DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

IL PAPA VISTO DAL RABBINO. Le radici giudaico-cristiane nell’incontro tra due professori. Quattro giorni con Jacob Neusner a Roma

di Andrea Monda

Sono stato in compagnia di Jacob
Neusner in questo tranquillo
weekend romano di dicembre senza
pioggia, ed è stata un’esperienza singolare
che vorrei augurare a tutti noi
italiani dagli occhi pigri e impolverati.
Ho capito infatti quello che intende
Tolkien quando scrive che “Dovremmo
guardare ancora il verde, ed essere
nuovamente stupiti […] riguadagnare,
un ritrovare una visione chiara.
Dobbiamo, in ogni caso, pulire le nostre
finestre, in modo che le cose viste
con chiarezza possano essere liberate
dalla tediosa opacità del banale o del
familiare”. Per un romano niente di
più familiare del Papa. Anche quando
è di un paese lontano, il Papa è sempre
trasteverino. E se è bello che il
Papa sia qualcuno di familiare, può
essere un rischio se diventa banale, se
le nostre finestre si opacizzano e s’incrostano
di pregiudizi. Per fortuna,
sempre secondo Tolkien, c’è “l’umiltà.
E c’è, soprattutto per gli umili, Mooreeffoc,
vale a dire la fantasia chestertoniana.
Mooreeffoc è una parola immaginaria,
ma la si può trovare bell’e
scritta in ogni villaggio del nostro paese.
E’ infatti l’insegna di un Coffeeroom,
un caffé, vista dall’interno, attraverso
una porta vetrata, come è stata
vista da Dickens in una buia giornata
londinese; e Chesterton se ne è servito
per designare la bizzarria di cose
che sono divenute ovvie, quando le si
scorga, all’improvviso, da un altro
punto di vista”. Jacob Neusner è venuto
qui in Italia per rispolverare occhi
e pulire qualche finestra.
Lo avevo conosciuto solo via mail,
nel maggio del 2007, per intervistarlo
per il Foglio sul libro del Papa che lo
aveva chiamato in causa dedicandogli
diverse pagine a commento del Discorso
della Montagna. Ora è venuto
qui a Roma proprio a esporre il suo
commento a quello che è il più famoso
di tutti i discorsi in un dialogo pubblico
con monsignor Bruno Forte che
si è svolto lunedì sera all’Auditorium
di Roma in occasione della presentazione
del libro Imago Christi realizzato
dalla Fondazione Marilena Ferrari-
FMR. Era stata proprio la Fondazione
a chiedermi di invitare Jacob
Neusner per un confronto sul testo
dei capitoli 5-7 del Vangelo secondo
Matteo e non c’era scelta più indovinata:
già nel 1993 Neusner aveva
scritto un saggio “A Rabbi talks with
Jesus” (poi pubblicato dalla San Paolo
nel 2007) in cui il rabbino immaginava
di essere lì, sulla montagna ad
ascoltare le ipsissima verba Christi
per la prima volta, sforzandosi di eliminare
quel bimillenario accumulo
di giudizi e pregiudizi, commenti,
comprensioni e precomprensioni che
si era creato su quel testo. Lo sforzo
era piaciuto tanto all’allora cardinale
prefetto della Dottrina della Fede Joseph
Ratzinger (“Questa disputa mi
ha aperto gli occhi sulla grandezza
della parola di Gesù”) al punto che
quindici anni dopo, una volta diventato
Papa, ha inteso ripercorrere sul
suo libro su Gesù di Nazareth quel
lungo dialogo a distanza con l’amico
rabbino americano. La cosa mi colpì
anche perché mi era stata sottolineata
dall’amico Elio Guerriero, curatore
dell’edizione italiana del volume
papale: “Lo spazio dedicato al rabbino
Neusner è davvero sorprendente,
segnale di una precisa volontà, un
grande passo in avanti nel dialogo
con gli Ebrei”. E così feci la cosa più
semplice da fare: navigai su Internet
e in pochi secondi trovai l’indirizzo
mail di Neusner che intervistai. Al
termine della lunga chiacchierata via
mail eravamo amici: il rabbino, che
rispondeva subito, laconicamente ma
con una prontezza commovente e sorprendente
per i miei tempi italicamente
pigri, mi disse che mi poteva
chiamare Jacobbo, che per lui è l’equivalente
italiano di Jacob (ma ora
ha capito lo spelling esatto e quando
mi ha fatto l’autografo sul suo libro ha
scritto correttamente Giacomo).
