di Umberto Silva
Si concluderà mai la guerra di religione
che da un ventennio eccita
ma anche ipnotizza gli italiani? Nel
2010 il partito cattolico e quello protestante
faranno la pace di Westfalia?
Cattolici, protestanti: con tali nomi indico
i contendenti non in base a una
professione di fede, quanto per la modalità
del pensare e dell’agire, per il carattere:
gaudenti e ingordi, indulgenti e
teatrali gli uni; saccenti e malinconici,
moralisti e accorti gli altri; e tuttavia
entrambi a loro modo industriosi. E per
questo rivali, insofferenti. Ma oggi il disagio
della civiltà esige un passo. Come
ogni Papa che si rispetti, nel momento
difficile, quando più la civiltà viene minacciata
dal nichilismo, Benedetto
XVI, veggente urbi et orbi ben più di
ogni mago, invita all’intesa: imprese necessarie
e meritevoli urgono. Dopo l’attentato
al premier ha preso a serpeggiare
un diffuso sconcerto e malcontento:
le guerre delle due rose e dei Roses
all’inizio paiono tenzoni eroiche e
fin giocose, ma coll’andar del tempo, indurendosi
nel rancore, portano al disastro.
E’ tempo di novità: questioni d’onore,
princìpi non negoziabili, valori irrinunciabili…
bah, quante se ne sentono
e poi… Diamoci piuttosto l’occasione
di cambiare idea con una certa velocità,
fa così bene. C’è chi va in analisi
vivendo da decenni nell’odio di papà e
dopo sei mesi scopre che in realtà odiava
mammà e dopo un anno li ama entrambi
e odia se stesso perché ha perso
tutto quel tempo a odiare. Infine smette
di odiarsi e comincia a occuparsi dei
figli. Ne abbiamo in ogni parte del mondo,
figli che se la passano malissimo tra
il burqa e la fame, e quando finalmente
hanno qualche dinaro per comprarsi
un cetriolo al mercato rischiano di
saltare in aria. Forse la democrazia occidentale
non è esportabile, forse nemmeno
la Bibbia, anche se tanti martiri
in ogni parte del mondo testimoniano
che sì. Ma la chance per una vita degna
di questo nome deve essere offerta a
ciascuno, sulla scia di una generosità
che non si ferma all’altruismo, né teme
di sporcarsi le mani con l’intervento. Si
è accusato Bush di avere calcato troppo
la mano, ora ci si accorge che al Qaida
proprio non sopporta d’essere dimenticata.
Come accadde nell’ex Jugoslavia,
in Ruanda e in tante altre parti del
mondo, il terzismo voyeur è il più colpevole.
Se non s’interviene con intelligenza
e con forza, ci si accomoda in
quel fanatismo della frivolezza, della
chiacchiera e del lamento, che è ancor
più feroce di quello del sangue.
Di che natura è la guerra tra il partito
cattolico e quello protestante, e
perché è così difficile andare oltre? Si
tratta di una guerra parlata, fatta di
accuse roventi: i protestanti rimproverano
ai cattolici d’essere assidui
frequentatori della grassa e accogliente
Madame Corruption, i cattolici
controbattono accusando i protestanti
di passare le loro giornate nell’annodare
fruste davanti al gelido caminetto
di Miss Correction. Più vicine
di casa di quanto vogliano ammettere,
le due celebri dame da sempre bisticciano
o meglio fingono, dal momento
che una ha bisogno dell’altra e, forse,
sono addirittura la stessa cosa; etimologicamente
discendeno entrambe
dai gagliardi lombi di ‘rumpo’, padre
guerriero cui fanno il verso nella presunzione
di rovinare gli umani o di
salvarli. Il loro pianerottolo è un gran
via vai tra il doposcuola e il bordello
– nel migliore dei casi, se no c’è il gulag
e la mafia – che a un certo punto si
confondono uno con l’altro in un carnevale
di allucinazioni: nessuno è zozzo
come il puro e nessuno si crede puro
quanto lo zozzo. Si sbaglia frequentemente
porta in quel caseggiato. C’è
del vero nelle reciproche accuse? Impossibile
accertarlo: non esiste alcun
desiderio di cercare una verità e ci si
accontenta di credere a quel che si dice,
sicché alla fin fine ciò che rimane
è solo la voglia di distruggere l’altro.
