DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

ED ECCO A VOI LA VERA RIFORMA DEL PAPATO RATZINGERIANO. Intervista al Il cardinale Cañizares. Il culto e la banalizzazione post/conciliare

Il Piccolo Ratzinger

Il “piccolo Ratzinger”, così è chiamato
il cardinale Antonio Cañizares
Llovera, è dal dicembre 2008 prefetto
della congregazione per il Culto divino
e la disciplina dei sacramenti. Nato
a Utiel, nell’arcidiocesi di Valencia,
64 anni fa, è stato vescovo di Toledo e
primate di Spagna. Il soprannome
“piccolo Ratzinger” è nato inVaticano:
dal 1985 al 1992 Cañizares ha svolto
per la Conferenza episcopale spagnola
lo stesso ruolo che Ratzinger svolgeva
a Roma: si occupava del settore “dottrina
della fede” della Conferenza episcopale.
Grande studioso di Teresa
d’Avila ha fondato l’Università Cattolica
“Santa Teresa de Jesús”.




Paolo Rodari

L’ex arcivescovo di Toledo e primate
di Spagna, il cardinale Antonio
Cañizares Llovera, guida il “ministero”
vaticano che si occupa di liturgia
da poco più di un anno. Un compito
delicato in un pontificato, come è
quello di Benedetto XVI, in cui la liturgia
e la sua “ristrutturazione” dopo
le derive post conciliari hanno un ruolo
centrale. Come centrale, del resto,
è la liturgia nella vita dei fedeli. Lo ha
detto ancora il Papa la notte di Natale:
come per i monaci, anche per ogni
uomo “la liturgia è la prima priorità.
Tutto il resto viene dopo”. Occorre
“mettere in secondo piano altre occupazioni,
per quanto importanti esse
siano, per avviarci verso Dio, per lasciarlo
entrare nella nostra vita e nel
nostro tempo”.
Quanto dice Cañizares al Foglio è
più d’un bilancio dopo un anno trascorso
in curia romana: “Ho ricevuto
– spiega – la missione di portare a termine,
con l’aiuto indispensabile e validissimo
dei miei collaboratori, quei
compiti che sono assegnati alla congregazione
per il culto divino e la disciplina
dei sacramenti nella costituzione
apostolica Pastor Bonus di Giovanni
Paolo II rispetto all’ordinazione
e alla promozione della liturgia sacra,
in primo luogo dei sacramenti.
Per la situazione religiosa e culturale
in cui viviamo e per la stessa priorità
che corrisponde alla liturgia nella vita
della chiesa, credo che la missione
principale che ho ricevuto è promuovere
con dedizione totale e impegno,
ravvivare e sviluppare lo spirito e il
senso vero della liturgia nella coscienza
e nella vita dei fedeli; che la
liturgia sia il centro e il cuore della
vita delle comunità; che tutti, sacerdoti
e fedeli, la consideriamo come
sostanziale e imprescindibile nella
nostra vita; che viviamo la liturgia in
piena verità, e che viviamo di essa;
che sia in tutta la sua ampiezza, come
dice il Concilio Vaticano II, ‘fonte e
culmine’ della vita cristiana. Dopo un
anno alla guida di questa congregazione,
ogni giorno sperimento e sento
con forza maggiore la necessità di
promuovere nella chiesa, in tutti i
continenti, un impulso liturgico forte
e rigoroso che faccia rivivere la ricchissima
eredità del Concilio e di
quel gran movimento liturgico del Diciannovesimo
secolo e della prima
metà del Ventesimo – con uomini come
Guardini, Jungmann e tanti altri –
che rese feconda la chiesa nel Concilio
Vaticano II. Lì, senza alcun dubbio,
sta il nostro futuro e il futuro stesso
del mondo. Dico questo perché il
futuro della chiesa e dell’umanità intera
è riposto in Dio, nel vivere di Dio
e di quanto viene da Lui; e questo accade
nella liturgia e attraverso essa.