Il mio amico Giacomo mi ha infatti
regalato un libro, l’edizione italiana
della sua introduzione al Talmud di
cui è uno dei massimi esperti al mondo
(il suo sito universitario elenca più
di 800 pubblicazioni sulla tradizione
rabbinica) e mi ha anche fatto dono di
un detto del Talmud che lui ha scelto
come stile di vita: “Say little but do
much: dire poco ma fare molto”. Gli
ho citato il detto italiano “chi fa non
parla, chi parla non fa” e se n’è rallegrato,
non solo perché capisce molto
bene l’italiano, nonostante gli anni e
gli acciacchi si facciano sentire, ma
anche perché sente profondamente la
vicinanza tra l’Italia e l’America. “Roma
mi ricorda New York”, mi dice
mentre passeggiamo nei pressi di Villa
Borghese, “è un centro vitale, pulsante,
e ricco di bellezza”. Ma la vicinanza
che a lui sta a cuore è un’altra:
“Il Talmud è un testo che si riferisce
alla tradizione orale del giudaismo.
Oltre alla parte scritta, la Torah, noi
ebrei diamo molta importanza alla
parte orale, al Talmud. Proprio come
nella chiesa cattolica dove c’è non solo
la Scrittura ma anche la Tradizione.
Ecco un’altra cosa che ci accomuna”.
Gli chiedo ancora del Talmud, dire
che ne è affascinato non renderebbe
l’idea, e mi spiega che è un libro frutto
dello studio di generazioni di rabbini,
quasi uno studio sul concetto di
studio. E’ una cosa fondamentale per
Neusner lo studio e mi cita Elie Wiesel
che nel saggio Celebrazione talmudica
afferma: “Lo studio significa opporsi
alla morte; e a ciò che vi è di
peggio della morte: all’oblio”. Gli comincio
a parlare di Benedetto XVI
che già nel suo primo viaggio apostolico,
a Colonia nel 2005, andò a visitare
una sinagoga tedesca e parlò ai giovani
del mondo contemporaneo affetto
da “una strana dimenticanza di Dio” e
lui si mostra in perfetta sintonia: “Oggi
si vive nell’oblio. Ciò che manca è lo
studio della storia. Penso alla questione
delle radici cristiane. Forse è sempre
stato un po’ così… mi viene in
mente che per i giovani americani di
oggi parlare della guerra del Vietnam
è come quando a me parlavano della
Prima guerra mondiale, un passato
che non mi apparteneva”. Ma Neusner
non dispera, si dichiara felice di
essere nato americano (da una famiglia
proveniente da Odessa) perché,
dice, “ho speranza nel popolo americano
in quanto è un popolo capace di
autocritica. Siamo patriottici nel senso
profondo e buono del termine”. Gli
chiedo quali siano i rapporti negli Stati
Uniti tra ebrei e cristiani e la risposta
è lapidaria: “Ottimi. Soprattutto
nei piccoli centri c’è un bellissimo
rapporto tra cristiani ed ebrei. Io ho
tanti amici cristiani e cattolici, penso
a monsignor John Favalora, arcivescovo
di Miami, e al professore Andrew
Greley di Chicago. Ma anche qui in
Italia, come gli amici della Comunità
di Sant’Egidio. Ricordo quando mi invitarono
negli anni Novanta a Milano
dove incontrai il rabbino Giuseppe
Laras che era amico dell’allora arcivescovo
della città”. Neusner stesso è
un crocevia vivente del rapporto tra
ebrei e cristiani: a 78 anni ancora insegna
e nel semestre primaverile tiene
un corso, alla Bard University, di
studi comparativi sulla dottrina sociale
secondo il giudaismo e il cristianesimo
classico, da Paolo a Ireneo, da
Origene ad Agostino. Ancora più lapidaria
è la risposta alla mia domanda,
forse troppo candida, sul perché si sia
tanto interessato al cristianesimo:
“Perché è la religione che ha conquistato
il mondo ed è il futuro del mondo,
perché si erge a difesa della vita
contro la morte”.