Partiamo dall’anno fatale. 1994: da un
lustro i comunisti sono diventati ex,
frettolosamente come tutti i ritardatari.
La tanto biasimata arroganza del
neopolitico Berlusconi fu ben poca
cosa a confronto di quella del neoconvertito
Occhetto, che si proponeva
alla guida del paese con l’eco dei canti
bulgari nelle orecchie. Alla Bolognina
non si pianse per il rimorso, si
pianse di nostalgia per il buon tempo
andato. Si cercò di recuperarlo: fu
proprio dopo il suo scioglimento che
il Pci tentò quel colpaccio che invano
tanti suoi militanti avevano invocato
fin dalla fondazione del partito. Solo
un “non Pci” poteva fare, senza allarmare
troppa gente, un simpatico golpecito
per instaurare un onesto regime
di polizia giudiziaria. I postcomunisti
costituivano il fulcro del partito
protestante che negli anni Ottanta
aveva trovato in Berlinguer il suo anoressico
condottiero, di contro lo straripante
Craxi; erano gasatissimi: la
prima grande battaglia con il partito
cattolico si era conclusa con la sconfitta
dei socialisti che di questo partito
erano l’ala marciante; la sanguinosa
notte di Mani pulite non fece prigionieri.
Ma il duca di Guisa, quello
vero, era scampato al massacro travestendosi
da protestante. E passò alla
riscossa. Si ripeté quanto era accaduto
tanti anni prima quando, nelle elezioni
del 1948, Alcide De Gasperi
fermò quella che sembrava l’irresistibile
ascesa comunista. Con una differenza
non da poco: De Gasperi era un
santo, viveva nella più assoluta sobrietà
e alla fine del mandato si ritirò
in Val di Sella e vi morì, probabilmente
senza vedere mai la televisione.
Tutt’altro che santo, Berlusconi è
un uomo d’affari, affari burleschi e
barocchi: un regime di giudici accaniti
e d’impeccabili finanzieri era per
lui un pessimo affare. Non è un santo
Berlusconi ma andò bene anche così:
gli affari sono affari ma anche qualcosa
di più, c’è un’anima nel commercio,
l’anima vispa del dio Mercurio. I
protestanti non ci stanno, sono convinti
che il Grande Comunicatore faccia
commercio di anime.
Da allora la guerra tra il Cavaliere,
capo indiscusso del partito cattolico,
e i protestanti, procede con alterne
fortune; di una cosa tuttavia gli italiani,
pur lentamente e tra mille sconfessioni,
hanno preso coscienza: il cattolicesimo
è meglio, più sano. I protestanti
hanno tutto ma proprio tutto
dalla loro: l’etica e l’estetica, la cultura
e la scrittura, la decenza e la prudenza…
e una sola pecca, ma decisiva:
il giustizialismo. Giustizialista è
colui che, reputandosi giusto, passa
tutto il suo tempo a scagliare pietre.
E’ il peccatore imperdonabile perché
si pensa senza peccato; in tal modo diventa
il cretese mentitore e tutto quel
che dice suona falso e quel che fa diventa
sospetto. E’ un fenomeno che si
può vedere all’opera negli scontri televisivi:
l’ospite protestante potrebbe
facilmente prendere il cattolico con
le mani nel sacco ma eccede, vale a
dire mente; mente per il disprezzo
che nutre per l’altro e per la verità di
cui si pensa unico depositario, in una
presunzione d’impunità conferitagli
dal fine che giustifica ogni mezzo. Gli
fa piacere schiacciare il serpente, e
in tal modo scopre il fianco al contrattacco
del cattolico che, con un imperturbabile
sorrisino, prontamente
lo infilza. Consapevole della sua forza,
stanco delle scaramucce processuali,
il Cavaliere da tempo chiede un
riconoscimento per l’antico ‘folle volo’,
esigendo una ricompensa in puro
stile cattolico: l’assoluzione plenaria
dei suoi peccati – veri e/o/o/e presunti
– che via via affiorano sulla scena
giudiziaria. La maggioranza degli italiani
è bendisposta, compresi non pochi
ex comunisti tutt’ora all’opposizione
ma che rifiutano l’egemonia
protestante. Nel tempo hanno avuto