Soltanto una chiesa che viva della verità
della liturgia sarà in grado di dare
l’unica cosa che può rinnovare, trasformare
e ricreare il mondo: Dio e
soltanto Dio e la Sua grazia. La liturgia,
nella sua più pura indole, è presenza
di Dio, opera salvifica e rigeneratrice
di Dio, comunicazione e partecipazione
del Suo amore misericordioso,
adorazione, riconoscimento di
Dio. E’ l’unica cosa che può salvarci”.
Guardini, Jungmann, due pilastri
del rinnovamento liturgico dei decenni
passati. Figure alle quale anche
Joseph Ratzinger si è ispirato nel
suo “Introduzione allo spirito della liturgia”.
Figure che, probabilmente,
l’hanno ispirato anche nelle promulgazione
del Motu Proprio Summorum
Pontificum. Si è detto che il Motu Proprio
ha rappresentato anche (c’è chi
dice anzitutto) una mano tesa del Papa
ai lefebvriani. E’ così? “Di fatto lo
è. Però credo che il Motu Proprio abbia
un grandissimo valore per se stesso
e per la chiesa e per la liturgia.
Sebbene ad alcuni questo dispiaccia,
a giudicare dalle reazioni arrivate e
che continuano ad arrivare, è giusto e
necessario dire che il Motu Proprio
non è un passo indietro, né un ritorno
al passato. E’ riconoscere e accogliere,
con semplicità, in tutta la sua ampiezza
i tesori e l’eredità della grande
Tradizione, che ha nella liturgia la
sua espressione più genuina e profonda.
La chiesa non può permettersi di
prescindere, dimenticare o rinunciare
ai tesori e alla ricca eredità di questa
tradizione, contenuta nel Rito romano.
Sarebbe un tradimento e una
negazione verso se stessa. Non si può
abbandonare l’eredità storica della liturgia
ecclesiastica, né volere stabilire
tutto ex novo, come alcuni pretenderebbero,
senza amputare parti fondamentali
della chiesa stessa. Alcuni
intesero la riforma liturgica conciliare
come una rottura, e non come uno
sviluppo organico della tradizione. In
quegli anni del post Concilio il ‘cambiamento’
era una parola quasi magica;
bisognava modificare ciò che era
stato al punto da dimenticarlo; tutto
nuovo; bisognava introdurre novità, in
fondo opera e creazione umana. Non
possiamo dimenticare che la riforma
liturgica e il post Concilio coincisero
con un clima culturale marcato o dominato
intensamente da una concezione
dell’uomo come ‘creatore’ che
difficilmente si accompagna bene a
una liturgia che, soprattutto, è azione
di Dio e sua priorità, ‘diritto’ di Dio,
adorazione di Dio e anche tradizione
di ciò che riceviamo e ci è dato una
volta e per sempre. La liturgia non
siamo noi a farla, non è opera nostra,
ma di Dio. Questa concezione dell’uomo
‘creatore’ che conduce a una visione
secolarizzata di tutto, dove Dio,
spesso, non ha un posto, questa passione
per il cambiamento e la perdita
della tradizione non è stata ancora
superata; e per questo, a mio parere,
fra le altre cose, ha fatto sì che alcuni
vedessero con tanta diffidenza il Motu
Proprio o che dispiaccia tanto ad
alcuni recepirlo e accoglierlo, rincontrare
le grandi ricchezze della tradizione
liturgica romana che non possiamo
dilapidare, o cercare e accettare
l’arricchimento reciproco nell’unico
Rito romano fra la forma “ordinaria”
e quella “straordinaria”. Il Motu
Proprio Summorum Pontificum è un
grandissimo valore, che tutti dovremmo
apprezzare, che non ha soltanto a
che fare con la liturgia ma con l’insieme
della chiesa, di ciò che è e significa
la tradizione, senza che la
chiesa si converta in una istituzione
umana in mutamento e, ovviamente,
ha anche a che vedere con la lettura
e l’interpretazione che si fa o si sia
fatta del Concilio Vaticano II. Quando
si legge e si interpreta in chiave di
rottura o di discontinuità, non si capisce
nulla del Concilio e lo si travisa
del tutto. Per questo, come indica il
Papa, soltanto ‘un’ermeneutica della
continuità’ ci porta a una giusta e corretta
lettura del Concilio, e a conoscere
la verità di ciò che dice e insegna
nel suo insieme e in particolare
nella Costituzione Sacrosantum Concilium
sulla liturgia divina, inseparabile,
per lo più, da questo stesso insieme.
