Se volete comprendere l’attualità, lasciate perdere i giornalisti. Gli articoli dell stampa, questo esercizio audace e un po’ presuntuoso di logica e stile, sono carta da macero, tutt’al più “dati” destinati a perdersi in qualche archivio nei meandri di internet. Se volete capire come va il mondo, al di là del racconto dei fatti, affidatevi alla letteratura. Preferibilmente non agli scrittori del momento, che alle derive giornalistiche, per dirla con Gide, sono fin troppo esposti. Se volete cogliere lo spirito dei tempi, provate a leggere i “classici”. Per svelarsi l’attualità non ha bisogno di uno specchio, ma di un metro di paragone: e allora scorrete gli scaffali della vostra biblioteca e rispolverate i classici.
Hemingway, ad esempio. “Il vecchio e il mare”: un inno poderoso alla natura e allo scontro leale tra l’uomo e gli elementi. Scoprireste, disseminati nella prosa inimitabile, perle di saggezza e spunti di riflessione come questo. “Nulla si mostrava sulla superficie dell’acqua tranne qualche chiazza gialla di sargassi sbiaditi al sole e la bolla violetta, stilizzata, iridescente, di una caravella che seguiva da vicino la barca. (…) Galleggiava lietamente come una vescica trascinandosi dietro per un metro i lunghi filamenti violetti immobili nell’acqua. / Agua mala, disse il vecchio. Brutta puttana. / (…) Se qualche filamento si fosse impigliato nella lenza e vi fosse rimasto, limaccioso e violetto, mentre il vecchio stava lavorando su un pesce, gli sarebbero venute sulle braccia e sulle mani vesciche e piaghe (…). Le bolle iridescenti erano belle. Ma erano le cose più false del mare”.
Viene da chiedersi se di questi tempi Hemingway potrebbe scrivere la stessa scena, intrisa di innocenza naturalistica e venature allegoriche; e ambientarla con la stessa precisione nelle acque del Golfo del Messico, mentre i mutamenti climatici alterano la geografia marina e le caravelle (celenterati dei mari tropicali, così detti per la forma a chiglia di nave rovesciata) migrano in acque sconosciute sulla scia del riscaldamento globale.
Sul versante della saggistica, invece, converrebbe ridare un’occhiata al vecchio Tocqueville. Nella “Democrazia in America” scrive: “Se cerco di immaginare il dispotismo moderno vedo una folla smisurata di esseri simili ed eguali che volteggiano su se stessi per procurarsi piccoli e meschini piaceri. Al di sopra di questa folla vedo innalzarsi un immenso potere tutelare che si occupa da solo di assicurare ai sudditi il benessere e di vegliare sulle loro sorti. Tenendoli in un’infanzia perpetua”.
Vi ricorda qualcosa? Omologazione, edonismo, dipendenza mediatica? Per completezza di informazione provate ad aggiungere il punto di vista di Weber – secondo cui il potere carismatico e la deriva plebiscitaria sono una risposta inevitabile, potenzialmente positiva, ai problemi della democrazia rappresentativa – e avrete il nocciolo del dibattito di gran moda sul “cesarismo” e la “postdemocrazia”.
E l’Italia? La povera Italia, l’Italietta, il Paese di Bengodi, la Repubblica delle banane… E’ quella della bolla di sapone descritta da Curzio Maltese o della “svolta” di Rutelli, quella del “futuro della libertà” immaginato da Fini o del “patto che ci lega” ricordato dal presidente Napolitano? Niente di tutto questo, probabilmente. Per scoprire cos’è l’Italia leggete gli aforismi di Flaiano e Longanesi o le pagine più ispirate di Montanelli. Molto più che semplice giornalismo, si tratta di autentica letteratura. Letteratura del costume e della passione civile, commedia umana degna del miglior Balzac. Ne risulterà l’immagine dei un paese che vive alla giornata, senza memoria e responsabilità, un paese che si crogiola beato nei propri difetti e a volte riesce a trasformarli in pregi, che si esalta nella contesa e si unisce nella tragedia, che si nutre inguaribilmente di faziosità e personalismo. Un’immagine nitida e distaccata, che solo un “classico” può dipingere.
Ma se proprio non sopportate le pagine ingiallite e l’odore di muffa, se siete decisamente più modaioli che retrò, non preoccupatevi. Purché obbediate alla moda fino in fondo, senza indugi o compromessi, c’è speranza di capire anche per voi. Gli eroi letterari del 2009, le icone pop consacrate dai bestseller dell’anno appena trascorso, sono pirati e vampiri. Dalla saga di Twilight all’ultimo libro di Michael Crichton (e perfino, in un certo senso, all’osannata trilogia di Stieg Larsson) è tutto un fiorire di nipotini del conte Dracula e ambiziosi epigoni di Long John Silver e Sandokan. Personaggi ambigui, emarginati e maledetti, in cerca di identità, assetati di sangue o di bottino e in definitiva di affermazione personale, ribelli senza regole o contro le regole e talvolta profeti di regole nuove.
Vi sembrano davvero creature fantastiche? Quanto sono estranei, o piuttosto incredibilmente vicini, al mondo che ci circonda? Non è proprio l’ambiguità il tratto caratteristico di questa nostra epoca, sospesa tra cinismo distruttivo e promesse incompiute, prigioniera del “vorrei ma non posso” o, peggio, del “potrei ma non voglio”? Nati come trappole acchiappa-lettori, pirati e vampiri diventano ingegnose, e forse involontarie, metafore dei tempi, simboli disumani di una umanità in crisi. Altro che fantasia: nella tortuga delle guerre invisibili e dei guasti climatici, del precariato e del disagio sociale, della giustizia ingiusta e della politica gridata, nel crepuscolo dell’insicurezza, dell’indecenza, dell’ipocrisia pirati e vampiri siamo un po’ tutti.http://www.loccidentale.it/