Tre sono stati i momenti forti di
questi quattro giorni romani di Neusner:
la partecipazione alla visita del
Papa in sinagoga, l’udienza privata
del Papa riservata a lui e alla moglie
Suzanne e il dialogo all’Auditorium
con monsignor Forte sul Discorso della
Montagna. Sul primo Neusner è stato
chiaro: “Un incredibile evento di
partecipazione, con ogni posto a sedere
occupato, sono stato davvero felice
di parteciparvi, un buon segno per il
dialogo religioso”. Sul secondo si dilunga
invece molto di più, parliamo “a
caldo” (l’ho accompagnato io in Vaticano),
cioè a visita appena avvenuta, e
il racconto che ne fanno i coniugi
Neusner vale la pena di riportarlo per
intero: “Siamo arrivati al Cortile San
Damaso alle 11,15 e abbiamo aspettato
a lungo per essere ricevuti, il Papa
infatti era in ritardo sugli appuntamenti.
Ci hanno fatto accomodare in
una stanza, molto bella in verità, poi ci
hanno chiesto di spostarci in un’altra
ancora più bella, poi in un’altra ancora…
insomma, abbiamo visitato cinque
diverse stanze, tutte splendide, e
in ognuna entrava qualcuno che ci
chiedeva scusa a nome del Papa; persone
gentilissime che parlavano ognuna
una lingua diversa, noi ce la siamo
cavata con l’inglese. Nessuno però ci
ha mai indicato dove fosse la toilette,
mi ha colpito, quando siamo stati ricevuti
alla Casa Bianca più volte ci hanno
chiesto se avevamo bisogno del bagno,
ma si sa, noi americani siamo
gente più pratica. Finalmente entriamo
nello studio del Papa (ma quant’è
grande, lo studio!) ed eravamo veramente
elettrizzati. Lui è stato gentilissimo
e ci ha messo a nostro agio. Eravamo
solo noi tre e siamo rimasti soli
per quindici minuti, il tempo sufficiente
direi, per due professori. Conoscevo
da tanti anni lo studioso e lo stimavo,
ora ero molto interessato a incontrare
e conoscere l’uomo. E Ratzinger
è un uomo umile, gentile. Non
sente l’urgenza di riempire il silenzio
tra una parola e l’altra, si mette in
ascolto. Inoltre ha ancora la sana curiosità
dello studioso, non l’ha messa
da parte. Mi ha chiesto dei miei studenti,
gli ho detto che li adoro e lui ha
sorriso, ha capito cosa intendevo con
quell’espressione. La cosa che più mi
ha colpito sono stati i suoi occhi penetranti,
capace di attraversarti”. Mentre
Neusner parla mi viene in mente
l’espressione che usa Pier Paolo Pasolini
nel suo libro sull’India quando
parla di Madre Teresa di Calcutta:
“Quando guarda, vede” e poi la Deus
Caritas est che al punto n. 31 afferma:
“Il programma del cristiano è un cuore
che vede”. Neusner continua su
questo aspetto degli occhi e della visione.
“Ratzinger è un uomo che ha
una visione: per l’Europa, per il mondo,
per l’umanità, per la vita (e contro
la morte). Nessun altro oggi sembra
avere una visione, anche la politica un
po’ dovunque è in crisi. Quest’uomo
gentile sa dove vuole andare”. Gli
chiedo se hanno parlato di politica,
nega recisamente: “Non abbiamo parlato
di politica”. E dell’incontro di ieri
in sinagoga? Niente. E di che cosa
avete discusso? “Abbiamo parlato dei
nostri libri, come si fa tra professori.