Il Motu Proprio, di conseguenza,
ha anche un valore altissimo per
la comunione della chiesa”.
C’è il Papa dietro il lento ma necessario
processo di riavvicinamento della
chiesa a un autentico spirito liturgico.
Eppure, non mancano divisioni e
contrapposizioni. Ne parla il cardinale
Cañizares: “Il grande apporto del
Papa, a mio parere, è che ci sta portando
fino alla verità della liturgia,
con una saggia pedagogia ci sta introducendo
nel genuino ‘spirito’ della liturgia
(come recita il titolo di una delle
sue opere prima di diventare Papa).
Lui, prima di tutto, sta seguendo un
semplice processo educativo che chiede
di andare verso questo ‘spirito’ o
senso genuino della liturgia, per superare
una visione riduttiva molto radicata
della liturgia. I suoi insegnamenti
così ricchi e abbondanti in questo
campo, come Papa e prima di diventarlo,
così come i gesti evocatori
che stanno accompagnando le celebrazioni
che presiede, vanno in questa
stessa direzione. Accogliere questi
gesti e questi insegnamenti è un dovere
che abbiamo se siamo disposti a vivere
la liturgia in modo corrispondente
alla sua stessa naturalezza e se non
vogliamo perdere i tesori e le eredità
liturgiche della tradizione. Inoltre, costituiscono
un vero dono per la formazione,
così urgente e necessaria, del
popolo cristiano. In questa prospettiva
bisognerebbe vedere lo stesso Motu
Proprio che ha confermato la possibilità
di celebrare con il rito del
messale romano approvato da Giovanni
XXIII e che risale, con le successive
modifiche, al tempo di san
Gregorio Magno e ancora prima. E’
certo che sono molte le difficoltà che
stanno avendo coloro che, nell’utilizzo
di quello che è un loro diritto, celebrano
o partecipano alla Santa Messa
conforme al ‘rito antico’ o ‘straordinario’.
Di suo, non ci sarebbe bisogno di
questa opposizione, né tantomeno di
essere visti con sospetto o essere etichettati
come ‘pre conciliari’, o, ancora
peggio, come ‘anti conciliari’. Le ragioni
di questo sono molteplici e diverse,
però, in fondo, sono le stesse
che portarono a una riforma liturgica
intesa come rottura e non nell’orizzonte
della tradizione e dell’‘ermeneutica
della continuità’, che reclama
il rinnovamento e la vera riforma liturgica
nella chiave del Vaticano II.
Non possiamo dimenticare, in più,
che nella liturgia si tocca quanto di
più essenziale c’è delle fede e della
chiesa e, per questo, ogni volta che
nella storia si è toccato qualcosa della
liturgia tensioni e anche divisioni
non sono state rare”.
E’ dal discorso di Benedetto XVI alla
curia romana del 22 dicembre 2005
che la necessità di leggere il Vaticano
II non in un’ottica di discontinuità col
passato ma di continuità è diventata
centrale nell’attuale pontificato. Dal
punto di vista liturgico questo cosa significa?
“Significa, fra le altre cose,
che non possiamo portare a termine il
rinnovamento della liturgia e metterla
al centro e alla fonte della vita cristiana,
se ci poniamo davanti a essa in
chiave di rottura con la tradizione che
ci precede e che porta questa ricca
sorgente di vita e di dono di Dio che
ha alimentato e dato vita al popolo cristiano.
