DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La scrittrice tedesca che aveva intuito il mistero del “Papa nel ghetto”

Un rapporto difficile, doloroso, eppure
sempre sospeso a una sorta
di presentimento, o di tacita consapevolezza
circa l’impossibilità di essere
separati completamente e in eterno.
Fin da quando Pietro e Paolo giunsero
nella città, ebrei nella comunità
ebraica di Roma. Anche nei momenti
più oscuri, il vescovo di Roma e gli
ebrei della città eterna non hanno
mai potuto tradire il presentimento
di questo rapporto speciale, sottilmente
ma inesorabilmente metastorico.
E’ con il Vaticano II che, da parte
della chiesa, questa percezione giunge
a una piena maturazione. Ma già
prima, nella riflessione teologica e
spirituale del ’900, i semi avevano iniziato
a germogliare.
Di tutto questo c’è una testimonianza
letteraria ora poco nota, ma all’epoca
importante. Un romanzo scritto
nel 1930 e oggi quasi dimenticato,
pubblicato in italiano l’ultima volta
nei “Libri dello spirito cristiano” della
Bur nel 1997. Si intitola “Il Papa
nel ghetto” e racconta, romanzando
ma ancor più cercando di interpretare
l’essenza profonda dei fatti, le vicende
della chiesa di Roma tra il 1080
e il 1130. Vicende che hanno come figura
centrale quella dell’antipapa
Anacleto II: quel Pietro Pierleoni,
una potente famiglia ebrea romana
che si era convertita – opportunità o
costrizione – al cristianesimo. E che
nel periodo della lotta delle investiture
combatté per un potere medievalmente
mondano contro la famiglia romana
e cristiana dei Frangipane.
Eletto cardinale da Pasquale II, alla
morte di Onorio II nel 1.130 Pierleoni
si fece eleggere Papa, opponendosi al
già eletto Innocenzo II, sostenuto appunto
dai Frangipane.
L’autrice del romanzo è Gertrud
von Le Fort (1876-1971), baronessa tedesca
di una casata protestante. Studiosa
di teologia, coltissima, si convertì
al cattolicesimo nel 1925, a Roma.
Uno dei personaggi più interessanti
della cultura cattolica tedesca
del secolo scorso e oppositrice del nazismo
pur senza abbandonare il suo
paese natale. E’ autrice di molti romanzi
in chiave storico-religiosa, tra
cui il più celebre “L’ultima al patibolo”,
su una vicenda di suore ghigliottinate
durante la rivoluzione francese,
che ispirò successivamente “I dialoghi
delle carmelitane” di Georges
Bernanos. Una scrittrice prolifica e
raffinata che, tra l’altro, ha contato
parecchio anche nella formazione
culturale di Joseph Ratzinger, assieme
ai grandi cattolici francesi come
Claudel, Bernanos, Mauriac.
Il “Papa nel ghetto” viene scritto
nel 1930, anche se le difficoltà dell’epoca,
e soprattutto l’atteggiamento
tutt’altro che ostile all’ebraismo, ne
impedirono la pubblicazione fino a
dopo la guerra. Ma è singolare che la
Von Le Fort vi intuisca in modo quasi
profetico, come è stato notato dalla
critica, qualcosa di quel misterioso
rapporto tra la chiesa e gli ebrei che
era già centrale nella migliore riflessione
teologica di quegli anni. Il tema
è ovviamente quello storico e metastorico
a un tempo del ruolo di Israele
dopo la venuta di Cristo, una “questione
che è ancora più pesante qui a
Roma”, come ebbe a dire qualche anno
fa il cardinale di Vienna Christoph
Schönborn, parlando proprio a
Roma di questi argomenti. Tra le “luci
e ombre di questa storia” citò proprio
la vicenda di Anacleto II e “Il
Papa nel ghetto” di Gertrud von Le
Fort come “una delle cose più
profonde mai scritte in quel secolo
sanguinoso circa il mistero di Israele
e della chiesa”.
Gertrud von Le Fort racconta con
uno stile glabro, antisentimentale.
Cerca con evidenza di non giudicare
né gli uomini né la storia di cui sono
parte. La chiesa è per lei saldamente
ancorata alla Croce di Cristo, anche
quando sembra prevalere la sua debolezza
carnale. Mentre per gli ebrei
di Roma, ugualmente carnali e avvinghiati
ai cristiani in una lotta, di potere
e di vicinanza, c’è un grande rispetto.
Ad esempio, quando lascia intuire
che lo scisma dell’antipapa ebreo
Anacleto è forse solo apparente, e
parte di un disegno più misterioso.
Nel ghetto di Roma, il Papa ha il suo
specchio fino alla fine dei tempi.
Maurizio Crippa

Il Foglio 14 gennaio 2010