Nel 2010 saranno quattrocento anni dalla morte di Michelangelo Merisi detto, dal paese di origine della sua famiglia, il Caravaggio. Vale la pena di rievocare gli episodi che precedono la sua tragica fine. Nell’ottobre del 1608 il pittore riesce ad evadere dal carcere di Malta. Fra’ Alof de Wignacourt, Gran Maestro dell’Ordine, dopo averlo ricoperto di onori, nominato Cavaliere e incaricato di importanti commissioni per la cattedrale de La Valletta ( il San Gerolamo , la Decollazione del Battista) ora lo odia e vuole la sua morte. Le ragioni in parte le conosciamo, in parte possiamo immaginarle. Caravaggio era venuto a furibonda lite con un « Cavaliere di giustizia » , il potente aristocratico Gerolamo Varays. Forse aveva commesso qualcosa di ancora più grave. Forse il Wignacourt era stato informato dei precedenti penali del pittore. Fatto sta che Caravaggio viene espulso dall’Ordine « tamquam membrum putridum et foetidum » e cacciato in prigione in attesa di giudizio. Il Merisi riesce a lasciare Malta dopo una rocambolesca fuga e ad approdare in Sicilia. Gli ultimi due anni della sua vita ( 1608- 1610) saranno un peregrinare inquieto affannoso e tuttavia costellato di capolavori fra Siracusa ( Seppellimento di Santa Lucia ), Messina ( Adorazione dei Pastori ), Palermo ( Natività ) e Napoli dove sfugge a un attentato dei sicari di Wignacourt che lo lasciano malamente sfregiato al viso. Ormai Caravaggio è un uomo finito. Braccato dai suoi nemici, consumato dalle febbri malariche, si imbarca a Napoli per Roma. Sperava di ottenere il perdono del Papa e la remissione del bando di esilio. La morte lo colse solo, privo di ogni umana assistenza, nel presidio spagnolo di Porto Ercole, vicino a Grosseto, il 18 luglio 1610. Non aveva ancora quarant’anni. Dieci giorni dopo, alla Corte Pontificia di Roma, dove qualcuno stava lavorando a preparare il documento di perdono giudiziale, arriva la ferale notizia: « Si è avuto avviso della morte di Michel Angelo Caravaggio, pittore famoso et eccellentissimo nel colorire et ritratte dal naturale » . Se facciamo precedere la tragica fine di Caravaggio dalle notizie di processi, duelli, ferimenti e persino un omicidio con conseguenti condanne di galera e di bando che costellano la sua biografia, ne viene fuori la sceneggiatura di un film straordinariamente coinvolgente ed emozionante. Il pittore ci apparirà come lo descrive, nel 1603, il contemporaneo Carel van Mander: « quando ha lavorato un paio di settimane, se ne va a spasso per un mese o due con lo spadone al fianco e un servo dietro, e gira da un gioco di palla all’altro, molto incline a duellare e a far baruffe » . Eppure questo personaggio irascibile e violento, frequentatore di cattive compagnie, più a suo agio fra donne di malaffare e ragazzi di vita che fra i gentiluomini e i prelati che pure lo ammiravano e lo collezionavano ( i cardinali Borromeo e Del Monte, il marchese Giustiniani, fra gli altri) era uno spirito autenticamente religioso. La spiritualità cattolica che i manuali chiamano della Controriforma invitava gli artisti ad aderire alla lettera e al senso delle Scritture e, allo stesso tempo, ad attualizzarne il messaggio, così da renderlo a tutti comprensibile e per tutti efficace. Nella Vocazione di Matteo di San Luigi dei Francesi, nella Madonna di Loreto di Sant’Agostino, nella Maddalena penitente della Doria Pamphili, nella Conversione di Saulo e nella Crocifissione di San Pietro di Santa Maria del Popolo, in tutti i quadri di soggetto religioso di Caravaggio, la terribile moralità del Vero visibile svelato dalla luce, diventa moderna epifania del Sacro, essenziale catechesi spoglia di ogni retorica. Tutto questo lo vediamo significato in maniera mirabile nella Deposizione della Pinacoteca Vaticana. Il dipinto stava in origine nella cappella di patronato Vittrice in Santa Maria in Vallicella di Roma, meglio nota come Chiesa Nuova, allora