DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Diagnosi prenatali, l’eugenetica di massa

di Daniele Zappalà
«I

test pre­natali sem­bra­no
aver preso una dimensione iperbolica, se si considerano le basi scientifiche incerte su cui si fondano. Emerge un commercio dei rischi che produce angoscia e ansia». A lanciare l’allarme è il professor Roland Gori, il noto psicopatologo e saggista francese all’origine di un recente appello, sottoscritto da numerosi ed eminenti specialisti di ginecologia ed ostetricia, sulle derive tecnocratiche legate all’accompagnamento della procreazione. L’appello, in Francia, ha rotto il ghiaccio su un autentico tabù. E allargando la propria riflessione, lo studioso non esita a parlare di minacce future di «distruzione dell’umanità nell’uomo a favore di una riproduzione tecnica della specie».
Professore, cosa l’ha spinta a lanciare l’allarme?
Da anni lavoro sulle derive ideologiche e psicopatologiche legate alla medicalizzazione dell’esistenza. Viviamo in una
Parla Roland Gori, lo psicopatologo e scrittore laico francese che ha lanciato l’appello di intellettuali e medici pubblicato da «Le Monde» contro la deriva tecnocratica della procreazione. «Donne incinte braccate negli ospedali per esami abusivi e inutili. L’individuo finisce sotto osservazione fino alle pieghe più intime della sua esistenza. È un approccio fideistico verso la scienza»

società che attraversa una crisi etica e in cui i politici tendono a rivolgersi alle scienze della vita, come la medicina, per costruire un sistema di disposizioni sulle condotte individuali. Diventa evidente più che mai il pericolo di una gestione pseudoscientifica e tecnica del vivente, capace di ripetere persino certi orrori del recente passato. Sul piano psicopatologico, ciò conduce a
una dispersione negli individui di un’etica della critica e della responsabilità. Nello specifico, l’incontro di diversi specialisti nel campo dell’ostetricia mi ha fatto prendere coscienza della generalizzazione delle diagnosi prenatali. In certi reparti, mi è stato spiegato con inquietudine, le donne incinte vengono ormai quasi braccate. A giustificare quest’atteggiamento è la pretesa di anticipare i rischi per i nascituri.
Ma diversi test paiono abusivi e configurano anzi una specie di 'commercio del rischio'. Le donne incinte vengono invitate a sottoporsi a numerosi test anche su patologie eventuali su cui non esistono cure. Si spalanca dunque una questione etica enorme. Tanto più se si considerano le conseguenze psicologiche disastrose sulle donne. Qualcosa di naturale come la gravidanza nei casi peggiori può ridursi a una prova costante inflitta alla loro psicologia. Eppure, scientificamente, la definizione di molti di tali rischi resta controversa.
Si può parlare di una colonizza­zione dei progetti d’avvenire del­le famiglie?
È così. È qualcosa di simile alle
recenti pretese di predire la delinquenza a partire da certi disturbi del comportamento nei bambini di neppure 3 anni. In quel caso, si partiva da studi sui topi mutanti e da articoli molto controversi. Si arriva in entrambi i casi ad aberrazioni che confondono predizione e prevenzione.
Queste forme di determinismo applicate all’uomo paiono rima­re con scientismo...
In proposito, emerge un pericolo che in certi casi si potrebbe definire totalitario. Oggi, in nome di una certa concezione della scienza, del principio di precauzione, della prevenzione dei rischi, l’individuo può finire sotto osservazione fino alle pieghe più intime della sua esistenza. C’è il rischio, insomma, di calibrare gli individui così come si fa già oggi in Europa con i pomodori, cioè a partire da considerazioni tecnocratiche. È un approccio politico fideistico verso la scienza che tende a escludere il senso individuale della responsabilità e della solidarietà.
A livello clinico, che conseguen­ze può avere questa pressione sulle persone che comincia an­cor prima della culla?
Da tempo m’interesso alla possibilità di veder emergere ciò che chiamo 'patologie del nichilismo'. I sintomi che vediamo oggi moltiplicarsi, dalle più diverse dipendenze alla strumentalizzazione dell’altro, mi sembrano sempre più il rovescio della medaglia di questa nuova civiltà contabile, normativa, pseudoscientifica.
La gravidanza è il momento per eccellenza di contatto col miste­ro della vita. L’offensiva tecno­cratica che lei denuncia produce una perdita di senso?
Credo di sì. Diversi filosofi avevano visto in passato la scienza non certo come un mezzo per chiudere i conti col mistero. Ma al contrario, come una via che apre, attraverso la conoscenza, spazi per nuovi misteri ed enigmi. Oggi, spesso, la concezione della scienza applicata al vivente tende invece pericolosamente ad avvicinarsi al produttivismo e a una visione fino a ieri riservata all’industria.
Ciò è legato direttamente agli in­teressi economici in gioco dietro il 'commercio dei rischi'?
Nel caso dei test prenatali, così come in altri ambiti dello stesso genere, esiste una porosità ormai estrema fra gli interessi commerciali e industriali, da una parte, e le politiche sanitarie. Una minima variazione nei valori giudicati dai poteri pubblici come una norma sanitaria possono tradursi per l’industria in notevoli oscillazioni del proprio giro d’affari.
In Europa si allarga il dibattito sui rischi di derive eugeniste. In Francia, a gettare il sasso è stato il professor Didier Sicard, ex pre­sidente del Consiglio consultivo d’etica. Che ne pensa?
Sono d’accordo col professor Sicard, anche se abbiamo approcci al problema diversi.
Personalmente, parlerei di un rischio di eugenismo neoliberale.
Sulle questioni legate al vivente, gli esperti tendono oggi a prendere il posto di figure guida capaci di richiamare la coscienza morale. Il regno degli esperti tende a dirci in modo sempre più chiaro che la verità è la norma. Si tratta di una follia.
E ciò giunge proprio quando, in campi come la ricerca in biolo­gia, emergono più che mai certi limiti conoscitivi della scienza.
Un paradosso?
Proprio così. L’onore della scienza sta nel riconoscere che non ha risposte a tutto, in particolare nel caso dell’umano. Oggi in Europa stiamo vivendo una vera ondata di morale utilitarista senza ancora possedere gli antidoti. Ma resto convinto che potremo trovarli in tre modi: tornando all’etica dei nostri mestieri scientifici, grazie a una riflessione epistemologica sulla scienza e infine attraverso un impegno pubblico di sensibilizzazione.

Avvenire 28 gennaio 2010