DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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Se gli insicuri giovani d'oggi rischiano la vita per il Viagra. Nelle nuove generazioni, sempre più insicure, è boom di pillole blu.

di Melania Rizzoli
Nelle nuove generazioni, sempre più insicure, è boom di pillole blu. L'ultima vittima è il chitarrista dei Tokio Hotel finito in overdose. Il desiderio è sempre più indotto. E i farmaci alla lunga possono uccidere

La notizia, riportata dal tabloid tedesco Bild Zeitung, non è che Tom Kaulitz, chitarrista dei Tokio Hotel, sia stato ricoverato due giorni, durante un tour in Asia, per intossicazione da Viagra, ma è che lui lo prenda, il Viagra, avendo Tom solo vent’anni.

Suo fratello gemello Bill, leader della famosissima band musicale, idolo delle nuove generazioni di tutto il mondo, ha raccontato alla stampa, ridendo, che Tom, sotto l’effetto di tre o quattro pasticche, «vedeva doppie anche le ragazze», sintetizzando così i sintomi di sovradosaggio del farmaco che comportano appunto diplopia (visione doppia), sindrome emetica (nausea e vomito), cefalea, tachicardia, oltre che complicanze vascolari, cardiache e cerebrali, negli uomini di età più avanzata e con le coronarie e i vasi a rischio.
Il fenomeno è in costante crescita, poiché molti giovanissimi oggi, ma anche i meno giovani, usano regolarmente le famose pillole blu prima di ogni rapporto sessuale per diminuire, così dicono, «l’ansia da prestazione».

Il farmaco, studiato per le disfunzioni erettili, e lanciato sul mercato da oltre quindici anni, è molto efficace nella sua funzione, e ha risolto i problemi di migliaia di uomini nel mondo, prolungando e rafforzando l’erezione, ritardando l’eiaculazione ed aiutando in maniera efficace la prestazione sessuale degli uomini over sessanta, quando la potenza e lo stimolo sessuale diminuiscono, parallelamente al decremento ormonale specifico.

I pazienti che assumono il farmaco conoscono bene la differenza tra l’uso e il non uso, «è più facile, ed è molto meglio, e poi, vai a colpo sicuro!» dicono regolarmente, ed in effetti, se non vi sono problemi fisiologici di base, che comportino impotenza sessuale patologica, quella pasticca blu è una meraviglia della ricerca scientifica e ha modificato le abitudini sessuali di milioni di uomini, riuscendo ad aumentare la frequenza e la durata dell’attività sessuale fino ad età molto avanzate.

Non solo. In questi ultimi dieci anni il principio attivo del farmaco è stato così elaborato e potenziato da aver prodotto dei derivati più attivi, di pronto effetto, che agiscono cioè dopo circa quindici, venti minuti dall’assunzione orale, con un tempo d’azione più ridotto rispetto al Viagra classico, ma con un effetto più «concentrato», più potente ed efficace.

È il famoso Cialis, che nella versione fast risponde all’esigenza di chi, avendo incertezze od ansie da prestazione, vuole consumare un rapporto sessuale non programmato, deciso all’ultimo minuto, o di chi vuole un «aiuto» certo per una potenza più sicura, più vigorosa e duratura.

È questo il farmaco preferito dai giovani, che ne fanno ormai un uso diffuso e frequente, come se si trattasse di prendere una vitamina, ed iniziano a consumarlo appunto da giovanissimi, pur non avendone fisicamente e sessualmente alcun bisogno, ignari degli effetti collaterali a breve ed a lungo termine che oggi provocano un nuovo fenomeno clinico, quello dei «giovani infartuati» da Viagra che fino a qualche tempo fa non sarebbero mai arrivati all’osservazione medica.
Sono infatti in aumento gli infarti del miocardio negli uomini sotto i quarant’anni, e in un’epoca in cui è ormai più difficile e raro morire d’infarto grazie alle nuove terapie mediche e strumentali, questo trend desta qualche preoccupazione nella comunità scientifica internazionale. Se poi si aggiunge che nella fascia d’età tra i venti e i quaranta le sostanze chimiche assunte con regolarità possono essere varie, ma comunque tutte eccitanti e stimolanti, ecco che l’accumulo degli effetti farmacologici collaterali può provocare serissimi problemi di salute.

