DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

GLI EFFETTI DEL DIVORZIO SULLA SALUTE. CAMBIAMENTI, PERDITE, STRESS: I GIOVANI HANNO LA PEGGIO

La fine di un matrimonio influisce, come e perché, sullo stato di salute degli individui? A partire da questo interrogativo l’autrice evidenzia come la fine di un rapporto di coppia sia un evento di "svolta" nella vita di entrambi i coniugi. Infatti, il divorzio può concludere una situazione dolorosa, può essere un punto di partenza per il miglioramento della qualità della vita di uno dei due partner, può lasciare ferite profonde e situazioni di malessere dalle quali è difficile uscire. I dati sulla morbilità e mortalità dei divorziati evidenziano come fra rottura del rapporto coniugale e peggioramento delle condizioni di salute e sopravvivenza vi sia una diretta correlazione.

UNA RICERCA SUL CAMPO

IL DIVORZIO COME FONTE DI MALESSERE

di MARISTELLA BERGAGLIO
(Istituto di Geografia umana dell’Università degli Studi di Milano)

La fine di un rapporto di coppia, specie quando questo è stato formalizzato in un matrimonio, costituisce un evento di svolta nella vita di entrambi i coniugi. Un divorzio può infatti concludere una situazione dolorosa, può essere un punto di partenza per il miglioramento della qualità della vita degli ex coniugi attraverso un’evoluzione positiva, ma può anche lasciare ferite profonde e situazioni di malessere dalle quali è difficile liberarsi. Molti psicologi ritengono, infatti, che non sempre il divorzio sia la soluzione per le coppie in cui vi è una conflittualità particolarmente violenta, perché lo scioglimento del legame non risolve i problemi che sono profondamente radicati nell’inconscio dei partners ma, nella maggior parte dei casi, ne crea dei nuovi. Il divorzio può dunque essere interpretato come un "processo" durante il quale avvengono cambiamenti e perdite che coinvolgono tutte le aree della vita dell’individuo.

Molte delle situazioni stressanti, sperimentate dalle persone che attraversano l’esperienza di un divorzio, non differiscono in sé da altri tipi di stress che normalmente l’individuo può sperimentare nel corso della vita. Tuttavia ciò che rende unico lo stress da divorzio e ne fa il più grave evento destabilizzante nella vita di un individuo è proprio l’effetto dell’impatto cumulativo di un alto numero di stress differenti, di perdite e di cambiamenti radicali che avvengono in quasi tutte le aree della vita in uno stretto periodo di tempo.

La prima conseguenza stressante correlata al divorzio è costituita dalla perdita dell’attaccamento emotivo per il partner e la rottura dell’organizzazione familiare degli affetti. L’intero complesso strutturale dei legami familiari dev’essere spezzato, e ciò genera un momento psicologico ed emotivo molto intenso e confuso che normalmente si definisce come "fase del lutto". I soggetti soffrono di una perdita di identità dovuta alla necessità di separare il proprio io da quello dell’ex partner e da ciò derivano spesso rabbia, angoscia, ansia, depressione e diminuzione della sicurezza in se stessi, rimpianti e sentimenti di colpa, di solitudine, di impotenza. A ciò si aggiunge il peso del fallimento del progetto matrimoniale che coinvolge l’autostima e l’immagine di sé in prospettiva sociale.

La rottura del rapporto di coppia risulta doppiamente stressante in quanto comporta anche la perdita del partner nel suo ruolo di fonte primaria di supporto sociale. Con il divorzio, infatti, viene a mancare all’individuo il benefico effetto protettivo del matrimonio. Secondo la teoria dell’integrazione sociale di Durkheim applicata a questo contesto specifico, il matrimonio costituisce una condizione importante nel determinare il benessere degli individui.

Le persone coniugate sperimentano infatti molteplici vantaggi costituiti, anzitutto, dalla soddisfazione dei bisogni di intimità, di fiducia e di supporto psicologico nell’affrontare la vita attraverso la condivisione delle responsabilità e delle difficoltà con un altro adulto. Essere sposati conferisce, inoltre, un ruolo sociale ben definito cui, generalmente, si accompagna una serie di responsabilità e obblighi che codifica il comportamento quotidiano e determina uno stile di vita più protettivo, rassicurante e di conseguenza più salutare.

