DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

L'instabilità familiare? Rischia di essre ereditaria

di Fausta Ongaro

La relazione di cui riportiamo stralci in questa pagina è stata pronunciata da Fausta Ongaro, demografa alla Facoltà di Statistica dell’Università di Padova, nel corso di un convegno su "Instabilità familiare: aspetti causali e conseguenze demografiche, economiche e sociali" organizzato a Roma dall’Accademia dei Lincei alla fine di settembre. Tutte le relazioni saranno presto pubblicate dall’Accademia nella collana "Atti dei Convegni Lincei".

Le conseguenze sui figli dell’instabilità coniugale

Trasmissione intergenerazionale dell’instabilità coniugale?
L’evidenza empirica documenta inequivocabilmente che la separazione dei genitori si trasmette da una generazione all’altra. Bumpass et al. (1991) trovano che il divorzio dei genitori aumenta tra le donne statunitensi gli odds (termine statistico traducibile approssimativamente con probabilità, rischio, ndr) di rottura dell’unione entro i primi cinque anni di matrimonio del 70%. Risultati simili sono stati trovati per la Gran Bretagna e la Germania. Insomma, al di là di variabilità tra gli studi e le popolazioni, il divorzio dei genitori è uno dei meglio documentati fattori di rischio di scioglimento del matrimonio per un individuo. Meno chiaro invece è invece il meccanismo che produce tale associazione anche perché la distanza di tempo tra potenziale causa ed il suo effetto è relativamente lunga. Uno dei primi interrogativi che ci si è posti è se l’associazione tra divorzio dei genitori e divorzio dei figli non fosse espressione di un effetto indiretto, mediato da aspetti socio-economici del corso di vita o da comportamenti familiari pregressi dei figli di genitori separati. Si sa infatti che essi hanno comportamenti demografici diversi da quelli dei figli di coppie intatte; hanno meno opportunità di raggiungere alti livelli di istruzione e buoni standard di vita da adulti; le figlie, in particolare, tendono ad assumere più frequentemente ruoli femminili meno tradizionali. Si sa, d’altra parte, che un’età giovane al matrimonio, la convivenza prima del matrimonio, uno stato economico basso sono tutte condizioni che tendono ad associarsi con maggiore conflitto coniugale e con maggiori rischi di divorzio. La letteratura conferma parzialmente questa ipotesi. L’effetto del divorzio dei genitori è in effetti mediato dall’età al matrimonio e dalla presenza di convivenza prematrimoniale. Meno sicuro è che invece l’effetto della separazione passi attraverso differenze nelle condizioni socio-economiche: alcuni studi confermano questa ipotesi, altri no. (...) Kiernan e Cherlin (1999) – utilizzando dati prospettivi su giovani adulti britannici entrati in unione di qualsiasi tipo – trovano che, dopo aver controllato per la condizione socio-economica e individuale precedente la separazione e per la storia dell’unione, l’effetto della separazione dei genitori aumenta per le donne il rischio di scioglimento dell’unione del 16% e per gli uomini del 41%. Ciò fa dire agli autori che l’associazione tra divorzio dei genitori e scioglimento dell’unione dei figli è largamente indipendente dal background familiare (...).

La seconda area di fattori che ha ricevuto attenzione in letteratura è quella dei comportamenti e delle attitudini. Date le ricadute di ordine psicologico della separazione, è inevitabile pensare che la maggiore propensione a separarsi dei figli dei divorziati possa dipendere da comportamenti problematici o da specifiche attitudini dei figli di separati nei confronti del divorzio e del matrimonio. Un’ipotesi è che i figli dei separati arrivino all’età adulta con competenze relazionali meno sviluppate e con un repertorio di comportamenti interpersonali che riducono la soddisfazione e la stabilità delle loro unioni. Deficit relazionali sono in effetti associati a maggiori rischi di scioglimento della coppia. Rispetto alle coppie che stanno insieme, quelle che poi divorziano comunicano meno, hanno meno capacità di ascolto del coniuge, tendono a rispondere alle critiche mettendosi più spesso sulla difensiva, hanno più difficoltà a risolvere i conflitti, passano meno tempo insieme, hanno più problemi di gelosia, infedeltà; in generale, mostrano atteggiamenti e comportamenti più critici e meno collaborativi. Secondo la teoria del social learning i figli apprendono molti comportamenti interpersonali osservando i modelli degli adulti; rispetto ai figli di coppie sempre unite, quelli di genitori separati avrebbero quindi meno opportunità di apprendere abilità sociali positive che facilitano il mantenimento di legami a lungo termine. In effetti alcune ricerche documentano che gli sposi con genitori poco uniti o separati riportano meno soddisfazione coniugale, più conflitti e più problemi di comunicazione.

