embrioni
o feti, o malati senza speranza di guarigione
– e difenderle; occuparsi della loro
condizione fragile e delle possibilità di intervenire
per proteggerle da tentativi di distruzione?”.
Una posizione, quindi, molto diversa
e ai suoi occhi molto meno progressista di
quella del cardinal Martini o di don Verzé,
bensì attenta ai pericoli a mio avviso impliciti
nell’uso troppo frequente e disinvolto del
termine “vita”. Penso che per un intellettuale
riflettere, ripensare alle posizioni sostenute
in modo autocritico costituisca comunque
un dovere, anche a rischio di eventuali, o
piuttosto supposti, pericoli di eresia. In un
momento in cui la capacità dei cattolici di
farsi capire e di ottenere il consenso sulle
proprie posizioni è così fragile, forse anche
un po’ di autocritica è necessaria per riuscire
a pensare pensieri nuovi.
Lucetta Scaraffia
Ho stima per lei e non sono a caccia di
eretici né ho alcuna autorità magisteriale.
Ma c’è vita, con dignità di persona, anche
dove non c’è direttamente persona
umana. E’ tutto lì, il mio positivismo. Vietato
sezionare embrioni e abortire feti e
uccidere vecchi vivi, anche se in nome di
un’idea di vita eterna, di persona e di
speranza che sono radicate nello spirito
immateriale. Opporre vita e persona è
proprio l’errore “femminista” da cui liberarsi,
specie se si sia dottrinari cattolici
Il Foglio 5 dic. 2009