La società inoltre attribuisce generalmente ai coniugati un valore sociale più alto poiché essi realizzano pienamente le aspettative del modello familiare e riproduttivo tradizionale. Ciò fa sì che il fallimento nella riuscita del matrimonio colpevolizzi ed emargini il divorziato per essersi illegittimamente sottratto a un sistema di ruoli e comportamenti precisi e codificati.

In caso di divorzio, dunque, l’individuo non solo deve affrontare il passaggio a un diverso stato matrimoniale, facendo fronte all’evento in sé con tutte le implicazioni stressanti sopradescritte, ma deve anche organizzare la transizione verso un diverso stile di vita e nuove circostanze relazionali con la propria famiglia e la società; ciò costituisce un’altra fonte di stress.

Si cambia tenore

Spesso il divorzio provoca un abbassamento del tenore di vita accompagnato da una mobilità sociale discendente. La diminuzione delle disponibilità economiche rende in questo modo ancora più difficile il periodo post-separazione, specialmente per le donne che, con redditi solitamente nulli o minori rispetto agli uomini, incontrano maggiori difficoltà ad inserirsi nel mercato del lavoro e nel 90% circa dei casi sono affidatarie dei figli minori. Quando la famiglia si spezza, infatti, i due gruppi domestici che si formano non possono più far fronte, in comune, a quei costi fissi di gestione della casa e della vita domestica che in una famiglia sono poco influenzati dal numero dei suoi membri come il telefono e l’affitto. Dopo la separazione, di conseguenza, il reddito che consentiva di mantenere il livello di vita precedente, anche nell’ipotesi che fosse diviso a metà tra gli ex coniugi, non è più sufficiente perché tutti i servizi devono essere raddoppiati.

Se tuttavia il divorzio provoca una diminuzione nel reddito d’entrambi i coniugi, a parità d’entrate, per la donna con i figli a carico, che rimane nella casa coniugale, il costo per mantenere lo stesso livello di vita precedente alla separazione rimane pressoché invariato e soggetto nel tempo ad aumentare con il crescere delle necessità dei figli che si fanno grandi.

Per l’ex marito, al contrario, le spese sono molto inferiori poiché le normali esigenze di un uomo solo sono generalmente meno articolate di quelle di una famiglia con figli.

La situazione di mancato equilibrio a sfavore della moglie e dei figli è ancora più grave per il fatto che il marito, grazie alla sua occupazione, ha una garanzia di entrate costanti che generalmente migliorano con l’avanzamento della carriera, mentre la donna, soprattutto se è stata a lungo fuori dal mercato del lavoro, incontra sempre grandi difficoltà nel trovare un’occupazione dopo la separazione e spesso è costretta ad accettare lavori poco retribuiti, anche perché deve occuparsi dei figli (1).

Allo stress generato dalle difficoltà economiche si aggiungono quasi sempre i problemi legati all’abitazione, che deve a volte essere cambiata in funzione delle nuove disponibilità finanziarie, i problemi derivanti dalla permanenza di una conflittualità tra i due ex coniugi e dalla gestione dei rapporti con i figli e con le reti parentali. Non ultimo, il divorziato deve affrontare i problemi legati alla gestione dell’iter giudiziario e legale che accompagnano l’ottenimento del divorzio.

Naturalmente il tipo di reazione di ciascun individuo al divorzio dipende dall’intensità con cui si manifestano e si concatenano i fattori stressanti che sono stati individuati, ma anche da una serie di situazioni contingenti che accompagnano la fine del matrimonio. I vissuti post-separazione sembrano infatti essere influenzati in primo luogo da elementi propri del soggetto stesso, ossia l’età, il sesso, il livello di istruzione, la posizione professionale, la presenza o meno di figli, la personalità e le risorse psichiche e fisiche. Risulta inoltre determinante il rapporto di dipendenza creatosi tra i partners, il livello di soddisfazione sessuale ed emotiva con l’ex coniuge, lo stato di benessere precedente la rottura e le aspettative positive verso il futuro. Incidono inoltre una serie di variabili quali la durata complessiva del matrimonio, le modalità attraverso cui è avvenuto il divorzio, se il soggetto lo ha desiderato oppure se lo subisce, se v’acconsente o se vi s’oppone con decisione. Non ultimo, influiscono la presenza o meno di un sostegno morale e affettivo di un nuovo partner e la possibilità di ricostruirsi un ambito sociale di relazioni gratificanti e non colpevolizzanti o stereotipate all’interno di un cliché più o meno negativo.