Gli insegnamenti, le indicazioni,
i gesti di Benedetto XVI sono fondamentali
in questo senso. Per questo
bisogna favorire la conoscenza serena
e profonda di quanto ci sta dicendo,
compreso quello che ha detto prima
di diventare Papa, e che tanto chiaramente
si riflette, per esempio, nella
sua esortazione apostolica ‘Sacramentum
caritatis’”.
La congregazione che Cañizares
presiede si è riunita lo scorso marzo
in plenaria e ha presentato delle propositiones
al Papa. “L’assemblea plenaria
della congregazione si è occupata
soprattutto dell’adorazione eucaristica,
l’eucarestia come adorazione,
e l’adorazione al di fuori delle sante
messe. Sono state approvate alcune
conclusioni poi presentate al Santo
Padre. Queste conclusioni prevedono
un piano di lavoro della congregazione
per i prossimi anni, che il Papa ha
ratificato e incoraggiato. Si muovono
tutte sulla linea di ravvivare e promuovere
un nuovo movimento liturgico
che, fedele in tutto agli insegnamenti
del Concilio e seguendo gli insegnamenti
di Benedetto XVI, collochi
la liturgia nel posto centrale che le
corrisponde nella vita della chiesa. Le
conclusioni delle propositiones riguardano
l’impulso e la promozione
dell’adorazione del Signore, base del
culto che si deve dare a Dio, della liturgia
cristiana; inseparabile dalla fede
nella presenza reale e sostanziale
di Cristo nel sacramento eucaristico;
assolutamente necessaria per una
chiesa viva. Porre un freno agli abusi,
che disgraziatamente sono molti, e
correggerli non è qualcosa che derivi
dalla plenaria della congregazione,
ma è qualcosa che reclama la stessa
liturgia e la vita e il futuro della chiesa
e la comunione con essa. Su questo,
sui tanti abusi liturgici e sulla loro
correzione, alcuni anni fa la congregazione
pubblicò un’istruzione importantissima,
la ‘Redemptionis Sacramentum’
e a essa dobbiamo rimetterci
tutti, è un dovere urgentissimo correggere
gli abusi esistenti se vogliamo
come cattolici portare qualcosa al
mondo per rinnovarlo. Le proposizioni
non si occupano di mettere a freno
la creatività, ma anzi di incoraggiare,
favorire, ravvivare la verità della liturgia,
il suo senso più autentico e il
suo spirito più genuino; non possiamo
nemmeno dimenticare o ignorare che
la creatività liturgica come spesso la
si è intesa e la si intende, è un freno
alla liturgia e la causa della sua secolarizzazione,
perché è in contraddizione
con la naturalezza stessa della
liturgia”.
Si parla nelle propositiones dell’uso
della lingua latina? “Non si dice
nulla a proposito del dare più spazio
alla lingua latina, compreso nel rito
ordinario, né di pubblicare messali
bilingue, come in realtà già si è già fatto
in alcuni luoghi dopo la conclusione
del Concilio; non bisogna comunque
dimenticare che il concilio nella
costituzione ‘Sacrosanctum Concilium’
non deroga il latino, lingua venerabile
alla quale è vincolato il rito
romano”.
Ci sono poi tante altre questioni importanti,
l’orientamento… “Non solleviamo
la questione dell’orientamento
‘versus Orientem’, né della comunione
per bocca, né di altri aspetti che a volte
vengono fuori come accuse di ‘passi
indietro’, di conservatorismo o d’involuzione.