Queste compresse per la disfunzione erettile, scoperte casualmente studiando una molecola per l’ipertensione arteriosa, agiscono appunto sul sistema vascolare, sui vasi sanguigni e sui corpi cavernosi del pene, ma anche sui vasi di tutto il resto del corpo, e lì dove c’è una predisposizione o un difetto vascolare (placca aterosclerotica, stenosi venosa od arteriosa, fragilità parietale) l’effetto prolungato e ripetuto, o la dose tossica del farmaco può provocare un danno temporaneo o permanente.

La prescrizione del Viagra e del Cialis, infatti, dovrebbe essere rigorosa, con il rispetto per le molte controindicazioni e con le avvertenze per il paziente sugli effetti collaterali e sulle attenzioni al dosaggio ed alla frequenza di assunzione del farmaco stesso.
Il fatto è che oggi i giovani non vanno certo dal medico a vent’anni a farsi prescrivere il Viagra. Loro si rivolgono direttamente dalla loro vera madre, la rete Internet, dove con un semplice clic, una modica spesa, e soprattutto in anonimato e senza alcuna ricetta medica, ricevono direttamente a casa le miracolose pillole del sesso.
In realtà la maggioranza dei «farmaci» ordinati su Internet è contraffatta, sono una vera bufala, addirittura privi del principio attivo essenziale per la reale efficacia del farmaco o per essere considerato tale, ed agiscono quindi come pillole ad «effetto placebo» sugli ignari ed inesperti ragazzi, ma in genere maschi sessualmente sani, affetti solo da lievi disturbi d’ansia legati all’età e alla scarsa esperienza.

Ma talvolta il principio attivo è presente nelle confezioni inviate e in dosi non regolamentate, con i conseguenti e noti effetti tossici riferiti.

Se poi a questo si aggiunge che i giovani non rispettano per niente le quantità consigliate, assumendo a piacimento più compresse, per eccedere in tutto quello che fanno alla loro età, ecco che spesso si ritrovano ricoverati, con una crisi cardiaca, in erezione continua e con una flebo in vena, come il chitarrista Tom Kaulitz, in qualche ospedale del mondo.

Quello che però nessuna ricerca scientifica analizza o denuncia, è l’aumentata abitudine al consumo automatico di farmaci per qualunque esigenza, soprattutto sessuale. Basta dire che si prova qualcosa, anche solo un’emozione, ecco che arriva il consiglio immediato di una qualsiasi medicina per compensare un evento assolutamente naturale. Nelle nuove generazioni, sempre più ansiose ed insicure, si sta spegnendo anche il semplice desiderio sessuale naturalmente indotto, la pulsione spontanea ed irresistibile verso l’altro sesso, il richiamo istintivo prodotto dalle tempeste ormonali dell’adolescenza e della giovinezza, oltre che dalla stagione primaverile, ed il rapporto sessuale diventa un evento programmato farmacologicamente, a rapido consumo, che perde la sua spontaneità e naturalezza. Diventa artificiale.

Atteggiamenti quali il corteggiamento e la conquista di una donna, che provocano ed aumentano il desiderio sessuale, e inducono emozioni naturali, sono oggi una rarità e vengono sostituiti, con sempre maggior frequenza, da una efficace pillola blu, che si ingoia rapidamente e automaticamente e che riduce e concentra i tempi di azione e di reazione, a vantaggio o a svantaggio di prestazioni sicuramente più vigorose ma forse meno autentiche, e spontanee. Ed alla lunga meno emozionanti.