La rottura del matrimonio costituisce, dunque, un evento fortemente coinvolgente e stressante per l’individuo, sia sul piano psicologico ed emozionale sia a livello sociale e culturale. È importante mettere in evidenza, a questo punto, come questa situazione di stress di carattere cumulativo e persistente influisca negativamente sulla salute e quali ne siano le principali conseguenze.

La salute dei divorziati

Numerosi studi hanno messo in evidenza come una situazione di stress violento e prolungato possa influenzare sia il sistema immunitario sia il sistema cardiocircolatorio e portare a numerosi scompensi fisici, che possono favorire la formazione di sintomi organici. Secondo lo psicologo Jurg Willy, «la forte tensione psichica comporta conseguenze fisiche e produce in particolare un perturbamento delle funzioni vegetative ed endocrine che può provocare vere e proprie lesioni organiche» (2). Il malessere e la malattia, infatti, da un punto di vista psicosomatico possono rappresentare l’espressione simbolica del conflitto conseguente alla perdita dell’attaccamento affettivo all’ex partner e al persistere di una dipendenza psicologica dal precedente rapporto. Le reazioni psicosomatiche esprimono altresì il disagio emotivo generato da desideri di vendetta e ricordi ossessionanti, da nostalgia o da fantasie di riconciliazione inevitabilmente frustrate. Il corpo diviene il mezzo attraverso cui scaricare il dolore del fallimento e la tensione emotiva della ricostruzione della propria identità separata da quella dell’ex partner.

La salute dei divorziati è influenzata negativamente anche dal venire meno dell’effetto protettivo del matrimonio. I divorziati, infatti, non più condizionati dai meccanismi di controllo e di well-being della famiglia, adottano più facilmente stili di vita e comportamenti rischiosi, quali un più alto consumo di alcolici, tabacco o la diminuzione della prudenza nello svolgere le attività giornaliere come, per esempio, l’abitudine di guidare meno prudentemente. Gli ex coniugi tendono inoltre ad avere abitudini alimentari e ritmi lavorativi meno ordinati e regolari rispetto a quando erano coniugati, esponendosi in questo più facilmente alla possibilità di contrarre malattie croniche o essere coinvolti in incidenti.

Dati alla mano

I dati di un’indagine effettuata dall’Istat negli anni 1987-91 sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari degli italiani mostrano, infatti, come il tasso di morbilità cronica per disturbi nervosi dei divorziati sia il doppio di quella dei coniugati, con un valore del 62,2‰ (3). I divorziati fanno inoltre un uso molto più alto di farmaci antidolorifici e antinevralgici (119‰ rispetto ai 106‰ dei coniugati), di tranquillanti e antidepressivi (48‰ rispetto 39,5‰) e di sonniferi e ipnotici (35,5‰ rispetto 14,8‰) e mostrano anche una maggiore propensione al fumo dei coniugati. Secondo i dati, il 44,3% dei divorziati, contro il 29,6% dei coniugati, è un fumatore, con un consumo giornaliero di sigarette molto più elevato.

La maggiore morbilità dei divorziati trova conferma anche in uno studio effettuato sui dati dell’Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano (4), nel biennio 1995-96. I dati evidenziano, infatti, come i divorziati registrino una più alta percentuale di ricoveri per malattie del sistema nervoso con una percentuale dell’8,0% rispetto al 7,2% dei coniugati. Molto più consistente è la differenza per quanto riguarda i ricoveri classificati come disturbi psichici di cui soffre il 7,7% dei divorziati ricoverati rispetto a solo lo 0,8% dei coniugati. I divorziati risultano soggetti a una maggiore frequenza percentuale, sempre rispetto ai coniugati, di traumatismi e avvelenamenti, abuso di alcol, farmaci e disturbi mentali, malattie e disturbi del sistema osteomuscolare e connettivo e malattie dell’apparato respiratorio, problemi neurologici, psichiatrici e psicologici.