Credo, del resto, che le questioni
come queste, l’orientamento, il
crocifisso visibile al centro dell’altare,
la comunione in ginocchio e in bocca,
l’uso del canto gregoriano, sono questioni
importanti che non si possono
sminuire in maniera frivola o superficiale
e delle quali, in ogni caso, si deve
parlare con cognizione di causa e
con fondamento, come fa, per esempio,
il Santo Padre, e vedendo anche
come queste cose corrispondono (e
anche favoriscono) di più la verità della
celebrazione così come la partecipazione
attiva, nel senso in cui ne parla
il Concilio e non in altri sensi. Ciò
che è importante è che la liturgia venga
celebrata nella sua verità, con verità,
e che si favorisca e promuova intensamente
il senso e lo spirito della
liturgia in tutto il popolo di Dio in modo
tale che si viva di essa; è veramente
molto importante che le celebrazioni
abbiano e propizino il senso del sacro,
del Mistero, che ravvivino la fede
nella presenza reale del Signore e nel
dono di Dio che agisce in essa, così come
l’adorazione, il rispetto, la venerazione,
la contemplazione, la preghiera,
l’elogio, l’azione di grazia, e molte
altre cose che corrono il rischio di annacquarsi.
Quando partecipo o vedo
la liturgia del Papa che ha già incorporato
alcuni di questi elementi mi
convinco sempre più che non sono
aspetti casuali ma che invece hanno
una forza espressiva ed educativa per
se stessa e nella verità della celebrazione,
la cui assenza si nota”.
Cañizares è stato per anni una figura
di spicco della chiesa spagnola. Lo
è ancora, pur risiedendo a Roma. In
Spagna c’è stata recentemente una dichiarazione
del segretario della conferenza
episcopale del paese, monsignor
Juan Antonio Martinez Camino,
che diceva che quei politici che si
esprimeranno pubblicamente a favore
dell’aborto non potranno ricevere
la comunione. Condivide questa posizione
di Camino? Perché la Spagna è
diventata l’avamposto di politiche cosiddette
laiciste? Come debbono comportarsi
vescovi e le conferenze episcopali
di fronte a posizioni che negano
la vita? “I vescovi, come pastori che
guidano e difendono il popolo che ci è
stato affidato, hanno il dovere di carità
ineludibile di insegnare e trasmettere
ai fedeli, fedelmente, con
saggezza, dottrina e prudenza, ciò che
crede e insegna la fede della chiesa,
sebbene questo costi, sebbene vada
controcorrente o penalizzi l’opinione
pubblica. Ciò che c’è in gioco sul tema
dell’aborto e quello che si legifererà
in Spagna in questa materia, quando
saranno approvati tutti i passaggi regolamentari,
è qualcosa di molto grave
e decisivo, e non possiamo né tacere
né occultare la verità; è ciò che,
compiendo l’ordine del suo Signore,
la chiesa dice e comanda ai suoi fedeli,
esige e si aspetta da loro. Dobbiamo
servire e indirizzare i fedeli con la luce
della verità ricevuta della quale
non possiamo disporre in questioni
morali e, a volte, delicate; e dobbiamo
aiutare i cattolici nella vita pubblica a
prendere le loro decisioni con responsabilità
davanti a Dio e davanti
agli uomini e conformemente alla ragione
come corrisponde alla loro condizione
di figli della chiesa e credenti
in Gesù Cristo. Non possiamo né dobbiamo,
pena quella di essere dei cattivi
pastori, muoverci in queste questioni
con relativismi, con calcoli ‘politici’,
o con abili o sottili ‘diplomazie’.
