DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

UN NEO-PEDAGOGISMO NEL MAGMA DEI MEDIA. Dentro il linguaggio del fantasy e del reality

Prima storia. Per via di uno strano incantesimo, la protagonista riceve il dono di poter ascoltare i pensieri che passano nelle menti dei suoi compagni di scuola. Fra le voci della mente colte per frammenti, una, misteriosa, minaccia di morte gli studenti del liceo: i sospetti si appuntano su un ragazzo solitario e apparentemente disturbato, ma questi – si scoprirà – sta coltivando, piuttosto, intenti autolesionistici, che saranno fermati per tempo dalla protagonista.
Seconda storia. Un ragazzo, allievo di una scuola televisiva di spettacolo, viene rimproverato live dalla conduttrice: durante una pausa dalle lezioni, in un luogo apparentemente “privato”, ha confessato ad alcuni compagni tutta la sua avversione nei confronti di un’insegnante, con un linguaggio estremamente colorito. Le sue esternazioni sono state riprese dalle telecamere e ritrasmesse, e ora, chiedendo conto del suo comportamento, gli insegnanti e la conduttrice gli prospettano l’espulsione.
Queste due storie hanno elementi comuni e differenze. Hanno entrambe a che fare con la scuola e con i rapporti che si istaurano fra coloro che la abitano, insegnanti e compagni. Da un lato, il primo racconto è un apologo sulla necessità di comunicare e sul senso di solitudine che attraversa l’adolescenza, quando proprio gli insegnanti e i compagni possono dimostrarsi sordi e indifferenti. Dall’altro lato, la seconda storia sembra voler rappresentare il momento della sanzione che caratterizza la relazione pedagogica. In comune, di nuovo, i due racconti hanno un elemento essenziale: sono racconti mediatici, storie – fra le tante – che attraversano il flusso magmatico e ininterrotto della tv per essere consegnate al proprio target di riferimento privilegiato, i ragazzi. L’una appartiene al genere della scripted tv , della televisione narrativa per eccellenza, fatta di scrittura e di sviluppo drammaturgico, la fiction. L’altra, invece, rientra nel contenitore della unscripted tv, della televisione reality che proclama di non avere una sceneggiatura e di svilupparsi grazie alle azioni e alle reazioni, più o meno impreviste, dei suoi protagonisti.
In un caso come nell’altro siamo di fronte, appunto, a storie. Ed è soprattutto attraverso le storie che i media – la televisione come il cinema – riempiono la “cultura comune” e gli immaginari contemporanei. Più di cinquant’anni di ricerca empirica sui media e suoi loro “effetti” ha mostrato con chiarezza l’inefficacia degli approcci più apocalittici: i media non condizionano i nostri comportamenti. Questo non significa che i media siano ininfluenti. Tutto il contrario, perché il loro lavoro è decisamente più sottile. Il lavoro dei media ha a che fare, appunto, con le storie e i discorsi che sono messi in circolazione, con la visibilità di certe posizioni, preoccupazioni e ansie, con l’attitudine a rinforzare certe percezioni. La televisione ha provato, durante l’aureo periodo dei servizi pubblici europei, a essere pedagogica, e in parte lo è stata, considerate le condizioni sociali nella quale si inseriva: in Italia, per esempio, ha contribuito al processo di unificazione linguistica e culturale. Ma oggi la “pedagogia” televisiva e mediale ha tutt’altre fattezze. Se le istituzioni tradizionali soffrono una crisi d’autorevolezza, i media s’inseriscono come possibili sostituti o surrogati: è dalle storie dei media che si traggono exempla, ha notato Z. Bauman, è da esse che si tirano fuori le risorse simboliche da spendere nella vita di tutti i giorni.
Per tutte queste ragioni, quando si ragiona sull’emergenza educativa e sulla sfida educativa non si può prescindere dal lavorio costante dei media. I media stessi, soprattutto attraverso le loro storie, diventano agenti, spesso inconsapevoli (talvolta anche irresponsabili) di una sorta neo-pedagogismo indiretto, con cui tocca fare i conti. Quel che più bisogna considerare è che quest’azione dei media non ha una direzione chiara e un’intenzionalità precisa: è magmatica e spesso contraddittoria. Negli esempi visti in apertura – selezionati perché riguardano il soggetto privilegiato dell’attuale sfida educativa, i giovani e gli adolescenti – il linguaggio del fantasy nasconde una sottile riflessione sul valore delle relazioni, dell’amicizia, della vicinanza, della solidarietà. Mentre il linguaggio del reality sembra addirittura porre un paradosso etico: come è possibile rimproverare un ragazzo per il cattivo comportamento (la mancanza di rispetto verso gli insegnanti) quando per “rappresentare” questa storia si ricorre a un eclatante ribaltamento del rapporto fra scena e retroscena, con le telecamere che funzionano da occhio onnipresente, suggerendo, tutto sommato, che l’apparenza più che la sostanza (non ci fossero state le telecamere a riprendere…) è la cosa che più conta?
La sfida educativa di oggi ha la necessità di confrontarsi con la cultura che i media contribuiscono a costruire. Il primo, fondamentale passo da compiere è accettare questa sfida con una consapevolezza di fondo: i media “rispecchiano” e insieme “forgiano” la nostra cultura comune, sono l’ambiente nel quale ci muoviamo nella nostra vita quotidiana; lo fanno, soprattutto, attraverso storie e messaggi, che sono spesso contraddittori; e “fuori di loro” c’è bisogno di istituzioni responsabili e capaci (dalla famiglia alla scuola), in grado – tramite il dialogo, l’attenzione critica, anche la consapevolezza dei linguaggi e delle retoriche che i mezzi di comunicazione veicolano – di attivarne le potenzialità positive e di limitarne le derive.
Titoli di coda. La prima storia è tratta dall’episodio Earshot del teen-drama (una fiction che rappresenta ed è destinata a un pubblico di adolescenti) Buffy. La seconda storia è tratta dall’edizione 2007-8 del reality Amici.

Massimo Scaglioni