Vi sono, inoltre, alcune patologie in cui, tra i divorziati, risultano penalizzate solo le donne rispetto ai coniugati. Si tratta delle malattie del sistema circolatorio (+1,8%), le malattie e disturbi del sangue e organi emopoietici (+0,7%) e i traumatismi multipli (+0,3%), cui si aggiungono i disturbi psichici e del sistema nervoso.

Agli uomini è riservata invece una maggiore morbilità, rispetto ai coniugati, nelle malattie e disturbi dell’apparato digerente (+3,5%), nelle malattie e disturbi endocrini e del metabolismo (+1,5%), nelle malattie e disturbi del sottocutaneo e della mammella (+0,3%) e il gruppo delle malattie mieloproliferative e neoplasie scarsamente differenziate (+2,0%).

Un ulteriore sostegno della tesi che sia l’esperienza della fine del matrimonio a far crescere la morbilità dei divorziati rispetto a quella dei coniugati può emergere dall’analisi di alcune patologie secondo la distribuzione percentuale per età e sesso dei ricoverati, attraverso cui è possibile mettere in evidenza il periodo della vita in cui la malattia si è manifestata.

Le donne divorziate sembrano, come si è visto, particolarmente soggette ai disturbi del sistema nervoso. La classe di età maggiormente colpita risulta essere quella dai 35 ai 49 anni (41,4%), il 21,9% in più delle donne coniugate di questa età ricoverate per la stessa malattia. A questo proposito è opportuno ricordare che oltre il 50% delle donne affronta il divorzio tra i 35 e i 49 anni e il 44,7% della popolazione femminile divorziata, rilevata al censimento 1991, appartiene a questa stessa classe di età.

Anche i disturbi psichici colpiscono più frequentemente le donne divorziate rispetto ai maschi. Sono colpite da questo disturbo l’11,5% del totale delle divorziate rispetto al 1,2% delle coniugate; l’80% ha dai 50 ai 69 anni contro solo il 29,3% delle coniugate della stessa età. Considerando poi il totale delle donne ricoverate suddivise per età, i disturbi psichici risultano essere causa di ricovero per il 18,2% delle divorziate dai 18 ai 34 anni, per il 5,8% di quelle dai 35 ai 49 anni, il 18,9% di quelle dai 50 ai 69 anni contro rispettivamente l’1,6% e lo 0,8% delle coniugate della stessa età.

La classe di età dei maschi divorziati che, invece, risulta essere stata maggiormente colpita da disturbi psichici è quella dai 35 ai 49 anni (77,8%), con il 60,9% in più rispetto ai coniugati della stessa età ricoverati per la stessa patologia. Questo contingente rappresenta l’8,5% del totale dei ricoverati di queste età rispetto all’0,6% dei coniugati.

Le malattie dell’apparato digerente colpiscono il 17,9% dei pazienti maschi divorziati rispetto al 14,4% dei coniugati. Anche gli uomini divorziati sembrano essere particolarmente soggetti a questa patologia (37%) dai 35 ai 49 anni. Oggi il 57% dei maschi al momento del divorzio appartiene proprio a tale fascia di età.

Alla luce dei risultati evidenziati dalla ricerca sui pazienti ricoverati al Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano è dunque possibile rilevare una significativa congruenza con le ipotesi già sollevate relativamente alle conseguenze del divorzio sugli ex coniugi.

Il fatto che i divorziati del campione presentino una maggiore vulnerabilità dei coniugati ai disturbi psichici e nervosi, risulta chiaramente correlato con il processo di lutto conseguente il divorzio e con i meccanismi psicologici che accompagnano la coppia attraverso le varie fasi della disgregazione coniugale, quali il distacco emotivo dal partner, il divorzio legale, economico, genitoriale, sociale e psichico.

Più alti decessi

Alcuni studi hanno messo in evidenza come i dati riguardanti la morbilità dei divorziati possano risultare distorti da quello che viene definito illness behaviour. Secondo questa teoria, coloro che subiscono un processo traumatico e stressante come il divorzio sono portati a percepire il proprio stato di salute in maniera diversa e, generalmente, più grave di coloro che sono coniugati o che godono del supporto affettivo di un partner.