L’esercitare bene il nostro ministero
episcopale, del resto, non è assolutamente
in lotta, anzi, con la prudenza,
la misura, la misericordia, la gentilezza
e la mano tesa che certamente dovranno
accompagnarci in tutto. E’ un
momento difficile quello che stiamo
attraversando ora in Spagna; non è facile
neanche per i vescovi. Non credo,
d’altra parte, che la Spagna sia la portabandiera
o l’avanguardia di politiche
laiciste. Il laicismo, evidente o nascosto,
e le politiche laiciste sono diffuse
quasi dappertutto, in alcuni paesi
più che in altri, e in alcuni con moltissimo
potere e forza; c’è una forza,
apparentemente inarrestabile, impegnata
a introdurre il laicismo in tutto
il mondo, o, che è lo stesso, a cancellare
Dio rivelato nel viso umano di Gesù
Cristo, suo Unigenito, dalla coscienza
degli uomini. E’ vero che in
Spagna questo laicismo ha delle connotazioni
speciali forse per tutta la
sua storia e la sua stessa identità. La
Spagna sta subendo una trasformazione
molto radicale nella sua mentalità,
nel suo pensiero e nei criteri di giudizio,
nei suoi costumi e nei modi di agire,
nella sua cultura, insomma, nella
sua natura o identità; questo, inoltre,
si manifesta in una grande e profonda
crisi o rottura morale e di valori, dietro
la quale si nasconde una crisi religiosa
e sociale e una frammentazione
dell’uomo. Però, al tempo stesso, le radici
e le fondamenta che sostengono
la Spagna e la parte più genuina di essa
derivano dalla fede cristiana, trovano
sostentamento in essa, e in quanto
essa crede; e queste radici non sono
sparite né scompariranno. Un’insieme
di leggi, come quella dell’aborto
che è già stata approvata in Parlamento,
oltre ad altri fattori, è senza
dubbio il segno della trasformazione
in atto. Ho sempre creduto che noi vescovi,
obbedendo a Dio prima che agli
uomini, dobbiamo annunciare sempre
il Vangelo e Gesù Cristo, non anteporre
nulla a Lui e alla sua opera, annunciare
senza sosta e coraggiosamente
Dio vivo, la cui gloria è che
l’uomo viva, che costituisce il ‘sì’ più
pieno e totale che si possa dare all’uomo,
alla sua dignità inviolabile, alla
vita, ai suoi diritti fondamentali, a
tutto ciò che è veramente umano. Annunciare
e testimoniare Colui che è
amore, agendo in tutto con carità e
portando e testimoniando davanti a
tutti la carità, la passione di Dio per
l’uomo, in modo particolare per i deboli,
gli indifesi, coloro che sono trattati
ingiustamente. Tutto indirizzato
verso la conversione, perché sorga
una nuova umanità fatta da uomini
nuovi con la novità del Vangelo di Gesù
Cristo, del modo di essere, di pensare
e di agire che in Lui, verità di Dio
e dell’uomo, incontriamo e ha origine.
Si tratta semplicemente di dare impulso
e portare a termine una nuova e
decisa evangelizzazione. Questa è la
condizione in cui si trovano la chiesa
e i vescovi in Spagna da molto tempo;
è un lavoro lento e arduo, ma che sta
dando i suoi frutti. Credo, inoltre, che
i vescovi in Spagna, proprio in virtù
dell’affermazione di Dio e della fede
in Gesù Cristo, si sono imbarcati in
una grande battaglia a favore dell’uomo,
del diritto alla vita, della libertà,
di ciò che è imprescindibile per l’uomo
come la famiglia, la verità e bellezza
della famiglia basata sul matrimonio
tra un uomo e una donna aperto
alla vita, nell’amore; sono a favore
dell’educazione della persona e della
libertà di insegnamento, della libertà
religiosa. La chiesa in Spagna, per
puntare ogni giorno e con più forza e
intensità sull’uomo e sui suoi diritti
fondamentali, sente la chiamata a
rafforzare l’esperienza di Dio perché
i suoi fedeli siano ‘testimoni del Dio
vivo’, come dice uno dei suoi documenti
più importanti ed emblematici
di alcuni anni fa. Il suo compito non è
la politica, né fare politica, se non essere
semplicemente chiesa, presenza
di Cristo fra gli uomini, anche se questo
la penalizza. La situazione è dura,
ma guardiamo al futuro con una grande
speranza e una grande chiamata a
lasciarci rafforzare da Dio e tenerlo al
centro di tutto, e proseguiamo il nostro
cammino senza fermarci e senza
tirarci indietro, con lo sguardo fisso su
Gesù Cristo. Ho la certezza assoluta
che la Spagna cambierà e tornerà al
vigore di una fede vivida e di un rinnovamento
della società. Non possiamo
abbassare la guardia, né abbassare
le braccia che devono stare tese
verso Dio in una supplica fiduciosa e
permanente. E’ essenziale che, prima
di tutto, recuperi la sua vitalità e il
suo vigore teologale e religioso, che
Dio dato in Gesù Cristo sia veramente
il suo centro e il suo più saldo fondamento,
per essere capaci, come in altri
momenti, di creare una nuova cultura
e far sorgere una nuova società.