© IL GIORNALE ON LINE

Facebook? Ora è anche tra le coperte. Secondo una ricerca USA il 7 per cento degli utenti utilizza FB e Twitter anche durante i rapporti sessuali

Milano - Se la dipendenza da internet o dai videogiochi è nota da almeno un decennio, con tanto centri specializzati nella disintossicazione, ora potrebbe rendersi necessario aprire un nuovo reparto, stavolta dedicato ai social network. Svegliarsi di notte e accendere il computer, o collegarsi a internet dal cellulare al mattino prima ancora di scendere dal letto, stanno diventando abitudini per molti utenti di Facebook e Twitter, ormai vinti dalla tentazione di usare le reti sociali in qualsiasi momento e circostanza, anche durante il sesso. L’allarme arriva dagli Stati Uniti. La californiana Retrevo, specializzata nella vendita online di prodotti tecnologici, ha intervistato un migliaio di consumatori per capire quale uso facessero dei social network.

Anche durante il sesso La scoperta più sorprendente risiede in quel 7% di utenti che dichiara di controllare un messaggio elettronico anche durante un rapporto intimo. La cifra balza all’11% tra chi ha meno di 25 anni. Mantenere i contatti digitali sembra essere diventata una vera e propria droga, se è vero che il 40% del campione corre a leggere un messaggio elettronico appena arrivato anche nelle situazioni più formali o delicate. La maggiore dipendenza si riscontra sempre fra i giovani: sesso a parte, tra gli under 25 il 49% si dice affatto disturbato dal ricevere un messaggio durante i pasti e al 25% non crea problemi nemmeno se è in bagno. C’è poi un 22% che risponde serenamente nel bel mezzo di una riunione di lavoro. Ai social network non si rinuncia neppure di notte. Alla metà del campione capita infatti di controllare e aggiornare il profilo su Facebook e Twitter dopo essere andato a dormire, o come prima azione del mattino. Tra gli under 25 la tendenza è più marcata: per il 19% è prassi connettersi ogni volta che si sveglia, mentre il 18% lo fa ancora prima di alzarsi dal letto. Il social network arriva prima del caffè soprattutto tra gli utenti di iPhone, che nel 28% dei casi si collegano quando sono ancora sotto le coperte.

Meglio i social network della tv
Per uno su quattro, inoltre, Facebook e Twitter sostituiscono la tv e i giornali, fornendo la dose mattutina di notizie. L’ossessione, ovviamente, prosegue durante il giorno: il 12% ammette di dover controllare il proprio profilo ogni paio d’ore, percentuale che sale al 18% tra gli under 25. Sempre tra i giovani il 20% aggiorna la propria pagina alcune volte al giorno e il 23% almeno una volta nell’arco della giornata. In totale, sei su dieci hanno un rapporto quotidiano con le reti sociali.

© Copyright Corriere della Sera 27 marzo 2010

La dimensione psicologica nelle psicosette

ROMA, sabato, 27 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un estratto del volume "Le Sette Svelate" di Antonio Fasol, Presidente del Gruppo di Ricerca e Informazione Socioreligiosa (GRIS) di Verona.



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Se nella originaria visione psicoanalitica freudiana classica ogni conflitto morale risulta, in ultima analisi, di origine nevrotica, ed ogni credenza religiosa di tipo metafisico tout court illusoria se non delirante, tutta la critica successiva, a partire da Jung [3] ne ha evidenziato l'eccessivo riduzionismo semplificatorio, mettendo in luce il possibile connubio tra sviluppo di una struttura psichica matura e adesione religiosa, fino a chi è arrivato ad individuare, al contrario, il comportamento ateistico stesso come frutto di processi nevrotici [4]

Per quanto riguarda, in particolare, il punto di vista della psicologia della religione, va specificato che essa studia, nello specifico, il corrispettivo psichico individuale dell'esperienza religiosa, a prescindere dalle caratteristiche della religione di appartenenza, nel rispetto di una sorta di "distanza critica" e di agnosticismo metodologico [5]. Evitando i due estremi costituiti sia dalla tentazione riduzionistica, che riduce cioè la religione a mera costruzione psichica, sulla scia peraltro del filone filosofico costituito dai cosiddetti "maestri del sospetto", sia da quella apologetica, che vorrebbe ricercare conferme bio-psicologiche alla necessità e validità universale della religione e del cosiddetto "bisogno religioso" in senso stretto. A. Vergote, in particolare, nel tentativo di superare la diatriba sulla valutazione dell'essenza della religione [6] limita il campo della psicologia della religione all'identificazione dei processi psichici che consentono al singolo individuo di aderire al sistema simbolico proprio della religione incontrata nel suo ambiente culturale. Ciò non gli impedisce, comunque, di operare una distinzione, basata esclusivamente su tali presupposti metodologici, tra religioni autentiche e pseudo-religioni. [7]

