DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

EMMA IN PARROCCHIA. di Francesco Agnoli

di Francesco Agnoli

L’inchiesta di Marianna Rizzini sui
cattolici favorevoli alla Bonino,
che la preferiranno a Renata Polverini
alle prossime regionali del Lazio,
non mi ha stupito. E sicuramente non
ha meravigliato neppure la Bonino,
che sa abilmente vestire i panni di
Giano bifronte. In occasione della sua
auto-candidatura a presidente della
Repubblica di circa dieci anni fa, infatti,
Emmatar non esita a diffondere
ovunque la foto sua e di Pannella insieme
a Giovanni Paolo II, con evidenti
fini propagandistici. Contemporaneamente
i radicali, lei compresa, si
battono per la liberalizzazione della
droga, celebrano la breccia di Porta
Pia, rinvigoriscono l’Associazione per
lo sbattezzo e nutrono di menzogne e
di accuse contro la chiesa filiazioni radicali
come Anticlericale.net.
Ma in tempo di elezioni, quando occorre
prendere voti, mentire non è un
problema. Il fine giustifica i mezzi, per
chi ha fini molto piccoli, molto umani
e a breve scadenza. Così, per esempio,
appena annunciato l’appoggio del Pd
alla Bonino, per evitare polemiche in
quel frangente inopportune, la radicale
Maria Antonietta Coscioni ha
prontamente ritirato 2.400 emendamenti
alla legge sul testamento biologico.
Alla faccia della conclamata coerenza.
Vi erano infatti contenute esplicite
dichiarazioni a favore dell’eutanasia,
non solo nei casi estremi, come
spesso si vuole far credere, ma in assoluto.
Uno degli emendamenti opportunamente
ritirati, pronto forse a
essere riproposto dopo le Regionali,
cominciava infatti così: “Ogni persona
ha diritto di porre termine alla propria
esistenza” (Corriere, 13/1/2010).
Per fare un altro esempio, tratto dal
passato, le associazioni di cui la Bonino
fa parte ai tempi della famosa foto
pubblicata da Libero, il Cisa e il
M.L.D., non hanno nessuno scrupolo a
spiegare a tutti, a pagina 25 di un libretto
intitolato “Aborto: facciamolo
da noi” (Ed. Napoleone, 1975), che la
“cifra più riduttiva sugli aborti clandestini
ogni anno” in Italia è di “un
milione e mezzo”. Solo quattro pagine
dopo si dice, senza nessun ritegno, che
l’aborto clandestino nel nostro paese
“è vissuto da tre milioni di donne”
ogni anno. Sparare cifre assurde e coscientemente
gonfiate sino all’incredibile
è insomma ritenuto lecito, pur
di raggiungere l’obiettivo prefissato:
in questo caso far passare il ricorso all’aborto
come un fatto ormai normale
ed acquisito. Analogamente, nello
stesso libretto, non si ha scrupolo a sostenere
che il “diritto” all’aborto non
ammette eccezioni; che anzi spesso
abortire è un bene, “una scelta matura
e responsabile”, perché serve a tutelare
il nascituro da future condizioni
precarie (fisiche, psicologiche o solo
economiche che siano); oppure perché
va a vantaggio della “famiglia
preesistente, che spesso ha bisogno di
essere difesa e protetta in quanto già
reale e concreta”. Tenere il bambino,
al contrario, “a volte è un atto di debolezza
e di egoismo”, commesso da
chi non vuol capire che l’embrione e
il feto, che oggi con l’ecografia tutti
sappiamo essere già formati, non sarebbero
altro che “contenuto dell’utero,
ancora informe e grumoso”, una
“ipotesi di vita”, un “ovulo fecondato”
né “vitale né capace di vita” (“un ovulo
fecondato non è necessariamente
una vita; non lo è per il padre e non lo
è nemmeno per la madre”). Dunque,
per gli autori del citato manuale per
l’aborto, qualsiasi motivo è valido per
ricorrere al metodo Karman, quello
della pompa di bicicletta: un metodo
“semplice, rapido”, “per la donna e
non per il ginecologo”, con il “materiale
tutto in plastica, con la punta
tonda”, inventato “in una comune popolare
cinese”, come “rifiuto da parte
dei cinesi di utilizzare la scienza borghese
così come essa è”. Nello stesso
opuscolo la chiesa viene svillaneggiata,
e i cattolici nel contempo derisi o
adulati. Anche la chiesa, si sussurra
maliziosamente alle donne che per
motivi religiosi hanno qualche remora
ad abortire, ha sempre permesso
tale azione, anche all’epoca del terribile
Concilio di Trento. Per cui, care
donne timorate di Dio, non vi preoccupate
a ricorrere al nostro aiuto, tante
“associazioni cattoliche” già lo fanno.