Io gli ho regalato due libri, l’edizione
italiana del mio saggio sul Talmud e
l’edizione tedesca di “Un rabbino parla
con Gesù” e lui lo ha molto gradito
perché l’aveva letto in inglese (lingua
che conosce e pronuncia in modo eccellente)
e anche perché, ha detto,
‘non sono libri molto lunghi… così li
potrò leggere’, ha soggiunto quasi sospirando
e mi ha parlato del suo nuovo
libro, il secondo volume su Gesù di
Nazareth che ha da poco finito e che
uscirà tra sei mesi. Gli ho chiesto se
aveva in mente di scrivere altri libri
ma la risposta (che sembra rivelare il
suo desiderio reale) è stata piuttosto
negativa: “Ho 83 anni, altre cose da fare”.
Al che ho desistito dal mio intento,
quello di proporgli di scrivere un
libro insieme”. L’ho lasciato parlare,
finire di raccontare questo strano incontro
tra due vecchi professori che
ora si trovano di nuovo a migliaia di
chilometri di distanza e, pur essendosi
incontrati per soli quindici minuti,
forse sono un po’ meno soli.
Il terzo momento è stato lunedì sera
all’Auditorium, il dialogo pubblico
tra lui e S. E. monsignor Forte. Avevamo
pranzato insieme con Neusner e
mi aveva detto che aveva letto e apprezzato
il testo che l’arcivescovo di
Chieti avrebbe letto apparso sul Sole
24 Ore (il rabbino legge e parla correttamente
l’italiano). Il rischio a questo
punto era, per dirla con Bernanos, che
l’incontro tra il teologo cattolico e il
rabbino ebreo fosse una conversazione
all’insegna del miele piuttosto che
un dibattito con la giusta dose di sale,
ma il rischio è stato scongiurato grazie
soprattutto alla sincerità dei due interlocutori
che sono rimasti amabilmente
in disaccordo. “Un vero maestro
non è chi dice qualcosa di nuovo,
ma chi dice qualcosa di vero”, ha affermato
Neusner, e monsignor Forte
ha apprezzato la franchezza aggiungendo
che: “La novità del messaggio
di Cristo non sta nel messaggio ma nel
messaggero”. “Chi si dichiara Signore
del Sabato si pone fuori e al di sopra
della Torah”, ha ribadito il rabbino,
ma “il Discorso della Montagna non è
una legge che si contrappone alla legge
mosaica”, ha concluso il teologo (citando
il protestante Jeremias), “bensì
un Vangelo, la buona notizia sull’amore
di Dio che si incarna per salvare gli
uomini”. Un confronto vero contrassegnato
dalle rotondità delle arcate dei
discorsi di Forte e dalle secche e rapide
risposte di Neusner.
E laconico è stato anche in auto
mentre ritornava in albergo, quando
ho pensato di provocarlo chiedendogli
di Pio XII: “Ora è troppo presto per
giudicare. Certo mi sembra che ci siano
degli attacchi contro il dialogo tra
noi e la chiesa da persone che disonestamente
non hanno alcun interesse
nemmeno nella causa del giudaismo”,
ma non ha voluto aggiungere di più.
Gli ricordo la posizione di un ebreo
italiano come Paolo Mieli, che ha più
volte affermato di aver apprezzato
molto di più gli interventi reali e concreti
della chiesa che ha salvato tante
vite umane, rispetto all’ipotetico discorso
pubblico di denuncia da parte
del Papa. Neusner mi ha guardato e
mi ha risposto ancora una volta laconicamente:
“Say little but do much”.
Alla fine di questo intenso weekend
con un anziano rabbino in giro per
Roma, con il suo fare un po’ stravagante,
teso più a osservare che a parlare,
posso dire che proprio il suo essere e
venire “da fuori” mi ha aiutato a ripulire
le mie finestre e a vedere una cosa
così vicina, come il Papa, da un’altra
prospettiva. E se invece penso al
mio amico Jacob-Giacomo, che ora è
in viaggio per New York, mi viene subito
in mente quello che Gesù disse
del baldanzoso apostolo Natanaele,
quello che lo sfotteva sulle sue origini
di Nazareth: “Ecco un israelita senza
falsità!” (Gv 1,47).