Va inoltre tenuto conto che l'ambito della religiosità, in particolare quella intrinseca, distinta da quella estrinseca, (funzionale, cioè a bisogni esterni, quali sicurezza, difesa, ecc,) che comporta accettazione di sé e motivazione disinteressata, non è paragonabile ad un fattore secondario e contingente, (quale può essere la professione o un hobby), ma rappresenta una dimensione unificante della vita e totalizzante della personalità, una sorta di spinta motivante e significante ogni azione vitale [8]. Continuando lungo la scia logica di tale interpretazione (che, ribadiamo, concerne esclusivamente la cornice psichica del fenomeno), e trasferendola all'ambito più specifico di nostro interesse dei movimenti religiosi alternativi, si potrebbe affermare che l'adesione ad essi, specialmente quando si verifica nel corso della vita come conversione da una concezione precedente, sarebbe la conseguenza, in ultima analisi, di una mancata corrispondenza di quest'ultima con il proprio sistema simbolico e psichico, che verrebbe invece a coincidere meglio con l'offerta spirituale proposta dai movimenti stessi.

Inoltre, specialmente nel caso di adesione a movimenti sincretistici e del vasto milieu new age, si assisterebbe ad una sorta di capovolgimento di tale meccanismo, fatta salva la natura prettamente psicologica della teoria: in molti gruppi di questo tipo si assiste, infatti, ad una sorta di assemblaggio fai-da-te di elementi spiritualisti e religiosi, non in funzione della loro organicità e coerenza intrinseca, ma della loro soddisfazione e conformazione ai propri bisogni e desideri (meccanismi psichici).

Questo spiegherebbe, tra l'altro, la grande eterogeneità degli elementi scelti, la loro diversa provenienza storico-culturale nonché la loro frequente apparente incompatibilità ed incoerenza, secondo gli schemi della teologia e delle religioni tradizionali. Essi, infatti, in tale quadro ermeneutico, non sarebbero che il frutto di altrettante risposte di adattamento funzionali ai propri svariati ed incontrollabili bisogni e sistemi psichici [9]. Sarebbe un po' come, per usare un paragone banale ma efficace, voler andare a sagomare i bordi della cornice di un puzzle modellandoli in funzione della forma dei pezzi a nostra disposizione e non, come si fa normalmente, cercare di farli combaciare secondo le curvature e le convessità preesistenti.

In ogni caso, gli aspetti "patologici" individuali legati al vissuto religioso o comunque spirituale, prescindono dalla identità del movimento di appartenenza, in quanto nessuno ne può essere immune a priori, anche se è evidente che i gruppi settari e distruttivi in particolare, come ampiamente descritto nei capitoli precedenti, tenderanno più facilmente ad accentuare aspetti di fragilità psicologica latenti. Ciò esattamente al contrario di un vissuto religioso autentico in una personalità matura, che, anche solo dal punto di vista intrapsichico, ed a prescindere da qualsiasi considerazione valoriale, di norma dovrebbe agire in modo completativo ed integrativo, seguendo di pari passo le dinamiche evolutive della personalità, e non puramente compensativo di disagi o sofferenze psicologiche, come ampiamente dimostrato da numerosi studi [10].

Nella misura in cui, infatti, una conversione a qualsivoglia organizzazione religiosa, sia appartenente alle religioni tradizionali che ai cosiddetti movimenti religiosi alternativi, rappresenti un tentativo meramente funzionale di risposta a bisogni non strettamente religiosi [11] ma altri (psicologici, patologici in genere, sociali, di convenienza, economici, affettivi, ecc.), non si può parlare di autentica conversione religiosa; si tratterà, piuttosto, di risposte "mascherate" di religiosità ma, in ultima analisi, funzionali a bisogni diversi; dei quali spesso, peraltro, la religione rischia di diventare una sorta di paravento legittimante; peraltro estremamente fragile e in balìa di ogni evento o condizionamento esterno.