Se questa teoria può in parte essere condivisa, tuttavia, un’analisi del tasso di mortalità (Tm) della popolazione italiana divorziata per il triennio 1993-1995, messa a confronto con quella coniugata, nelle relative classi di età, mostra come, al di fuori di qualsiasi dubbio, sia proprio il fatto di appartenere allo stato civile di divorziato a costituire un fattore negativo per la sopravvivenza.

Figura 1.

In Italia, infatti, a parità di età, i divorziati hanno tassi di mortalità più alti dei coniugati (si veda figura 1). Per la classe di età dai 20 ai 24 anni, il Tm dei divorziati (7,64‰), sebbene al di sotto di quello dei vedovi (20,48‰), evidenzia una sovramortalità rispetto ai coniugati piuttosto elevata. I divorziati dai 25 ai 29 anni sembrano invece essere proporzionalmente meno soggetti a maggiore rischio rispetto alle classi più giovani. Il Tm infatti scende all’1,74‰, mentre il valore della mortalità dei coniugati della stessa età è dello 0,34‰.

Nelle due classi di età successive il Tm dei divorziati tende ad aumentare di nuovo con decisione, registrando un valore del 2,19‰ e 2,44‰. Dopo i 40 anni il Tm dei divorziati mostra, invece, valori proporzionalmente crescenti al crescere dell’età con valori non solo costantemente al di sopra di quelli dei coniugati, ma anche di quelli dei vedovi della stessa età per superare, dopo i 60 anni di età, anche il Tm dei celibi e nubili.

In Italia, come in tutti i Paesi industrializzati, è normale rilevare per i maschi tassi di mortalità più alti di quelli delle femmine a seguito di un differente stile di vita che caratterizza i due sessi e di una serie di fattori ambientali e sociali che fanno sì che uomini e donne siano diversamente esposti al rischio di morire.

Scendendo maggiormente nel dettaglio dell’analisi dei dati relativi alla mortalità dei divorziati, è possibile osservare come, ad ogni età, anche i maschi divorziati facciano registrare tassi molto superiori a quelli delle femmine (vedi tabella).

Tabella: Tassi di mortalità per stato civile e sesso (1993-95).

Nella fascia di età dai 20 ai 24 anni la probabilità di morte dei maschi divorziati è di 7,7 volte più alta di quella delle donne divorziate, e nella classe di età successiva (25-29) ha un valore di 4,4 volte più grande, mentre dai 30 ai 34 anni gli uomini che hanno subito un divorzio muoiono 4,2 volte più delle donne che hanno avuto la stessa esperienza. Dopo i 40 anni la mortalità maschile si stabilizza su valori che variano da un minimo di 2 ad un massimo di 2,4 volte in più rispetto a quella delle femmine.

Tuttavia, osservando gli stessi dati in prospettiva comparativa, i tassi di mortalità per sesso ed età dei divorziati e dei coniugati italiani, si rileva come il divorzio abbia effetti diversi nel rapporto degli uomini e delle donne nei confronti della morte. Sembra infatti che fino ai 54 anni siano gli uomini ad essere maggiormente danneggiati dall’appartenere alla condizione di divorziati, mentre nelle età superiori siano maggiormente penalizzate le donne.

Nelle fasce di età giovanili, infatti, il maschio divorziato sperimenta un tasso di mortalità da 37,4 volte (20-24 anni) a 2,5 volte (40-44 anni) superiore a quello di un maschio coniugato della stessa età. Per le donne giovani, invece, la sovramortalità delle divorziate rispetto alle coniugate della stessa età è dalle 19 volte (20-24 anni) all’1,9 volte (40-44 anni) più grande.

I divorziati delle classi di età intermedie sperimentano un progressivo calo della sovramortalità rispetto ai coniugati con un ritmo molto più accentuato per gli uomini rispetto alle donne. Dai 55 ai 60 anni la sovramortalità dei maschi e delle femmine divorziate si eguaglia su valori pari circa al 150% in più rispetto ai coniugati. Tuttavia oltre i 70 anni sono le donne divorziate ad essere maggiormente penalizzate dal loro stato civile rispetto agli uomini. A questa età, infatti, le divorziate sperimentano un aumento delle probabilità di morte rispetto alle coniugate pari al 27% circa in più di quello che subiscono gli uomini divorziati rispetto a quelli coniugati (si veda figura 2).