Questo è possibile; e, inoltre, nulla è
impossibile a Dio”.


L’appello del 1971

Era il 6 luglio 1971 quando il Times
pubblicava un appello inviato alla
Santa Sede da parte di un gruppo di intellettuali,
personalità del mondo della
cultura e dell’arte per salvaguardare la
messa antica. Furono gli intellettuali, infatti,
prima di altri, a percepire l’eliminazione
della messa antica come un attentato
alle tradizioni di un’intera civiltà. Lo
firmò anche Agatha Christie. Con lei Jorge
Luis Borges, Giorgio De Chirico, Elena
Croce, W. H. Auden, i registi Bresson e
Dreyer, Augusto Del Noce, Julien Green,
Jacques Maritain, Eugenio Montale, Cristina
Campo, Francois Mauriac, Salvatore
Quasimodo, Evelyn Waugh, Maria
Zambrano, Elémire Zolla, Gabriel Marcel,
Salvador De Madariaga, Gianfranco Contini,
Mario Luzi, Andrés Segovia, Harold
Acton, Graham Greene, fino al famoso direttore
del Times, William Rees-Mogg. Ecco
parte del testo dell’appello:
“Uno degli assiomi dell’informazione
contemporanea è che l’uomo moderno
sarebbe divenuto intollerante
di tutte le forme della tradizione e ansioso
di sopprimerle. Come molte altre
questa apodittica affermazione è falsa.
Anche oggi è proprio la cultura a riconoscere
più ampiamente il valore delle
tradizioni. E’ evidente che se un ordine
insensato decretasse la demolizione
totale o parziale di basiliche e
cattedrali, sarebbe ancora una volta la
cultura a levarsi per prima e con orrore.
Si dà il caso però che basiliche e
cattedrali siano state edificate dai popoli
cristiani per celebrarvi un rito antico
duemila anni, che fino a pochi mesi
fa era una tradizione universalmente
vivente. Alludiamo alla messa cattolica
tradizionale. Essa dovrebbe cessare
di esistere alla fine del 1971. Questo
rito ha dato vita a una folla di opere
infinitamente preziose: non soltanto
di mistici e dottori, ma di poeti, filosofi,
musicisti, architetti, pittori e scultori
tra i più grandi, in ogni paese e in
ogni epoca. I firmatari di questo appello
rappresentano ogni ramo della
cultura moderna internazionale. Essi
chiedono con la massima gravità alla
Santa Sede di voler considerare a quale
tremenda responsabilità andrebbe
incontro di fronte alla storia se non
consentisse di lasciar vivere in perpetuità
la messa tradizionale, sia pure a
fianco di altre forme liturgiche”.


Un’ideologia fuorviante

Oggi è urgente riaffermare l’“autentico”
spirito della liturgia, così come
è presente nella ininterrotta tradizione
della chiesa e testimoniato, in
continuità con il passato, nel più recente
magistero: a partire dal Concilio
Vaticano II fino a Benedetto XVI. Ho
pronunciato la parola “continuità”. E’
una parola cara all’attuale Pontefice,
che ne ha fatto autorevolmente il criterio
per l’unica interpretazione corretta
della vita della chiesa e, in specie,
dei documenti conciliari, come anche
dei propositi di riforma ad ogni livello
in essi contenuti. E come potrebbe
essere diversamente? Si può forse
immaginare una chiesa di prima e una
chiesa di poi, quasi che si sia prodotta
una cesura nella storia del corpo ecclesiale?