Varie sono peraltro le interpretazioni della conversione religiosa in genere, secondo le categorie psicodinamiche: dai meccanismi di compensazione o di rappresentazione simbolica dei vissuti intrapsichici individuali, alla "sostituzione di complessi" (S. De Sanctis) infantili, o ancora , alla loro sublimazione. [12] Merita menzione, infine, la recente teoria dell'attaccamento 13 recentemente emersa nell'ambito della psicologia della religione, in quanto, pur trattandosi di una teoria ancora in fase di iniziale ricerca e riferita universalmente alle religioni in generale, trova nei gruppi settari più ideologizzati l'esempio emblematico per una analisi del vissuto da attaccamento " patologico". In essi, infatti, l'individuo mostra una accentuata dipendenza regressiva nei confronti del leader-guru, interpretabile psicologicamente come il retaggio del mancato superamento del legame simbiotico con la madre (Abgrall).

Nel corso degli anni '80 si è registrato un acceso dibattito, in ambito nordamericano, con relative prese di posizione giudiziarie, tra associazioni, sociologi e accademici critici e favorevoli nei confronti delle sette, o meglio sulla correttezza e validità scientifica dell'uso di tecniche di condizionamento ed ingannevoli da parte di alcune di queste. A seguito di alterne vicende e svariate ricerche, l'Associazione Psicologica Americana (APA), pur in presenza di un controverso rapporto fortemente critico 14, giunge sostanzialmente ad una conclusione di non pronunciamento per mancanza di informazioni complete e documentate, ma comunque non di rifiuto esplicito, come talora impropriamente riportato15. Per restare nell'ambito della realizzazione sociale di teorie psicologiche alternative, va ricordato anche lo sviluppo di certe scuole di pensiero, a partire dagli anni '60 e '70, legate per esempio alla cosiddetta terapia provocativa, oltre alla successiva variegata diffusione delle offerte di teorie e prassi applicative sulla formazione e il cosiddetto "sviluppo personale" che si rifanno (fedelmente o liberamente) alle teorie della Programmazione Neurolinguistica (PNL) [16].

Fondamentale è operare un non sempre agevole discernimento, in merito, tra quanto avviene nelle numerose associazioni psico spiritualiste di formazione e sviluppo personale della cosiddetta religione dei seminari, suscettibile di comportamenti settari, e le scuole di pensiero accreditate scientificamente, opportunamente trattate anche in corsi universitari (Psicologia del Benessere), che rispettano le linee guida accreditate in ambito deontologico professionale, astenendosi rigorosamente sia da ogni giudizio critico sulle persone sia da qualsiasi forma di contatto fisico o, peggio, di violenza fisica, agita o comunque tollerata [17]. Per non parlare di altri aspetti fortemente critici riscontrabili in gruppi controversi quali l'uso di pseudo tecniche mono-proposta (panacea di ogni problema personale) da parte di personale non sempre accreditato, la creazione di un clima di segretezza ed intimorimento al punto da creare forme di dipendenza (anche economica per i costi spesso elevati dei corsi), fino all'uso di tecniche di controllo mentale con conseguente tendenza alla sopravalutazione personale (ipertrofia dell'io) e all'inaridimento affettivo e familiare.

Per quanto riguarda, infine, lo studio della psicologia dei gruppi, merita menzione la cosiddetta sindrome gruppale, [18] sviluppatasi nell'ambito della psicologia sociale, anche per la significativa coincidenza con le caratteristiche idealtipiche individuate in questa sede per i gruppi settari: essa infatti è caratterizzata da tendenza all'uniformizzazione forzata attraverso l'autocensura e la soppressione del dissenso; sopravalutazione perfezionista; chiusura cognitiva con rimozione o demonizzazione stereotipata degli avversari.

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Note

3. Per il quale la rigida separazione tra male e bene, propria delle concezioni religiose tradizionali e occidentali in particolare, impedirebbe di sperimentare l'inesplorata zona grigia (d'ombra), dove gli opposti si fondono in una rappresentazione meno nevrotica della realtà.