Chi è Jacob Neusner, il rabbino amico di Benedetto XVI che parla con Gesù

Roma. L’altro ieri, all’indomani della partecipazione
alla visita del Papa alla Sinagoga di Roma e
qualche ora prima di un dialogo pubblico tenuto all’Auditorium
con l’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno
Forte, il grande biblista ebreo americano Jacob
Neusner è stato ricevuto in Vaticano da Benedetto
XVI. Un’udienza che suggella una particolare amicizia:
i due, che già si erano incontrati personalmente
in occasione della visita del Papa alla sinagoga di
New York dell’aprile 2008, hanno infatti coltivato
per anni un intenso rapporto epistolare. La cosa è
stata rivelata anche dal Papa nel quarto capitolo del
suo “Gesù di Nazaret” dove egli descrive Neusner
così: “Un ebreo osservante e rabbino, cresciuto in
amicizia con cattolici ed evangelici, insegna all’università
insieme con teologi cristiani e nutre un
profondo rispetto nei confronti della fede dei suoi
colleghi cristiani, ma resta saldamente convinto della
validità dell’interpretazione ebraica delle Sacre
Scritture”. Secondo Ratzinger, sono stati “il profondo
rispetto verso la fede cristiana e la sua fedeltà al
giudaismo” che hanno indotto Neusner a cercare il
dialogo con Gesù”.
Nato a Hartford nel Connecticut nel ’32, sposato e
padre di quattro figli, Neusner è un rabbino culturalmente
influente quanto raffinato, tra i massimi
esperti delle Sacre Scritture ebree: a oltre novecento
ammontano le sue pubblicazioni su Torah, Mishnah,
Talmud e sui Midrash. Ha insegnato in diverse
università americane (Columbia, Wisconsin, Dartmouth)
e dal ’94 insegna Storia e teologia del giudaismo
al Bard College di New York. Ma la grande notorietà
di cui gode gli è arrivata proprio con la pagina
129 del saggio di Benedetto XVI su Gesù di Nazaret.
Qui il Papa riconosce il “grande aiuto” che ha
ricevuto dalla lettura del libro del rabbino.
Il Papa parla di Neusner quando esamina i tre
capitoli del vangelo di Matteo, dal quinto al settimo,
che raccolgono il Discorso della montagna, che per
i cristiani è “la nuova Torah, portata da Gesù” dopo
quella consegnata al popolo di Israele da Mosè. Qui
entra in scena Neusner con il suo libro “Un rabbino
parla con Gesù”. Neusner, scrive il Papa, “si è,
per così dire, inserito tra gli ascoltatori del Discorso
della montagna e ha poi cercato di avviare un colloquio
con Gesu”. E ancora: “Questa disputa, condotta
con rispetto e franchezza fra un ebreo credente
e Gesù, il figlio di Abramo, più delle altre interpretazioni
del Discorso della montagna a me note,
mi ha aperto gli occhi sulla grandezza della parola
di Gesù e sulla scelta di fronte alla quale ci pone il
Vangelo. Così desidero entrare anch’io, da cristiano,
nella conversazione del rabbino con Gesù, per comprendere
meglio, partendo da essa, ciò che è autenticamente
ebraico e ciò che costituisce il mistero di
Gesù”. Papa Ratzinger – ha ricordato il cardinale
Christoph Schönborn presentando nel 2007 il libro
in Vaticano – definì il libro del rabbino Neusner come
“il saggio di gran lunga più importante per il
dialogo ebraico-cristiano che sia stato pubblicato
nell’ultimo decennio”. Perché? “Perché egli oppone
un netto rifiuto a tutti i tentativi di scindere il Gesù
storico dal Gesù del dogma della chiesa. (pr)

Il Foglio 19 gennaio 2010