DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Lazio, dove la 194 è una mattanza

Roma. Su quanti fossero gli aborti clandestini
prima dell’introduzione della 194
c’è una lunga tradizione di cifre iperboliche,
alimentate dai radicali e dall’Aied
(Associazione italiana per l’educazione
demografica). Ancora pochi giorni fa in televisione,
sul terzo canale, nella trasmissione
“Correva l’anno”, mi è capitato di
sentir dire, a proposito del “mitico” 1968,
che in quell’anno si ebbero più di un milione
di aborti. Balle. In quell’anno le nascite
raggiunsero quota 930 mila, i bambini
si facevano, non si abortivano. Se la cifra
degli aborti fosse quella reale, si sarebbero
avuti due milioni di concepimenti:
pari, considerando la popolazione femminile
di allora in età feconda, a quasi sei
concepimenti in media
per donna. Un livello
di concepimenti
che è attualmente
quello dell’Africa
sub-sahariana, ma
quasi il doppio di
quello reale nell’Italia
di allora. Radicali
e Aied hanno sempre
mirato a ingigantire
il problema, perché
più lo accresci più
devi prendere misure, organizzare servizi,
educare alla contraccezione, inventare e
distribuire pillole, avviare campagne pubblicitarie.
Il tutto improntato, più che a introdurre
alla consapevolezza del sesso, ad
ampliare quella della protezione dei rapporti
sessuali (che per questo, del resto,
funziona così poco).
Nell’occasione è stata intervistata anche
Emma Bonino, che prestava al tempo la
sua opera presso la sede romana dell’Aied,
e che ha ricordato come, andata a
vedere se poteva dare una mano, si fosse
poi fermata ben oltre il preventivato, presa
da quella esperienza umana. Ricordo la
Bonino e ricordo l’aborto perché, se vincerà
le elezioni nel Lazio, all’esponente
radicale si aprirà davanti uno scenario del
tutto problematico proprio sul suo terreno
d’elezione. Il Lazio è la regione messa peggio
quanto ad applicazione della 194. Ed è
curioso pensare a quanto giusto l’area della
capitale, con tutto il bombardamento
sul sesso sicuro, preservativi a portata di
mano e pillole pronte per l’uso, sia quella
dove si hanno a un tempo i peggiori indicatori
di abortività e minore disponibilità
di risorse per farvi fronte.
Vediamo gli indicatori sul lato dell’abortività.
Il Lazio è con la Puglia la regione con
il più alto tasso di abortività (11,1 aborti annui
ogni mille donne di 14-49 anni, rispetto
a una media nazionale di 9,1), quella con la
più alta proporzione di donne con meno di
vent’anni tra quante abortiscono (il 10,7 per
cento contro una media nazionale del 7,5
per cento), quella con la proporzione di studentesse
di gran lunga più alta tra quante
abortiscono (il 23,3
per cento rispetto
all’11,6 per cento nazionale),
con uno dei
più alti tassi di recidività
(circa una donna
su dieci di quante
abortiscono ha già
avuto almeno due
aborti) e, dulcis in
fundo, quella dove
l’assenso all’aborto di
minorenni è dato più
massicciamente dal giudice (50 per cento,
contro meno del 30 per cento a livello nazionale)
anziché dai genitori, prova inconfutabile
di rapporti quanto meno problematici,
nelle famiglie, tra ragazzine e genitori.
Un disastro. A fronteggiare il quale non
c’è praticamente nessuno, perché le proporzioni
degli obiettori tra ginecologi e
anestesisti sono da sballo: 86 ginecologi e
77 anestesisti su 100 sono infatti obiettori,
le più alte proporzioni italiane. E sono
obiettori i due terzi del rimanente personale.
Detto che perfino la media dei consultori
è più bassa di quella italiana (1,2
contro 1,5 ogni 10 mila donne in età feconda),
il quadro del Lazio a proposito di 194
è completo ed è un quadro che induce al
pianto. Non sarà sfuggito come la quota
delle studentesse – quasi una donna su
quattro in Lazio – sia esattamente il doppio
di quella italiana.
Ma non solo tra le ragazze
delle medie e delle superiori, bensì
tra le universitarie. Ogni 100 donne che
abortiscono nel Lazio, infatti, lo abbiamo
visto, 23,3 per cento sono studentesse ma
soltanto il 10,7 per cento ha meno di
vent’anni. Dunque c’è un 13 per cento circa
di studentesse di almeno vent’anni, universitarie,
tra le donne che abortiscono.
Siccome le studentesse che hanno abortito
nel 2007 nel Lazio sono state la bellezza
di 3.400, è facile stimare che tra queste c’erano
quasi duemila studentesse universitarie.
Ora, io spero che non ci si venga a
raccontare che ciò succede perché nugoli
di più che ventenni studentesse universitarie
delle sedi romane non sanno cosa sono
i contraccettivi e hanno bisogno di essere
istruite al riguardo.
Questi i termini del problema dell’aborto
nel Lazio. Da soli si incaricano di fare tabula
rasa di ogni luogo comune e non si
prestano a nessuno dei facili giochetti che
di solito vengono fumosamente agitati in
proposito: più informazione, più prevenzione,
più contraccezione, più personale e via
di più in più, giacché queste tipologie di
“più”, alla luce dei dati nella migliore delle
ipotesi sono ininfluenti, nella peggiore
controproducenti. Ecco allora quel che
piacerebbe sapere: come intende affrontare
il problema Emma Bonino, anche in
considerazione del fatto che molti di questi
dati della Regione della quale potrebbe,
domani, diventare presidente, configgono
non poco con le idee e le ricette dei Radicali
a proposito di aborto e applicazione
della legge. Piacerebbe saperlo pure dalla
Polverini, della quale non ho memoria di
interventi sul tema. E poiché in Lazio si
abortisce perfino di più che nel resto d’Italia,
è chiarissimo che il vero disastro culturale
si riscontra tra le studentesse.

Roberto Volpi

Il Foglio 23 gennaio 2010