4. E' il caso di L. Ancona, citato in Mario Aletti, Psicologia, psicoanalisi e religione, studi e ricerche, EDB, Bologna 1992, p. 14.

5. Cf. . Mario Aletti, Psicologia, op. cit., pp. 47-52. Per un superamento, poi, della presunta neutralità ideale dello psicologo, cf. Paolo Ciotti - Massimo Diana, Psicologia e religione-Modelli problemi prospettive, EDB, 2005, pp.187-194. ; Antoine Vergote parla di "neutralità benevola" in Antoine Vergote, Psicologia religiosa, op. cit., p. 20 e ss.

6. Cf. lo storico dibattito tra una definizione sostantiva ed una funzionale di religione, dove la prima (A.Vergote) tendeva a sottolineare il fondamento e la priorità della categoria religiosa (ed in particolare quella cristiana rivelata) rispetto all'interpretazione psicologica, mentre la seconda (V.Der Lans) tendeva a sottolinearne l'origine speculativa propria della mente umana. Jacob A. Belzen contribuirà pure a trovare una sintesi tra le due posizioni, sottolineando il concetto più universale di "spiritualità" e la funzione morfopoietica dell'ambiente culturale e ambientale; cf. Paolo Ciotti - Massimo Diana, op.cit. pp. 87 e ss.; in senso più ampio, si veda anche la funzione condizionante del "mondo vitale"(Lebenwelt) ampiamente elaborato da Jurgen Habermas.

7 Cf. Antoine Vergote, op.cit., p.25.

8. Vd. Allport, L'individuo e la sua religione, pp. 274-276 o Psicologia della personalità, p 256 e ss.

9. Secondo il paradigma rappresentato dal passaggio dalla religione "trovata" alla religione "creata" (Vergote)

10. Per una descrizione articolata della religiosità come fattore integrante e promovente la personalità, vd. G. Sovernigo, Religione e persona: Psicologia dell'esperienza religiosa, EDB, Bologna, 1993; per una analisi critica del presunto rapporto biunivoco tra salute mentale, maturità umana e salute mentale, cf. Mario Aletti, op. cit., pp. 45-47; vd. anche Allport.

11. Secondo alcuni autori, più che di "bisogni religiosi" sarebbe più corretto parlare di "disponibilità religiosa", cioè la capacità di dare connotazione religiosa a vicende riguardanti la maturazione della personalità umana, senza svilirne lo sviluppo naturale (cf. G. Sovernigo, op. cit. p. 66 )

12. Cf. Antoine Vergote, op. cit, pp. 228 e ss.

13. A partire dagli studi di Lee Kirkpatrick e Pehr Granqvist

14. Si tratta del rapporto denominato DIMPAC

15. Per un'ampia e documentata trattazione della controversia interpretativa, risalente alla fine degli anni '80, ed un tentativo di ricomposizione, tra allora esponenti del GRIS e CESNUR, cf. Massimo Introvigne, Il lavaggio del cervello, op. cit. pp. 92-101

16. Particolare sistema di sviluppo personale attraverso il "modellamento" del comportamento, ideata da Richard Bandler e John Grinder, che integra in un sistema singolare psicologia, linguistica e cibernetica

17. Per una trattazione critica e documentata sui danni provocati di quelle che vengono emblematicamente definite "Psicoterapie folli" cf. Margareth Singer, J.Lalich, "Psicoterapie Folli", Ed. Erickson, 2000 comprese le fondamentali regole deontologiche contenute nella presentazione all'edizione italiana curata dal Dott. Paolo Michielin, nonché le linee-guida europee in tema di deontologia psicoterapeutica elaborate dall'Efpa e dall' Eap.

