Il giudice ha rimproverato l'accusa: "Che cosa ci fa questa donna in tribunale"dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
LONDRA - E' una sentenza che potrebbe modificare la legge sul suicidio assistito. Come minimo, è una decisione senza precedenti, uno di quei casi che pongono l'opinione pubblica davanti a un brutale dilemma: cosa avrei fatto, se in quella giuria ci fossi stato io? Kay Gilderdale, una ex infermiera cinquantacinquenne di Stonegate, East Sussex, è stata assolta con formula piena dall'accusa di avere aiutato la figlia Lynn, affetta da un male incurabile, a togliersi la vita. Non solo: dopo che la giuria ha pronunciato il verdetto di "not guilty", non colpevole, il giudice ha apertamente rimproverato in aula la pubblica accusa, sostenendo che la donna non avrebbe dovuto mai essere processata: "Cosa ci fa questa imputata in tribunale?"
Sua figlia Lynn, che soffriva di encefalomielite mialgica da ben 17 anni, aveva più volte detto alla madre che non ce la faceva più a sopportare il suo male. Stamane i giornali pubblicano lettere e pagine dal suo diario in cui la ragazza descrive la sua graduale caduta in un abisso di dolore sempre più atroce. "Voglio morire", aveva ripetuto più volte alla madre, che alla fine l'ha aiutata a realizzare la sua volontà, utilizzando morfina e altri medicinali. L'ex infermiera era rimasta a lungo in preda a un terribile dubbio, incerta se rispettare il desiderio della figlia e porre fine alle sue sofferenze o rifiutarsi per averla comunque vicina. "Ti senti il cuore strappato dal petto", ha detto al processo, "perché l'unica cosa che vorresti è farla stare meglio, farla sopravvivere".
Lynn aveva tentato già una volta il suicidio, senza successo, e aveva dichiarato nella sua scheda medica che non voleva essere rianimata e tenuta in vita artificialmente, nel caso fosse entrata in coma. Tecnicamente, la madre era accusata di tentato omicidio, perché secondo l'accusa non era chiaro se a uccidere la ragazza fossero stati i farmaci presi autonomamente dalla stessa Lynn o quelli che le aveva somministrato la madre. "La sua scelta di morire è stata comunque pienamente consapevole", ha concluso il giudice. Kay ha lasciato il tribunale in lacrime, dopo che parenti, amici e pubblico presente in aula hanno applaudito la sentenza di assoluzione.
Un verdetto opposto a quello emanato pochi giorni fa da un altro tribunale britannico, che ha invece condannato un'altra madre, Frances Inglis, a nove anni di carcere, per avere ucciso con un'overdose di eroina il proprio figlio, anche lui malato terminale, sofferente di gravi lesioni cerebrali. In quel caso, forse perché il figlio era più giovane, forse perché non aveva avuto l'opportunità di esprimere chiaramente la propria volontà di morire, il giudice era stato dell'avviso che l'imputata andasse condannata, sebbene non alla pena massima prevista, che sarebbe stata di quindici anni di carcere. "Nessuno ha il diritto di prendere la legge nelle proprie mani e di mettere fine a una vita umana", aveva dichiarato il magistrato. Ma ora, alla luce della sentenza di assoluzione per Kay Gilderdale, la Gran Bretagna dibatte se sia necessario cambiare appunto la legge che vieta e punisce il suicidio assistito.
Sua figlia Lynn, che soffriva di encefalomielite mialgica da ben 17 anni, aveva più volte detto alla madre che non ce la faceva più a sopportare il suo male. Stamane i giornali pubblicano lettere e pagine dal suo diario in cui la ragazza descrive la sua graduale caduta in un abisso di dolore sempre più atroce. "Voglio morire", aveva ripetuto più volte alla madre, che alla fine l'ha aiutata a realizzare la sua volontà, utilizzando morfina e altri medicinali. L'ex infermiera era rimasta a lungo in preda a un terribile dubbio, incerta se rispettare il desiderio della figlia e porre fine alle sue sofferenze o rifiutarsi per averla comunque vicina. "Ti senti il cuore strappato dal petto", ha detto al processo, "perché l'unica cosa che vorresti è farla stare meglio, farla sopravvivere".
Lynn aveva tentato già una volta il suicidio, senza successo, e aveva dichiarato nella sua scheda medica che non voleva essere rianimata e tenuta in vita artificialmente, nel caso fosse entrata in coma. Tecnicamente, la madre era accusata di tentato omicidio, perché secondo l'accusa non era chiaro se a uccidere la ragazza fossero stati i farmaci presi autonomamente dalla stessa Lynn o quelli che le aveva somministrato la madre. "La sua scelta di morire è stata comunque pienamente consapevole", ha concluso il giudice. Kay ha lasciato il tribunale in lacrime, dopo che parenti, amici e pubblico presente in aula hanno applaudito la sentenza di assoluzione.
Un verdetto opposto a quello emanato pochi giorni fa da un altro tribunale britannico, che ha invece condannato un'altra madre, Frances Inglis, a nove anni di carcere, per avere ucciso con un'overdose di eroina il proprio figlio, anche lui malato terminale, sofferente di gravi lesioni cerebrali. In quel caso, forse perché il figlio era più giovane, forse perché non aveva avuto l'opportunità di esprimere chiaramente la propria volontà di morire, il giudice era stato dell'avviso che l'imputata andasse condannata, sebbene non alla pena massima prevista, che sarebbe stata di quindici anni di carcere. "Nessuno ha il diritto di prendere la legge nelle proprie mani e di mettere fine a una vita umana", aveva dichiarato il magistrato. Ma ora, alla luce della sentenza di assoluzione per Kay Gilderdale, la Gran Bretagna dibatte se sia necessario cambiare appunto la legge che vieta e punisce il suicidio assistito.
© La Repubblica (26 gennaio 2010)