Abortire non è un dramma, ma un
momento di crescita; non un atto di
egoismo, ma di maturità; neppure un
peccato, ma un gesto nel solco della
più pura tradizione evangelica. Infatti,
“solo nel 1869 Pio IX per ragioni politiche
(necessità di incrementare le
nascite per aver maggior forza lavoro
per la nascente industria) condannò
nell’enciclica Rerum Novarum (di
Leone XIII, ndr) l’aborto”.
Detto questo, mi chiedo se la doppiezza
radicale, e in particolare quella
della Bonino, sia la causa vera,
profonda, del voto che molti cattolici
le regaleranno. Non lo credo: di solito
si inganna solo chi è già bendisposto a
farsi ingannare, o chi ha perso il contatto
con la propria storia, con le ragioni
della propria cultura, in questo
caso della propria fede. E’ allora a
una crisi di fede e di ragione che occorre
ricondurre il fenomeno. Personalmente
ho un’ipotesi: il voto cattolico
alla Bonino mi sembra riconducibile
allo spirito irenistico che da quarant’anni
a questa parte è penetrato,
come il fumo di Satana di cui parlava
Paolo VI, nella Chiesa. Quel fumo che
avvolge la realtà, la verità, rendendola
indistinta e confusa, e che fa sì che
verità e carità, intimamente unite nel
Cristo, siano state disgiunte dai suoi
seguaci, non solo nei fatti, come è inevitabile,
ma addirittura nella teoria.
A partire soprattutto dagli anni sessanta,
dal Concilio e dal post Concilio,
infatti, si è diffusa in una certa parte
del mondo cattolico l’idea che verità e
carità siano in antagonismo, in alternativa:
aut… aut, e non più et… et. Sono
gli anni in cui si comincia a parlare
quasi esclusivamente della cosiddetta
“pastorale”: come annunciare
Cristo, come renderlo gradito al mondo,
come evitare gli errori del passato,
come fare la pace con la cultura contemporanea,
come farsi accettare da
tutti… Come, come, come…
Questo diventa il problema essenziale,
se non l’unico. L’assillo, direi,
che ottenebra molte intelligenze. La
forma diviene più importante della
sostanza e la sostanza viene mutata
per assumere forma più accattivante.
Si chiama “aggiornamento”, ottimismo
mondano e porta persino a cambiare
la traduzione del canone della
Messa: l’evangelico “versato per voi e
per molti”, che lascia intendere la
possibilità che alcuni uomini non vogliano
usufruire del sangue redentore
di Cristo, viene sostituito con “per voi
e per tutti”, frase molto più rassicurante,
che suggerisce una salvezza
universale e automatica per tutti.
Così, piano piano, mentre si addolcisce
il linguaggio e si smorzano le
sferzate evangeliche, si dimentica che
l’annuncio di Cristo non è solamente
una questione di modi e di linguaggi
appropriati; si omette di ammettere
che talora è necessario opporsi al
mondo, seguendo la via della croce,
dello scandalo, del martirio, che Lui
stesso, non altri, ha indicato. Inutile
dire che spostare ogni accento sulla
pastoralità, sulla carità, sulle modalità
opportune, sul dialogo, sull’incontro,
sull’apertura, ha condotto gradualmente
a oscurare il dogma, i contenuti,
la sostanza. Si è voluto rendere
insipido il sale; si è annacquata la
medicina perché non fosse più amara;
si è preferito essere medici pietosi,
che lasciano proliferare la piaga
ulcerosa, piuttosto che medici coscienti
e realistici. Ma è veramente
possibile scindere la carità dalla verità?
Cosa è l’aqmore, senza una meta,
vera, cui dirigerlo? E’ servito, al
“mondo”, che nessuno più lo richiamasse,
“opportune, importune”, come
raccomanda san Paolo? Ha aumentato
il tasso di felicità della nostra civiltà?
