Da Oasis, che ringraziamo.
I media davanti alla strage dei cristiani: la denuncia di cristianofobia e lo stupore
di Marialaura Conte, 20/01/2010
C’è che l’ha chiamata definitivamente “cristianofobia”, chi vi ha riconosciuto la traduzione pratico del grido “ammazzateli tutti”, chi si stupisce per il fatto che i Paesi a maggioranza musulmana dell’estremo Oriente si stiano mostrando più estremisti e violenti di certi Paesi del Medio Oriente. Certo è che gli attacchi tragici in Iraq nei giorni della festa cattolica di Natale, la strage dei copti in Egitto in occasione del Natale ortodosso e la serie troppo lunga di chiese attaccate in Malesia attorno all’Epifania non ha lasciato la stampa mondiale indifferente. Ecco solo alcuni dei numerosi passaggi significativi emersi nei giorni scorsi.
Il quotidiano arabo Asharqalawsat (con website anche in inglese) ha presentato la cronaca dei fatti malesi riprendendo l’agenzia internazionale Reuters (www.aawsat.com/english), che dà voce ai cristiani minacciati: «“Ci sono estremisti in questo Paese e il governo sembra incapace di fare alcunché”, ha detto Wilson Matayun, un commerciante che andava a messa nella chiesa di Sant’Antonio a Kuala Lumpur. “Sto perdendo la mia fiducia nel governo.”». Ma il quotidiano non si è limitato a questo e sui fatti egiziani ha lasciato a Hussein Shobokshi, editorialista di punta della testata, lo spazio per una condanna radicale in un pezzo dal titolo Kill ‘em all. In un passaggio scrive l’autore: «Una punizione collettiva è una punizione che mira a colpire vittime innocenti; questo non è accettabile dal punto di vista religioso, morale, logico, o da parte di chiunque abbia una coscienza».
Il New York Times, che a più riprese ha riservato spazio agli attacchi e attentati contro i cristiani, a proposito della Malesia ha scartato l’alibi religioso e ha rintracciato le cause delle violenze in vicende politico-strategiche-elettorali: «“La religione è diventata uno strumento molto più utile per i partiti che si fondano sulle divisioni etniche,” ha detto Ooi: “Trovano difficile parlare di problemi razziali ma possibile parlare di problemi religiosi. Vediamo ora il risultato di un ventennio di opportunismo politico”. Il confine tra etnia e religione è incerto in un Paese la cui Costituzione confonde l’identità malese con quella musulmana”, ha detto Jacqueline Ann Surin, editore di The Nut Graph, un sito malese di commenti alle notizie. Il caso della Malesia è unico, nel senso che abbiamo una politica basata sull’etnia e negli ultimi dieci anni abbiamo visto un’escalation della nozione della superiorità dei Malesi autoctoni,” ha detto.“Ciò è stato messo in evidenza dai ripetuti tentativi da parte della direzione dell’U.M.N.O. (United Malays National Organization) di promuovere la nozione di ‘ketuanan Melayu’, ossia supremazia o dominanza malese. L’U.M.N.O. è il partito al potere».
Sempre il New York Times in un pezzo intitolato Allah - the Word (atwar.blogs.nytimes.com)
(di Anthony Shadid, editorialista con sede a Baghdad), manifesta una certa sorpresa nel rilevare che venga da un Paese come la Malesia e non da un Paese del Medio Oriente, di cui è universalmente conosciuto il rigore nel rispetto delle pratiche musulmane, la violenta guerra che si è aperta sul terreno della lingua. La pretesa cioè che la parola Allah sia appannaggio esclusivo dei musulmani, sia una loro esclusiva da difendere con le armi: «Nessuno potrebbe considerare il Medio Oriente un modello di tolleranza. In questa regione, infatti, la tolleranza non corrisponde mai alla diversità presente nella regione stessa, come dimostra l’indebolimento delle comunità ebree e cristiane, di antica tradizione, e la lotta tra le sette che ribolle e talvolta esplode in Egitto e in Libano. Una lotta che si combatte in gran parte del Medio Oriente per rivendicare tutto, dalla storia al potere. Fondamentalmente, questa lotta ruota intorno all’asse dell’identità, oggi più che mai definita come identità religiosa. Ma nel Medio Oriente l’arabo parlato, che deriva dalla lingua millenaria nella quale i musulmani credono che Dio abbia parlato a Maometto, non è ancora diventato campo di battaglia. Inshallah, se Dio vorrà, tutti dicono, usando il tempo futuro, a proposito di tutto, da un appuntamento fissato per il giorno seguente al sole che sorge da oriente. Lo stesso vale per In Allah rad, se Dio vuole. La parola Allah si insinua virtualmente in ogni saluto, augurio e condoglianza espressi alle partenze e agli arrivi, alle nascite, alle morti, una distillazione vecchia di secoli di reciprocità di rapporti sociali che garantisce che quasi nessun momento trovi impreparati. Kater khair Allah, direbbe un cristiano nella città di Hikmat al suo vicino musulmano».
Ma l’espressione più drastica è stata usato dal Wall Street Journal che ha espressamente parlato di “islamic christianophobia” (online.wsj.com) e ha denunciato l’ignoranza che impera ovunque sul tema delle persecuzioni dei cristiani nel mondo musulmano: «In Egitto, sette cristiani copti sono stati assassinati ieri da un musulmano armato di pistola mentre uscivano dalla messa di mezzanotte nella città meridionale di Nag Hamadi. In Pakistan più di 100 case cristiane sono state prese d’assalto da una folla musulmana il luglio scorso nel villaggio di Bahmaniwala. Nello stesso mese, in Iraq sette chiese cristiane sono state bombardate a Baghdad e Mosul nell’arco di tre giorni. Tali atrocità – e ci sono decine di altri esempi – ricordano tristemente che quando si tratta di persecuzione pochi gruppi hanno sofferto quanto i cristiani in terra musulmana; ancora meno hanno ricevuto così poca attenzione».
C’è poco da stupirsi secondo il WSJ se ne vanno da questi Paesi, la loro madrepatria, ed emigrano in Europa e Usa: «Potrebbe sembrare naturale che almeno in Occidente ci si accorgesse delle sofferenze di questi cristiani. Invece, l’attenzione sembra perennemente focalizzata sull’ “Islamofobia”, anche da parte dell’infelicemente denominato “Human Rights Council” delle Nazioni Unite. In Novembre, il referendum svizzero per bandire la costruzione di minareti (ma non delle moschee) provocò una reazione isterica in gran parte dell’Europa. Tuttavia, la tolleranza dell’Occidente nei confronti della sua grande popolazione musulmana si pone in netto contrasto con il bigottismo del mondo musulmano e la persecuzione delle sue minoranze religiose. Questo è un fatto da considerare la prossima volta che gli Occidentali si rammaricheranno al pensiero della propria “intolleranza”».
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