O si può forse affermare che
la Sposa di Cristo sia entrata, in passato,
in un tempo storico nel quale lo
Spirito non l’abbia assistita, così che
questo tempo debba essere quasi dimenticato
e cancellato? Eppure, a volte,
alcuni danno l’impressione di aderire
a quella che è giusto definire una
vera e propria ideologia, ovvero un’idea
preconcetta applicata alla storia
della chiesa e che nulla ha a che fare
con la fede autentica. Frutto di quella
fuorviante ideologia è la ricorrente distinzione
tra chiesa pre conciliare e
chiesa post conciliare: una – quella
pre conciliare – che non avrebbe più
nulla da dire o da dare perché irrimediabilmente
superata; e l’altra – quella
post conciliare – che sarebbe una
realtà nuova scaturita dal Concilio e
da un suo presunto spirito, in rottura
con il suo passato.
La liturgia non deve essere terreno
di scontro tra chi trova il bene solo in
ciò che è prima di noi e chi in ciò che
è prima trova quasi sempre il male.
Solo la disposizione a guardare il presente
e il passato della liturgia come a
un patrimonio unico e in sviluppo
omogeneo può condurci ad attingere
con gusto spirituale l’autentico spirito
della liturgia. Uno spirito che dobbiamo
accogliere dalla chiesa e che non è
frutto delle nostre invenzioni. Uno spirito
che ci porta all’essenziale della liturgia
ovvero alla preghiera ispirata e
guidata dallo Spirito Santo.
monsignor Guido Marini
maestro delle Celebrazioni Pontificie


Parlano Messori e Melloni

Dice Vittorio Messori al Foglio che
a Ratzinger “sta a cuore il problema
della fede, come viverla e salvaguardarla”.
Lo ha scritto, il Papa, anche
nella lettera con la quale ha spiegato
ai vescovi il motivo del Summorum
Pontificum: “Mentre noi facciamo
convegni la fede si sta spegnendo come
una candela che non trova più alimento”.
E’ per questo che al Papa interessa
la liturgia: “Perché – dice Messori
– la liturgia è espressione orante
della fede. Lex orandi lex credendi,
come si prega è come si crede. La fede,
insomma, nella liturgia si fa culto”. E’
per questo motivo, perché la liturgia
esprime la fede della chiesa, che “il
Papa desidera che la liturgia sia
espressione d’una fede ortodossa”. Ed
è per questo che “la riforma liturgica
del post Concilio studiata a tavolino
non l’ha convinto: del resto non era
mai successo che una riforma liturgica
non nascesse dal popolo credente”.
Secondo Messori il Papa arriverà a
“una riforma dell’et-et della liturgia”.
Ovvero non tornerà all’antico ma farà
sì che antico e nuovo convivano assieme:
“Il canone tornerà a essere pronunciato
in latino mentre le parti in
comune resteranno nelle lingue volgari.
Insieme la celebrazione avverrà in
parte con l’altare rivolto a oriente e in
parte no”.
Alberto Melloni non ritiene sia corretto
parlare di riforma liturgica nel
pontificato di Ratzinger. Dice al Foglio
che “i cambiamenti portati dal Papa
nella liturgia sono quelli di un pastore
che intende usare tutte le libertà che
il messale concede al fine di reinterpretarle
in senso restauratore”. La
sua, dunque, “non è la volontà di riformare
la liturgia così come il Concilio
l’ha consegnata, bensì è il tentativo legittimo
di addattare la liturgia al proprio
gusto”.
Secondo Melloni in molti cadono
oggi nel tentativo di interpretare Benedetto
XVI a proprio piacimento.
“Ma se il Papa avesse in mente una
riforma della riforma lo direbbe apertamente.
Non è un Papa che maschera
le proprie azioni, anzi è sempre chiaro
ed esplicito nelle sue decisioni. E’
vero: l’abbiamo visto in Tv celebrare
rivolto a oriente: ma l’ha fatto nella
sua cappella privata, non in pubblico”.


Il Foglio 9 gennaio 2010