LA RICERCA - Nello studio stati arruolati 220 malati afferenti al reparto di oncologia dell’Idi in trattamento chemioterapico. Per 75 pazienti la diagnosi era di carcinoma alla mammella, per 55 colon, per 25 al polmone, per altri 25 melanoma, mentre il resto dei partecipanti era affetto da altre neoplasie. Nel 66,5 per cento dei casi si tratta di donne, con un’età media di 58 anni e in maggioranza (74 per cento) coniugati. Il 92 per cento dei partecipanti si è definito credente, e se il 30 per cento ha dichiarato di aver intensificato il proprio rapporto con la fede dopo la diagnosi della malattia, il 12 per cento ha ammesso che il cancro ha «indebolito» il rapporto con Dio. «Secondo la mia esperienza molto dipende anche dalle fasce d’età – commenta Luigi Valera, consigliere nazionale Sipo e psicologo Vidas -: l’importanza della fede è maggiore nelle persone più anziane. E dallo stato dalla malattia, perché quando si arriva alle fasi avanzate e le possibilità di cura diminuiscono, il malato si trova ad affrontare il senso di vuoto e di fine (quella che in termini tecnici si definisce impotenza traumatica) connessi alla morte. In questa situazione la mente, che rifiuta l’idea della fine, è predisposta ad aggrapparsi a molte cose, fra cui la riscoperta o l’intensificarsi della fede e della spiritualità».
PER IL BENESSERE PSICHICO – Dai dati emerge, poi, che il 55 per cento dei pazienti risulta positivo allo screening per l’ansia e il 47 per cento a quello per la depressione. Paura, inquietudine, tristezza sono normali perché i malati, soprattutto quelli oncologici, vengono a contatto con i loro limiti. «Oggi, poi, siamo più psichicamente fragili di una volta – continua Valera - perché siamo meno abituati a confrontarci con incertezza, limiti, frustrazione della malattia, che crediamo non ci riguardino mai». Invece i tumori colpiscono una famiglia su tre in Italia e il solo fatto di percepire anche il cancro come «male comune» potrebbe essere di grande aiuto. Primo, perché oggi le possibilità di guarigione sono di gran lunga maggiori rispetto ad anni fa. Secondo, perché non sentirsi soli, emarginati, «colpiti da una rara sciagura» è – seppure nell’estrema difficoltà – un passo avanti.
CONSIGLI UTILI – Per atei e credenti, comunque, la malattia oncologica è una dura prova a livello psicologico. «Per questo chiedere aiuto è un atto di forza, non di fragilità», suggerisce lo psicologo, invitando a usare lo psiconcologo quando se ne sente la necessità. È poi di grande utilità confrontarsi con associazioni, altri malati, personale sanitario, soprattutto per chi è solo e soffre di depressione (più forte al mattino che alla sera). E i familiari devono ammortizzare l’ansia come e più dei malati, perché si trovano coinvolti con un surplus di angosce: serve quindi aiuto anche per loro, perché possano assistere i loro cari con migliori energie. Un atteggiamento positivo, inoltre, aiuta ad affrontare meglio le cure. E’ meglio evitare bugie e illusioni, mantenendo però la speranza: vedere il bicchiere mezzo pieno è un grande passo avanti e aiuta a godere il tempo che si sta vivendo. Infine: massaggi, ginnastica, cioccolato e cibo buono. Coccolarsi è sempre un buon modo per superare le difficoltà: parola di esperto.
Vera Martinella
Corriere della sera 04 gennaio 2010