La Rete non è stata né causa né strumento della violenza di domenica
Lanciarsi contro Internet perché qualcuno scaglia un souvenir appuntito al presidente del Consiglio appare bizzarro. La Rete non è stata né causa né strumento della violenza di domenica. E’ stato però il teatro delle conseguenze. Brutte. La crudeltà di chi festeggia il dolore altrui. La vigliaccheria di chi sparla e non firma. L’irresponsabilità di chi incita alla violenza — una tragedia che l’Italia ha conosciuto e non ha dimenticato. È arrivato il momento di mettere regole a Internet? Prima di rispondere, è bene che qualcuno si prenda la briga di capire — e poi di spiegare — a cosa le stiamo mettendo. La sensazione è che molti, tra quanti oggi maledicono Facebook e accusano Twitter, non siano mai entrati in un social network, non abbiamo mai inviato un tweet né cliccato il pulsante «pubblica» di un blog.
Vedremo cosa proporrà il ministro Maroni al Consiglio dei ministri, domani. «Misure delicate che riguardano terreni come la libertà di espressione sul Web e quella di manifestazione», ha anticipato. Speriamo non sia una norma inapplicabile come l’abolizione dell’anonimato (non ci sono riusciti i cinesi, che di censura se ne intendono); e neppure un decreto contro generici «siti estremisti». Cosa vuol dire, infatti, «estremista»? A giudicare dal dibattito (?) alla Camera di ieri, infatti, molti deputati definirebbero così l’homepage dei colleghi che non la pensano come loro. Non c’è bisogno, forse, di norme nuove. Ingiurie, minacce, apologia di reato, istigazione e delinquere: nel codice penale ci sono già, come ha scritto ieri Stella sul Corriere , e dovrebbero bastare. A meno di considerare la Rete come uno stadio virtuale: una zona franca dove comandano gli ultras, e tutto è lecito.
Per anni abbiamo difeso Internet distinguendo tra il mezzo e il messaggio (se qualcuno ci offende al telefono, non diamo la colpa al telefono; se qualcuno delira su Internet, perché prendersela con Internet?). Oggi — bisogna ammetterlo — le cose sono cambiate. Le interazioni del web 2.0 (blog, forum, chat, Wikipedia, YouTube, Facebook, Myspace, Twitter, eBay...) hanno creato un mondo. Internet non è più, come negli anni 90, un binario su cui viaggiano insieme il bene e il male (la solidarietà e la pedofilia, l’amicizia e la xenofobia). Luca Sofri lo ha spiegato ieri su wittgenstein. it : «Quando il mezzo ha una potenza quantitativa straordinaria, questa si riverbera sulla qualità delle cose e determina cambiamenti. Limitarsi a definirlo 'neutro' non è sufficiente».
Ci sono, poi, alcune caratteristiche italiane. Internet raccoglie giovani umori anti-berlusconiani che, in tv, non arriveranno mai; e sui giornali non hanno più (o ancora) voglia di arrivare. Alcuni legittimi e articolati; altri aggressivi e sgangherati. Ma è curioso notare come umori simili appaiano nei siti d’informazione, nei blog e nei social networks internazionali. I commenti, dopo l’aggressione di piazza Duomo, sono divisi quanto in Italia, se non peggio. Conduco Italians da 11 anni, conosco gli umori che girano nella Rete. So che esiste un cuore oscuro di Internet, ma ho imparato ad apprezzarne l’anima chiara e pulita. La Rete è il luogo dove qualcuno strilla «Ecce (d)uomo!», credendo d’essere spiritoso; ma dove Sabina Guzzanti, che spiritosa è davvero, ha messo frasi di buon senso nel suo blog. Facebook è il posto dove il gruppo «fan di Massimo Tartaglia» contava 68 mila iscritti, il giorno dopo l’aggressione; ma ora è sparito e altri gruppi che inneggiano allo squilibrato armato di souvenir sono rimasti senza amministratore. Lo stesso è accaduto ai gruppi farlocchi che, dopo aver cambiato nome, inneggiavano a Berlusconi. Chiusi. Twitter, che qualche giorno fa ha esordito anche in italiano, è il luogo dove si trovano centinaia di rimandi interessanti e commenti fulminanti in molte lingue. Quelli volgari e violenti basta non seguirli più (unfollow). Morale? Anche gli imbecilli hanno facoltà a esprimere la propria opinione, e in questi giorni — bisogna dire — se ne sono avvalsi. Basta non insultare, diffamare o minacciare. Per chi commette questi reati, ci sono la polizia postale e i magistrati. Vogliamo combattere gli eccessi di Internet? Benissimo: rendiamo più efficaci e rapidi i tribunali. Ma forse è meglio non dirle queste cose, in Italia. Appena si parla di giustizia, infatti, molti insultano e minacciano. Non in Rete: in Parlamento.
Beppe Severgnini
Corriere della sera