modo di accorgersi che se non ci fosse
stata la sconfitta del ’94 e in seguito
l’incessante confronto con il Cavaliere,
essi stessi si sarebbero chiusi a
riccio, paghi di uno sterile trionfo. Tra
costoro si può sicuramente annoverare
il presidente della Repubblica, che
in cuor suo forse era già ex anche
quando militava nel Pci; uomo lungimirante,
sa che il vero pericolo per
l’unità d’Italia non è il partito cattolico
quanto le teste rotonde del Nord, i
puritani iconoclasti e secessionisti infidi
alleati del partito cattolico. Irriducibili,
invece, nel volere senza se e
senza ma la testa del Cavaliere restano
i comunisti che ancora non trovano
nulla di cui rimproverarsi, anzi;
ma quelli lì più che della politica partecipano
della psicopatologia. Il nucleo
duro del partito protestante è invece
formato da magistrati, giacobini
della stampa, azionisti di Piazza Affari
e giustizialisti di ogni colore. Tutti
costoro non hanno sensi di colpa, non
hanno debiti da pagare al Cavaliere,
lo considerano il male assoluto, non
colui che ha salvato l’Italia ma colui
che l’ha affossata, e non vogliono saperne
di dargli un premio; considerano
mostruoso il fatto che lui lo chieda
e cerchi di ottenerlo. E così la guerra
continua, con foschi presagi. Sappiamo
che fine fa l’ostinato Don Giovanni,
ma l’altrettanto accanito commisssario
Javert a sua volta sprofonda pur
di non arrendersi alla felicità che…
“subisce, esasperato”, scrive Victor
Hugo. Non gli è bastato che il galeotto
Jean Valjean sia diventato un grande
industriale, che faccia lavorare
tanti e bene, che sia entrato in politica,
un sindaco da tutti benvoluto; la
carità gli risulta pur sempre troppo
pesante. Davvero è tutto così rigido,
scritto nel marmo, aut-aut, torto o ragione,
Cristo o Barabba? Fede, speranza
e carità dicono di no. Lo dice
anche un proverbio napoletano: “A
raggione s’ha pigliano o fesse”. Fin da
Betlemme Cristo dice qualcosa di più:
occorre che il nuovo nasca.
Approfittando delle guerre di religione
che misero l’Europa in ginocchio,
il turco arrivò ad assediare
Vienna e solo l’unione dei principi
cristiani capitanati dal grande re Jan
Sobieski respinse Kara Mustafa. Il
Gran Visir già si leccava i baffi pensando
alle fanciulle viennesi; ne esigeva
la consegna e per prenderle intatte
insieme ai loro gioielli aveva rinunciato
ai bombardamenti. Non poteva
sapere che, nel frattempo, i pasticcieri
della città, beffardi, avevano
inventato il croissant: luna crescente,
mezzaluna. Oggi le battaglie non sono
più scontri frontali, la linea del fuoco
sta in Afghanistan come anche nelle
città americane ed europee. Ma c’è un
terzo fronte che è sicuramente il più
importante: noi tutti. In ciascuno si
combatte una guerra tra l’indifferenza
e l’impegno, guerra il cui esito ha
effetti decisivi per l’individuo e per la
comunità. Il nemico di ora e di sempre
è il nichilismo, “l’ospite inquietante”
di cui parla Nietzsche. Ma se
davvero inquietasse sarebbe il benvenuto:
c’è bisogno di provocazioni, di
occasioni di pensiero. Il fatto è che il
nichilismo non inquieta per niente,
anzi rassicura, addormenta, dice che
tutto è vano e tanto vale acquietarsi
nella fatuità. Inquietante è ben altro:
Cristo, che sempre sta tra noi a indicarci
la via più stretta; il figlio, che
non ci lascia mai in pace; il pensiero,
che altri pensieri evoca in un turbine
incessante. Il nichilismo tuttavia è
furbo, raramente si mostra e occorre
un sguardo limpido e attento per individuarlo
in tempo, prima che corroda
un io o una civiltà. Lo sguardo torpido,
annoiato o perso, è uno sguardo
complice. L’abbiamo avuto in casa un
nichilismo sanguinario, ci trescavamo,
e poi fu tutto un “ma come, non è
possibile, un così bravo ragazzo!…”.