In nome dello spirito irenistico,
cioè relativista, si è smarrita in molti
la distinzione fondamentale tra peccatore
e peccato, e nella confusione,
si è ritenuto che abbracciare il peccatore
significhi nel contempo, necessariamente,
ignorare il peccato; che
abbracciare la donna e l’uomo che
hanno abortito comporti l’accettazione
dell’aborto, e la sua derubricazione
ad azione neutra e indifferente;
che l’evangelico “non giudicare” significhi
non prendere mai posizione
per la verità. Anche, se non soprattutto,
nei confronti di se stessi.
Solo così si può giustificare lo svilupparsi,
a poco a poco, di una catechesi
in cui non si parla quasi più delle
verità di fede, dei “novissimi” (morte,
giudizio, inferno, paradiso), del
senso del peccato, della confessione.
In cui non si discute, neppure tra cattolici,
per evitare scontri, dibattiti, frizioni,
delle cose più serie e più concrete
della vita di ogni giorno: la morale,
il fidanzamento, il matrimonio,
l’apertura ai figli. Al punto che il sottoscritto,
che nella Chiesa è cresciuto,
non ricorda di aver sentito quasi mai
un sacerdote o un catechista parlare
dell’indissolubilità del matrimonio,
del divorzio, dell’aborto e delle altre
sfide imposte dalla contemporaneità.
Mentre a scuola, o con gli amici, se ne
parlava spesso, senza che una voce
chiara e ferma, divinamente ispirata,
fosse neppure accessibile ai più.
Ovviamente, in questo abbraccio
col mondo, mentre si è ritenuto di poter
scindere la carità dalla necessaria
intransigenza sui principi, si è finiti
per mancare alla carità primaria del
cristiano: quella di dire e di annunciare
la verità ricevuta. Quella di non
nascondere la luce rivelata, per quanto
possa dare fastidio agli occhi di chi
è abituato alle tenebre, sotto il moggio.
In conseguenza di questo nuovo
spirito, si è sviluppato un cattolicesimo
delle “buone maniere”, della carità
spicciola, divenuta filantropia.
Così, piano piano sono nate generazioni
di cattolici che ritengono che il
peccato più grande sia votare Pdl o
Lega ( sembra, anzi, talora, che sia l’unico
peccato rimasto); che la fede sia
qualcosa di personale, che non incide
affatto nella vita di tutti i giorni; che
l’essenziale sia nascondere la propria
fede in Dio, perché non sia mai che il
dichiararla, anche senza nessun trionfalismo
o retorica, possa suonare come
“imposizione”; che la chiesa abbia
sempre sbagliato allorché ha lottato
per affermare qualche principio contro
il mondo; che i volontari del Movimento
per la vita siano fanatici residui
di un passato ormai al tramonto.
Questi cattolici di nuovo conio, ben
descritti da Alessandro Gnocchi e Mario
Palmaro nei loro pungenti manuali,
sono dediti ai mea culpa giornalieri
sul petto dei nostri padri; alla distribuzione
di cibo e di vestiario, come
unica proposta agli immigrati e ai
poveri del Terzo mondo, quasi Cristo
fosse venuto sulla terra esclusivamente
per moltiplicare i pani e i pesci e
non per darci “parole di vita eterna”.
Persa ogni concretezza e quotidianità,
esultano per le marce pacifiste, colorate
e poco impegnative, e schifano
chi prega dinnanzi alle cliniche abortiste
(ma spesso anche ci prega e basta);
ammirano le inutilissime sfilate
radicali a favore dei bambini che
muoiono di fame in Africa, ma non
sanno inorridire per le migliaia di
bambini che il ciclone Emmatar ha
eliminato con le proprie mani e col
sorriso sulla bocca.
Voteranno Bonino, magari senza
grande convinzione, ma per dimostrare
a se stessi di essere sufficientemente
“laici”, per sentirsi moderni,
aperti e dialoganti. Come quella Maria
Pia Garavaglia, senatrice cattolica
del Pd, che mi ha scritto per complimentarsi,
calorosamente, per la mia
nomina alla direzione di un Movimento
pro life, e qualche giorno dopo,
con lo stesso entusiasmo, ha condannato
un eventuale “rifiuto” e “chiusura”
degli elettori cattolici verso la Bonino.
Poi la ha ampiamente lodata e
imbrodata in un’intervista a Radio radicale,
come “persona di qualità politiche
e umane” e ha solennemente dichiarato:
“Conosco e stimo la candidata
e sono sicura che, nella sua campagna
elettorale, saprà valorizzare temi
e programmi che stanno a cuore
agli elettori cattolici”. Quali temi e
quali programmi. non si sa.

Il Foglio 26 gennaio 2010