DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Egitto, è ancora caccia al cristiano In Malesia attaccata un’altra chiesa

Non si sono ancora placate in Egitto le tensioni tra cristiani e musulmani, innescate dall’uccisione di sette copti in un villaggio del Sud del Paese nella notte tra il 6 e il 7 gennaio. I cristiani restano sotto attacco anche in Malesia, dove è stata bruciata ieri una quarta chiesa, a Kuala Lumpur. In Egitto, a Nagaa Hamadi, cittadina a 64 chilometri da Luxor, venerdì e sabato sono state giornate di scontri tra le comunità religiose e case e negozi di proprietà di cristiani sono state prese d’assalto. Secondo Radio vaticana, una donna copta sarebbe rimasta uccisa nelle violenze più recenti. Il patriarca copto-ortodosso del Cairo, Shenouda III, ha espresso al premier Ahmed Nazif il suo sconcerto per l’accaduto. Il massacro di Nagaa Hamadi ha innescato violenze nel Sud dell’Egitto e dibattiti e proteste nella capitale. Ieri, circa 300 persone si sono riunite per manifestare contro le tensioni confessionali davanti al tribunale del Cairo. La protesta è inedita in un regime in generale allergico alle manifestazioni di piazza e in cui la questione delle relazioni fra minoranza cristiana e maggioranza musulmana resta ancora in larga parte un tabù. Il governo egiziano ha nel frattempo condannato «l’abominevole attacco compiuto la notte del Natale copto» (celebrato il 7 gennaio, ndr), ma tende a smontare la tesi dell’odio confessionale. Secondo il ministro Mofeed Shehab, la strage non avrebbe motivazioni religiose. E a Nagaa Hamadi i politici locali fanno lo stesso: Fathi Qandil, deputato del villaggio, ha spiegato ad Al Masri El Yom, quotidiano egiziano, che «non c’è bisogno di nessuna riconciliazione tra cristiani e musulmani» nella zona perché «sono già riconciliati». Eppure, il Cairo ha dispiegato forze di sicurezza in assetto anti sommossa nei villaggi della zona proprio attorno a obiettivi sensibili: vicino alle chiese o alle abitazioni e alle botteghe dei cristiani. Quanto accaduto a Nagaa Hamadi è il peggior incidente interreligioso degli ultimi dieci anni, sostiene Amr Shobky, analista egiziano dell’Ahram center for political and strategic studies del Cairo. Per lui, in un Paese dove gli scontri confessionali sono periodici, è la prima volta che si assiste a un attacco contro i cristiani «in stile iracheno». Ricorda come precedente le violenze di El Kosheh, sempre al sud. Qui nel 2000, in scontri tra cristiani e islamici morirono 20 cristiani e un musulmano. Per quegli attacchi contro copti, un tribunale ha condannato quattro musulmani a 12 anni di carcere e ha scagionato altre 92 persone coinvolte.Tra i fatti del 2000 e quelli di pochi giorni fa ci sono state altre violenze. Tensioni e scontri tra cristiani e copti nel Paese sono periodici. «Non passa settimana senza attacchi contro i cristiani in qualche governatorato d’Egitto: la situazione è spaventosa», dice al Giornale un politico egiziano di origini copte che preferisce rimanere anonimo. «Nessuno vuole ammettere il problema, ma da 30 anni, da quando il boom petrolifero ha spinto gli egiziani a emigrare in massa in Arabia Saudita, l’influenza del Golfo sul Paese si fa sentire» attraverso una visione della società e della religione più estrema. «Non è neppure necessario entrare nelle moschee: basta guardare le televisioni nazionali o i programmi scolastici» per capire il grado di islamizzazione dell’Egitto. Ne è convinto anche l’analista Shobki, secondo il quale la questione non è soltanto la presenza di un forte islam politico e fanatico, ma anche le posizioni dell’islam ufficiale, quello degli imam che dipendono dal governo e pronunciano editti religiosi in tv. «C’è un clima di islamizzazione ovunque. I cristiani si sono sentiti sempre più marginalizzati e hanno reagito radicalizzandosi a loro volta. E il governo non fa nulla per arginare tensioni ed estremismi».