Una seconda ipotesi è che la trasmissione intergenerazionale del divorzio passi attraverso un moderato coinvolgimento dei figli dei separati nelle unioni che formano. All’origine di questo atteggiamento può esserci un desiderio di proteggersi dal rischio di un fallimento oppure semplicemente un processo di apprendimento dai genitori che il matrimonio non è per sempre. Il risultato in ogni caso sarebbero atteggiamenti più liberali che fanno ritenere i vincoli del matrimonio superabili nel momento in cui esso diventasse insoddisfacente o si presentassero altre occasioni per formare una nuova unione. Diversi studi documentano che i giovani adulti cresciuti con genitori separati sono più pessimisti circa la durata del matrimonio e valutano il divorzio meno negativamente degli altri.
I pochi studi empirici che hanno cercato di indagare sul ruolo svolto da questi fattori nella propensione al divorzio dei figli dei separati hanno dato però finora risposte ancora poco chiare. Da un primo lavoro di Amato (1996) risulta che – a parità di background familiare e di corso di vita individuale – l’effetto del divorzio dei genitori sia mediato principalmente da deficit nei comportamenti interpersonali e che al contrario le attitudini individuali nei confronti della separazione abbiano un peso modesto. Da un successivo lavoro di Amato e De Boer (2001) risulterebbe invece l’opposto e cioè che la maggiore instabilità coniugale dei figli dei separati dipende soprattutto dal loro minore coinvolgimento nei confronti del matrimonio (...)

In Italia l’instabilità familiare è un fenomeno relativamente recente. È solo con la metà degli anni ’90 che i tassi di separazione e divorzio hanno iniziato ad avere una rapida crescita. In queste condizioni è inevitabile che non ci siano molti studi empirici sulle conseguenze della separazione sui figli. I pochi studi esistenti presentano dunque un quadro ancora molto frammentato.

Una recente indagine (Marin e Miori, 2007) che esamina l’influenza della struttura familiare e del grado di conflitto sull’atteggiamento dei figli adolescenti verso il matrimonio e il divorzio trova risultati misti: le opinioni dei giovani nei confronti del matrimonio non risentono né dal livello del conflitto né dall’esperienza della separazione; conflitto e separazione però influiscono autonomamente sulle opinioni dei figli nei confronti del divorzio, rendendo i giovani che hanno avuto queste esperienze più favorevoli al divorzio.

Nello stesso lavoro le autrici riportano anche i risultati di un paio di studi con taglio trasversale che indagano su atteggiamenti e comportamenti di giovani e ragazzi. Dal primo studio (Ercolani e Francescato, 1994) risulta che l’unità della coppia non ha influenza sul concetto di sé dei figli e sulla loro propensione a sentirsi responsabili della propria vita, anzi i maschi figli di separati tendono ad attribuire a se stessi un controllo maggiore del proprio comportamento di quanto facciano i figli di coppie unite (al contrario i figli di genitori in conflitto hanno spesso problemi emotivi e comportamentali). Dalla seconda ricerca condotta su giovani di 15-26 anni appartenenti a famiglie unite e a famiglie che si sono sciolte da almeno nove anni (Francescato et al. 1999) non risultano differenze significative tra i due gruppi per quanto riguarda la fiducia nell’altro sesso, la stabilità delle relazioni affettive, il grado di soddisfazione nella vita e il rapporto con la madre. Differenze emergono invece per quanto riguarda alcuni comportamenti: i figli di separati cominciano infatti a contribuire prima al proprio mantenimento, sono più indipendenti, vanno prima a vivere per conto proprio, hanno più amici e li frequentano più spesso rispetto ai loro coetanei di genitori uniti. Uno studio con dati retrospettivi condotto su studenti di alcune università italiane mostra infine che l’esperienza della separazione dei genitori anticipa l’età al primo rapporto sessuale per le ragazze, mentre non ha alcun impatto sul comportamento dei ragazzi (Ongaro, 2004). Il risultato è in linea con quelli trovati per in altri Paesi.

