per anni uno dei principali fautori del dialogo
tra cultura laica e religiosa a Milano
(è stato rabbino della città dal 1980 al
2005), ha spiegato che non ci sarà domenica
ad accogliere il Papa alla sinagoga di
Roma: “La visita è un fatto negativo, non
porterà nulla di buono, ma servirà solo ai
settori più retrivi della chiesa”, ha detto
elencando gli “infortuni sul lavoro” del
pontificato ratzingeriano, dalla revoca della
scomunica del vescovo lefebvriano Richard
Williamson al processo di beatificazione
di Pio XII sul quale,
ieri, anche la rivista
ebraica Shalom ha espresso
riserve. A Laras ha risposto
il rabbino capo di Roma
Riccardo Di Segni, colui che
dopo il tempo delle aperture
del rabbino Elio Toaff sembrava
voler mettere in campo una linea
più severa verso i cattolici.
E invece: “Rispetto le opinioni
differenti, rispetto il rabbino Laras
per la sua storia e per la sua
dottrina – ha detto Di Segni – ma
sarà il tempo a decidere quale delle
opposte visioni era la giusta”.
Non è la prima volta che sul papato
(non soltanto quello in corso) la comunità
di Roma e quella di Milano si scontrano.
Anche recentemente, dopo la firma di Ratzinger
del decreto sulle virtù eroiche di
Pio XII, emersero attriti. Laras è un rabbino
colto: discepolo della scuola dell’ebraismo
ortodosso e illuminato di Chayes e
Margulies (rispettivamente in passato rabbino
capo di Vienna e di Firenze), studioso
del pensiero di Mosè Maimonide, per
anni ha rappresentato assieme al cardinale
Carlo Maria Martini un percorso diverso
da quello romano: cattolicesimo ambrosiano
e un certo ebraismo di sinistra uniti
contro la città che oggi è di Ratzinger e Di
Segni ma che prima era di Wojtyla e Toaff.
Il Vaticano oggi cerca di restare neutrale.
Per provare, domenica, a rispondere alle
critiche coi contenuti, come è nello stile
del Papa. In sinagoga andrà il meglio
dell’entourage che coadiuva Benedetto
XVI nei rapporti con gli ebrei. E’ una
squadra studiata a tavolino per andare incontro
alle diverse sensibilità ebraiche.
Pedine fondamentali per continuare la
strada aperta da Giovanni XXIII nel
1959 quando benedì per la prima
volta gli ebrei che uscivano
dalla sinagoga sul Lungo Tevere
di Roma e percorsa da
Giovanni Paolo II con la visita
del 1986.
Oltre al segretario di stato Tarcisio
Bertone e al sostituto Ferdinando
Filoni, c’è il cardinale Walter
Kasper. All’interno del pontificio
consiglio per l’unità dei cristiani
guida la commissione per i rapporti
con l’ebraismo la quale,
per sottolineare il posto
speciale del credo ebraico
nella chiesa cattolica, non si trova
alle dipendenze del dicastero che si occupa
di dialogo interreligioso. Kasper è
per il mondo ebraico una figura importante.
Ogni volta che i rapporti si fanno difficili
è lui a intervenire. A volte anche smussando
certe spigolature dei testi ufficiali.
Con Kasper, esponenti della Comunità di
Sant’Egidio, Fouad Twal, patriarca latino
di Gerusalemme che impersona una linea
morbida rispetto a Israele, e monsignor
Bruno Forte che nel dopo Kasper sembra
destinato a dire la sua.
Il Foglio 15 gennaio 2010