Quarant’anni fa li ho conosciuti alcuni
di quei bravi ragazzi e ragazze; bevevamo
insieme, dicevamo più o meno
le stesse cose, più o meno, ma a un
certo punto seppi che tacevano il più;
camminavamo insieme sulla spiaggia
la notte mano nella mano, poi, qualche
giorno dopo, dalla tivù appresi…
Non si conosce nessuno, tantomeno
se stessi; difficile guardare quel che
davvero si fa e non piuttosto quel che
s’immagina di fare. Si è portati a
confondere le acque, a raccattare giustificazioni
e intanto si procede nel
nulla, che il più delle volte non si fa
di grandiose porcate, ma di piccole,
una dopo l’altra, giorno dopo giorno,
corrodendo l’anima dell’individuo,
sgretolando le ossa della nazione,
rammollendola al punto da farne pasto
per il barbaro, che al confronto fa
la figura dell’eroe. La guerra più dura
la si combatte nel fronte più interno,
l’anima, che se quella è esplosa a
niente vale sparare dalla lontana
trincea. Il silenzio degli spazi infiniti
è musica, spaventoso il silenzio del
cuore; non dobbiamo temere “il rumore
della vita”, “dolce” anche quando
ci fa spavento. Chi non combatte
contro il nichilismo è già morto, arruolato
nell’esercito degli zombi; ma
non è mai tardi per scendere in campo.
Enrico di Lancaster consuma le
sue giornate e le sue energie con Falstaff,
ma quando la patria chiama assume
la sua responsabilità e conduce
i soldati alla battaglia di Azincourt,
luminosa non tanto perché nel giorno
di San Crispino e Crispiniano quindicimila
fanti inglesi fecero a pezzi cinquantamila
cavalieri francesi, quanto
per il discorso che Shakespeare ode
dalle labbra del re: non è il numero o
la potenza a convocare la gloria, ma
la fede in quel che si sta facendo. Le
imprese più gloriose compiute dall’Italia
nel Dopoguerra sono state la
sconfitta del terrorismo bierre e l’invio
di truppe a contrastare il nichilismo
nelle varie parti del mondo. Non
è stato facile, molti facevano gli gnorri,
molti altri remavano contro.
Non si è liberi per nascita o costituzione,
la libertà è qualcosa che s’inventa
e si conquista giorno per giorno;
giorno per giorno occorre essere
degni della grande chance che a noi
italiani offrono San Francesco d’Assisi
e Giacomo Leopardi da Recanati,
i due protettori della nazione. Che il
rinunciare alle liti di condominio e
unirsi nella lotta contro il nichilismo
sia il primo passo e decisivo, è fin
troppo ovvio; meno ovvia è la natura
di una siffatta unione: non una spartizione
dell’esistente ma l’invenzione
di una nuova modalità di esistere e di
operare, riconoscendo in sé e nell’altro
quanto di meglio, senza attardarsi
a rinfacciarsi il peggio. E’ ora di finirla
con certi luoghi comuni: la
Chiesa non fu e non è l’Inquisizione,
l’Inquisizione fu un complotto satanista
contro la Chiesa, capeggiato a volte
da satanassi che avevano usurpato
il trono di san Pietro. Parimenti il
Terrore non fu il canto del cigno dell’Illuminismo,
ma la sua ghigliottina.
Il fanatismo non è il culmine di un
pensiero, quanto la sua assoluta negazione;
non il frutto malato di una
radice sana ma la lama che cerca di
reciderla. Solo dall’unione delle
grande tradizioni, cristiana e illuminista,
può scaturire un’efficace lotta
al nichilismo, che nella loro contrapposizione
trova incessanti spazi per
annidarsi e prolificare. C’è tanta intelligence
in circolazione ma un po’
d’intelligenza non guasterebbe.
Scende la neve qui dove io sto. E’ la
neve dei morti di Joyce, quella che
ogni cosa ricopre ma non cancella.
Sotto la sua fredda coltre si addormentano
passioni che forse neppure
erano tali, desideri per chissà che,
idee inascoltabili per quanto urlavamo.
Un giorno riposeremo tutti sotto
la neve, cattolici e protestanti, e a vegliarci
con tenerezza sarà una croce,
una per ciascuno. Siamo fortunati.
Il Foglio 7 gennaio 2010