Figura 2.

Le donne recuperano prima

L’analisi dei dati evidenzia, dunque, come tra i divorziati, quelle che di solito se la cavano meglio in questo processo di ridiscussione e ricostruzione della propria identità sono, in generale, le donne, le quali, a lungo termine dopo il divorzio, stanno meglio degli uomini. Infatti, nonostante tutte le difficoltà che le donne divorziate devono affrontare per la riduzione del reddito e il conseguente calo del tenore di vita, per le scarse opportunità che hanno di trovare un buon lavoro, tuttavia la maggioranza riesce a recuperare un sufficiente livello di soddisfazione personale. Per molte donne la separazione costituisce un’opportunità per far emergere e mettere a frutto le proprie capacità in attività prima delegate al marito, per realizzare finalmente aspirazioni da tempo accantonate, per diventare per la prima volta autonome e libere di decidere da sole ed esclusivamente a proprio vantaggio, al di fuori dei ruoli tradizionali di figlia, prima del matrimonio, e di moglie poi. Se hanno figli, inoltre, il ruolo generalmente riservato loro di affidatarie è un ulteriore motivo di orgoglio e responsabilizzazione, anche se non privo di difficoltà, a volte anche molto stressanti.

Al contrario, le persone che stanno male più a lungo dopo la separazione sono quelle che non sono riuscite a completare il loro "divorzio psichico", cioè a separare il proprio Io da quello dell’ex partner, ma continuano a rimanere psicologicamente dipendenti dal precedente rapporto, ossessionate dai ricordi, dalla nostalgia e aumentando con le fantasie di riconciliazione o di vendetta il loro disagio emotivo. Questi sono generalmente coloro che subiscono il divorzio e si sono opposti ad esso, poiché avevano effettuato nel matrimonio un investimento emotivo più grande di quello di altri soggetti e avevano idealizzato il partner identificando in lui, o lei, l’unica ragione di vita, convinti che il rapporto sarebbe durato per sempre.

Anche per questi motivi, coloro che soffrono di più dopo il divorzio continuano a considerare il loro matrimonio come una parentesi idilliaca, un passato perfetto di cui rimpiangono ogni istante poiché non riescono a capire i motivi che hanno portato alla rottura, che, per altro, giunge loro di solito inaspettata. Oppure essi vedono il loro passato matrimonio come un’esperienza terribile, un luogo infernale in cui tutte le loro speranze e aspettative sono andate distrutte e tradite, rovinando irrimediabilmente la loro vita, ma proprio per questo il rancore e il rimpianto per quello che, invece, avrebbe dovuto essere, corrodono inesorabilmente il loro futuro.

Tra coloro che stanno male a lungo, vi sono le donne non più giovani che avevano dedicato la propria vita ad assolvere ai tradizionali compiti di moglie e madre sacrificandovi ogni loro energia per molti anni e che vengono improvvisamente abbandonate dal marito per un’altra donna, spesso più giovane (5).

Queste donne erano generalmente soddisfatte del loro rapporto di coppia ed erano disposte a sopportare anche le amarezze, le delusioni e i lati negativi del loro matrimonio dal momento che si sentivano appagate di essere parte integrante e indispensabile della famiglia.

Di conseguenza l’opportunità offerta loro dal divorzio di costruirsi una nuova vita, che possa anche essere migliore e più appagante per sé come persone, di quella precedente, non ha alcun significato.

Inoltre, quanto più la donna divorziata è avanti negli anni, tanto minori sono le sue possibilità di trovare un lavoro gratificante che le permetta di superare le difficoltà economiche, soprattutto se non aveva avuto precedenti esperienze di attività extradomestica.

Come è stato messo in evidenza, tra gli uomini, coloro che soffrono più a lungo della rottura di un matrimonio sono coloro che divorziano in età molto giovane, quando ancora non hanno raggiunto la sicurezza professionale ed economica, e gli uomini di una certa età, che hanno vissuto un matrimonio tradizionale e sono lasciati dalla moglie.

In linea generale essi vivono male il periodo post-divorzio, anche perché non riescono ad affrontare da soli le difficoltà pratiche della vita domestica, non riuscendo a badare a se stessi in maniera confortevole.