Il limite di questi lavori è che riguardano gruppi di popolazione non rappresentativa a livello nazionale. Per contro, essi hanno il vantaggio di poter indagare su aspetti particolari del fenomeno che non è sempre possibile approfondire con indagini a più ampio raggio. In questa sessione saranno presentati nuovi risultati basati su dati che provengono sia da piccoli campioni sia da indagini rappresentativi a livello nazionale: essi possono fornire un ulteriore tassello alle conoscenze finora acquisite.

In realtà, in Italia, sarebbe il caso di iniziare a mettere in programma indagini più sistematiche sul fenomeno. Ci sono almeno tre buone ragioni per farlo. La prima è che, sebbene non abbia raggiunto i livelli di altri Paesi europei, l’instabilità familiare è in rapida crescita e comincia ad interessare quote crescenti di figli. Elaborazioni proprie su dati dell’Indagine Istat su Famiglie e Soggetti Sociali del 2003 indicano che il 6% degli individui con meno di 35 anni ha avuto genitori separati. Si oscilla dal 3% per i più piccoli (età 0-4) all’8% dei 20-24enni.

Si tratta di percentuali ancora lontane da quelle di altri paesi con alti tassi di instabilità familiare; tuttavia i valori assoluti cominciano ad essere alti. Secondo gli ultimi dati noti su separazioni e divorzi (Istat, 2005) nel 2003 il 70% delle separazioni legali e il 60% dei divorzi hanno riguardato coppie con figli avuti durante l’unione. Complessivamente i figli coinvolti nella crisi coniugale dei propri genitori sono: 96.000 nelle separazioni; 41.500 nei divorzi. Limitandosi ai soli figli minori, con un po’ di calcoli si può stimare che nel 2003 l’esperienza della separazione ha interessato un po’ più di 73.000 bambini e ragazzi, quella del divorzio quasi 24.000 minori. Di questi, rispettivamente 44.500 (il 61%) e 10.000 (41%) avevano meno di 11 anni. Il fenomeno insomma comincia ad avere rilevanza sociale, tanto più se il trend delle separazioni continuerà a crescere con i ritmi degli ultimi anni.

La seconda ragione è di natura più conoscitiva. La maggior parte della letteratura sugli conseguenze della separazione sui figli fa prevalentemente riferimento a Paesi (Usa, Uk) che si trovano in una fase di diffusione del fenomeno molto più avanzata di quelle italiana. Inoltre, si tratta di realtà con background culturali e familiari diversi da quelli italiani. L’instabilità familiare in Italia è un fenomeno emergente. Secondo alcuni esso dovrebbe produrre conseguenze più forti che in paesi a uno stadio più avanzato di diffusione del fenomeno. In Italia, gli effetti della separazione, in particolare quelli dannosi, potrebbero però essere attenuati considerando che: a) le coppie che si separano sono selezionate per maggiori risorse economiche e capitale umano; b) c’è ancora un modello di famiglia dai legami forti dominante che potrebbe attenuare i rischi di allentamento dei legami tra genitori e figli; c) le famiglie di origine (i nonni) sono ancora una risorsa importante per le coppie, anche quando si separano con figli. È possibile che tutto ciò interagisca con gli effetti (lordi) della separazione? Su questo punto non si sa nulla. La terza ragione è collegata alla seconda. Se risultasse che finora i figli sono stati relativamente protetti dalle conseguenze negative della separazione, non è detto che ciò continui per il futuro. Il trend in atto fa ritenere che l’esperienza della separazione possa coinvolgere progressivamente strati sempre meno selezionati verso l’alto della popolazione. Inoltre, non si può escludere che nei prossimi anni le famiglie di origine abbiano meno risorse da dedicare ai figli con prole che si separano. La stessa instabilità familiare può essere responsabile di questo trend. Conoscere il fenomeno diventa dunque uno strumento preliminare per non essere sorpresi in ritardo dai cambiamenti di una società in rapida evoluzione.


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