18. Vd I.L. Janis, citato in M.L. Miniscalco, op. cit. p. 118

«Rischio nevrosi con poker online e Win for life» «Pericolo di sviluppare dipendenza e di mettere in atto comportamenti ossessivo-compulsivi»

ROMA - «Le persone che giocano ai giochi d'azzardo come Poker on line, Win for Life o altri, sperando di risolvere i loro problemi economici rincorrendo all'illusione della vincita, rischiano la salute mentale, sviluppando dipendenza e mettendo in atto comportamenti ossessivo-compulsivi». Paola Vinciguerra, psicologa, psicoterapeuta, presidente dell'Eurodap, Associazione Europea Disturbi da Attacchi di Panico mette in guarda dai giochi d'azzardo molto diffusi tra la popolazione. Basta pensare che la crisi economica ha fatto aumentare, solo nel 2009, del 40% i guadagni delle aziende che si occupano di gioco d'azzardo.

IL SONDAGGIO - I risultati di un sondaggio on line sul sito www.eurodap.it, al quale hanno risposto 400 persone, avevano già messo in allarme l'Associazione. Infatti dai dati è emerso che il nuovo gioco Win for Life è considerato dal 60% un gioco come un altro e dal 30% addirittura eccitante. Solo dal 10% di coloro che hanno risposto è percepito come pericoloso e manipolatorio. Secondo la Vinciguerra «lo stato di frustrazione e fallimento che la crisi economica sta sviluppando nella popolazione e lo stimolo continuo che riceviamo dalla pubblicità, ha facile presa vista la totale inconsapevolezza della pericolosità di questi giochi che portano alla dipendenza». «Anche la tipologia di Win for Life istiga al gioco in quanto il fatto che la vincita massima sia di 4 mila Euro (al mese, per 20 anni ndr) dà la sensazione che sia facilmente raggiungibile - sostiene l'esperta anche Direttore dell'UIAP, Unità Italiana Attacchi di Panico, presso la Paideia di Roma - Tutto questo porterà ben presto alla possibilità di avere un aumento della dipendenza dal gioco d'azzardo su larga scala». (Fonte agenzia Agi)

LA REPLICA - «Ritengo doveroso intervenire in merito alle recenti ed allarmanti dichiarazioni veicolate dalle principali agenzie sui pericoli del gioco del poker online» commenta Marco Trucco, responsabile per l’Italia di una delle poker room più conosciute al mondo, Everest Poker, in merito alle dichiarazioni della psicologa Paola Vinciguerra sui pericoli del gioco online. «Mi chiedo come una studiosa come la dottoressa Vinciguerra possa confondere e mettere sullo stesso piano il Poker con giochi di fortuna come il «Win for Life». Tra il Poker e il Win for Life, i gratta e vinci o il lotto c’è una differenza abissale che purtroppo ben pochi “tutori della salute pubblica” si prendono la briga di studiare - preferendo fare di tutti i giochi un demagogico fascio». «Diversi serissimi studi - continua Trucco - dimostrano che il poker, ossia un gioco che richiede 1. costante sforzo mentale, 2. interazione con avversari “umani” e 3. lunghe sessioni di gioco non sia affatto assimilabile ai giochi d’azzardo tradizionali, che si caratterizzano per la ripetitività, la semplicità e l’immediatezza del risultato, elementi che, come ben saprà, sono le condizioni nelle quali si sviluppano le problematiche riguardanti l’ossessività e la compulsività del gioco. Chi impara a giocare a poker (Texas Hold’Em) scopre che non è diverso da giochi classici come il backgammon o il bridge e per gli aspetti economici può essere piuttosto assimiliato al trading in borsa, attività certo delicata e potenzialmente rischiosa, ma per la quale nessuno si sogna di dare del “malato mentale” a chi la pratica. Posso comprendere e persino essere d’accordo sulla sua critica alla promozione di un gioco di fortuna che mette in palio un vitalizio, dato che l’art.1 della nostra Costituzione sancisce che la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro e che pertanto questo messaggio possa essere eticamente scorretto», – aggiunge il responsabile di Everest Poker per l’Italia - ma senza dimenticare che l’incidenza delle patologie da gioco è stimata tra lo 0,6 e lo 0,9 per cento della popolazione e che il National Center for Responsible Gaming americano ha verificato che questa percentuale, a lungo termine, non aumenta – ad esempio – con la presenza di nuovi casinò sul territorio ma è nell’80% dei casi un effetto di altri disordini mentali». «Ciò significa – conclude Trucco - che almeno il 99,4% di chi gioca a poker lo fa per divertirsi o per guadagnare soldi tramite una legittima sfida intellettuale. E non rischiano di diventare pazzi, anzi, altri serissimi studi americani dimostrano che chi gioca a poker ha un quoziente intellettivo e sviluppa capacità matematiche straordinariamente più alte della media della popolazione».