I giovani hanno la peggio

I giovani si vedono spesso costretti a tornare a vivere con i genitori, sacrificando la propria autonomia oppure devono accontentarsi di situazioni abitative transitorie e poco confortevoli dal punto di vista del calore domestico, come residence o appartamenti ammobiliati. I giovani separati si dedicano spesso a una vita sentimentale e affettiva turbolenta e intensa ma non sempre appagante, poiché hanno difficoltà a stabilire legami duraturi e si rifiutano d’impegnarsi seriamente con una nuova compagna. Essi, infatti, non vogliono essere nuovamente delusi, anche se, allo stesso tempo, hanno paura di rimanere soli e vorrebbero ritrovare il calore di una famiglia.

A lungo andare perdono sempre più fiducia in se stessi e nella propria capacità di amare e di essere amati, maturando un disprezzo per le donne in generale. Questi giovani uomini si sentono, infatti, sempre più inadeguati e incapaci di assolvere ai tradizionali ruoli di uomo e marito, soprattutto se non riescono ad avere una carriera professionale gratificante e vedono invece la ex moglie felice con un altro uomo che li ha rimpiazzati con successo nei ruoli di compagno e di genitore. A ciò si accompagna quasi sempre l’adozione di uno stile di vita sregolato e poco prudente sia nelle abitudini alimentari che nelle attività quotidiane, dovuto all’improvviso venire meno delle responsabilità che comportava avere una moglie e dei figli di cui occuparsi.

Gli uomini, invece, che subiscono la separazione in età avanzata e non riescono a trovare una nuova partner che si occupi di loro, soffrono in particolare modo la solitudine e difficilmente riescono a ricostruirsi rapporti sociali soddisfacenti poiché difficilmente sono in grado di superare gli stereotipi tradizionali di ripartizione dei ruoli maschili e femminili e a conquistarsi una nuova identità relazionale autosufficiente. Essi rimpiangono, inoltre, la ex moglie che costituiva il fulcro della loro vita sociale e affettiva, sono spesso vittime di depressione, angoscia e disperazione e perdono facilmente i contatti con la realtà.

I dati relativi alla morbilità e alla mortalità dei divorziati evidenziano come vi sia una relazione diretta tra la rottura del legame coniugale e il peggioramento delle condizioni di salute e sopravvivenza degli individui. Numerosi studi concordano nel far risalire la sovramorbilità e la sovramortalità dei divorziati a una reazione psicosomatica alla fortissima e prolungata situazione di stress che accompagna la separazione dei coniugi. Queste teorie trovano conferma sia nella distribuzione percentuale della casistica patologica dell’Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano, sia nei risultati dell’indagine Istat sulle famiglie.

In entrambi i campioni, infatti, emerge una maggiore propensione dei divorziati verso disturbi legati alla componente nervosa, psicologica e psicosomatica o legati a quei comportamenti definiti rischiosi quali il fumo, la cattiva alimentazione, una vita poco regolata e una diminuzione della prudenza nello svolgere le attività giornaliere.

Anche l’analisi della mortalità per stato civile mostra con chiara evidenza un maggiore rischio di morte dei divorziati rispetto ai coniugati. I tassi di mortalità per classi di età mostrano altresì come la condizione dei divorziati dai 35 ai 65 anni risulti peggiore anche a quella dei vedovi. Da ciò si può dedurre come la sovramortalità dei divorziati non sia unicamente una conseguenza della perdita del partner e dell’effetto protettivo del matrimonio. Il divorziato, infatti, deve affrontare una serie di perdite, cambiamenti e stress che sono specifici dello scioglimento del matrimonio e della posizione in cui, di conseguenza, egli verrà a trovarsi nella società.

La transizione verso lo stato civile di divorziato coinvolge, dunque, l’individuo nella sua complessità e interezza e ne modifica completamente lo stile di vita, la socialità, la salute e la speranza di vita.

Tuttavia, come è stato sottolineato, le reazioni a questa situazione di stress sono influenzate anche da una serie di caratteristiche del soggetto stesso, della famiglia in cui vive e del gruppo sociale in cui interagisce. Ulteriori studi sono necessari per quantificare quale sia l’influenza di queste variabili nel determinare il peggioramento delle condizioni di salute e di vita dei divorziati.

Maristella Bergaglio

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