come oggi affidata agli Oratoriani di San Filippo Neri. Gli Oratoriani erano un ordine nuovo nato nello spirito della Controriforma. La loro missione si rivolgeva ai ceti urbani popolari e borghesi. Predicavano una religiosità riflessiva e personalistica che attirava i giovani, gli intellettuali, gli artisti. È nel circolo degli Oratoriani da lui frequentato che Caravaggio ebbe l’incarico di dipingere la Deposizione. La tela, collocata sull’altare di una piccola cappella, aveva un significato memoriale e funerario. Il committente Girolamo Vittrice voleva onorare, con quella, il ricordo dello zio Pietro, morto il 26 marzo del 1600. Nel 1604 il dipinto era già in opera sopra l’altare. Ed ora entriamo nel quadro che il Merisi deve aver dipinto fra il 1602 e il 1603 nel periodo più tranquillo e produttivo della sua vita tempestosa. Tutti lo conosciamo come Deposizione . In realtà non di deposizione nel sepolcro si tratta, ma del rito che, nella tradizione giudaica, preparava la inumazione vera e propria. Cristo è stato appena schiodato dalla croce. Il suo corpo bellissimo ( è qui evidente l’omaggio alla Pietà di Michelangelo in San Pietro) è sostenuto da Nicodemo, uno dei due giudei ( l’altro è Giuseppe d’Arimatea) che secondo i Vangeli, si assunsero il compito misericordioso della sepoltura. Il volto dell’uomo anziano in primo piano, in figura di Nicodemo, è caratterizzato come un ritratto. Di un ritratto io credo si tratti perché il giudeo pietoso altri non è che il defunto Pietro Vittrice, il quale vuole qui testimoniare, davanti all’ultimo giudizio, la sua fedeltà al « Corpus Christi » . In secondo piano ci sono i testimoni storici della Passione: Maria di Cleofa che alza le braccia in un urlo disperato, Maddalena che piange tutte le sue lacrime, il volto di Maria impietrito dal dolore, Giovanni l’Evangelista piegato sul corpo del Salvatore per un’ultima carezza. Ciò che immediatamente colpisce è la pesante lastra di pietra che porta in avanti il suo angolo. Non si tratta della pietra che coprirà e sigillerà il sepolcro. Essa è, piuttosto, il « lapis untionis » il letto cioè dove fra un attimo verrà adagiato il corpo per essere lavato, unto e profumato. Cristo è stato sconfitto dalla storia, i suoi discepoli sono fuggiti, lo hanno rinnegato, si sono dispersi. Non restano che lo strazio per il figlio morto, per il Maestro amato, per l’amico perduto. Tutto è finito. « Consumatum est » . Sono questi i pensieri che attraversano gli astanti al pietoso rito e Caravaggio li rappresenta con desolata implacabile verità. Ma ecco l’incursione profetica significata dal Salmo 118: « La pietra scartata dal costruttore è diventata testata d’angolo » . Per questo motivo la pietra posta in prospettiva angolare emerge con tanta evidenza fino a diventare la silenziosa protagonista del quadro. Cristo, la pietra scartata, è diventato l’angolo sul quale saldamente poggia la sua Chiesa. Sulla pietra scartata riposa la speranza di salvezza per Pietro Vittrice e per ognuno. Quando, nel momento della Comunione, l’officiante alzava il calice, i fedeli lo vedevano allineato con l’angolo della pietra. Il messaggio non poteva essere più efficace. « Il dirompersi delle tenebre rivelava l’accaduto e nient’altro che l’accaduto » . Così scriveva il giovane Roberto Longhi nei Quesiti caravaggeschi del 1928- 29 a proposito della rivoluzione della luce inaugurata da Caravaggio. Occorre aggiungere tuttavia che il mondo svelato dalla luce con inesorabile obiettività per Caravaggio è ( può essere) un mistero ontologico abitato dai segni del Sacro. Questo personaggio irascibile e violento, frequentatore di cattive compagnie, più a suo agio fra donne di malaffare e ragazzi di vita che fra i gentiluomini e i prelati che pure lo ammiravano e lo collezionavano (i cardinali Borromeo e Del Monte, il marchese Giustiniani, fra gli altri) era uno spirito autenticamente religioso |