Corriere della sera 25 gennaio 2010

L'instabilità familiare? Rischia di essre ereditaria

di Fausta Ongaro

La relazione di cui riportiamo stralci in questa pagina è stata pronunciata da Fausta Ongaro, demografa alla Facoltà di Statistica dell’Università di Padova, nel corso di un convegno su "Instabilità familiare: aspetti causali e conseguenze demografiche, economiche e sociali" organizzato a Roma dall’Accademia dei Lincei alla fine di settembre. Tutte le relazioni saranno presto pubblicate dall’Accademia nella collana "Atti dei Convegni Lincei".

Le conseguenze sui figli dell’instabilità coniugale

Trasmissione intergenerazionale dell’instabilità coniugale?
L’evidenza empirica documenta inequivocabilmente che la separazione dei genitori si trasmette da una generazione all’altra. Bumpass et al. (1991) trovano che il divorzio dei genitori aumenta tra le donne statunitensi gli odds (termine statistico traducibile approssimativamente con probabilità, rischio, ndr) di rottura dell’unione entro i primi cinque anni di matrimonio del 70%. Risultati simili sono stati trovati per la Gran Bretagna e la Germania. Insomma, al di là di variabilità tra gli studi e le popolazioni, il divorzio dei genitori è uno dei meglio documentati fattori di rischio di scioglimento del matrimonio per un individuo. Meno chiaro invece è invece il meccanismo che produce tale associazione anche perché la distanza di tempo tra potenziale causa ed il suo effetto è relativamente lunga. Uno dei primi interrogativi che ci si è posti è se l’associazione tra divorzio dei genitori e divorzio dei figli non fosse espressione di un effetto indiretto, mediato da aspetti socio-economici del corso di vita o da comportamenti familiari pregressi dei figli di genitori separati. Si sa infatti che essi hanno comportamenti demografici diversi da quelli dei figli di coppie intatte; hanno meno opportunità di raggiungere alti livelli di istruzione e buoni standard di vita da adulti; le figlie, in particolare, tendono ad assumere più frequentemente ruoli femminili meno tradizionali. Si sa, d’altra parte, che un’età giovane al matrimonio, la convivenza prima del matrimonio, uno stato economico basso sono tutte condizioni che tendono ad associarsi con maggiore conflitto coniugale e con maggiori rischi di divorzio. La letteratura conferma parzialmente questa ipotesi. L’effetto del divorzio dei genitori è in effetti mediato dall’età al matrimonio e dalla presenza di convivenza prematrimoniale. Meno sicuro è che invece l’effetto della separazione passi attraverso differenze nelle condizioni socio-economiche: alcuni studi confermano questa ipotesi, altri no. (...) Kiernan e Cherlin (1999) – utilizzando dati prospettivi su giovani adulti britannici entrati in unione di qualsiasi tipo – trovano che, dopo aver controllato per la condizione socio-economica e individuale precedente la separazione e per la storia dell’unione, l’effetto della separazione dei genitori aumenta per le donne il rischio di scioglimento dell’unione del 16% e per gli uomini del 41%. Ciò fa dire agli autori che l’associazione tra divorzio dei genitori e scioglimento dell’unione dei figli è largamente indipendente dal background familiare (...).

La seconda area di fattori che ha ricevuto attenzione in letteratura è quella dei comportamenti e delle attitudini. Date le ricadute di ordine psicologico della separazione, è inevitabile pensare che la maggiore propensione a separarsi dei figli dei divorziati possa dipendere da comportamenti problematici o da specifiche attitudini dei figli di separati nei confronti del divorzio e del matrimonio. Un’ipotesi è che i figli dei separati arrivino all’età adulta con competenze relazionali meno sviluppate e con un repertorio di comportamenti interpersonali che riducono la soddisfazione e la stabilità delle loro unioni. Deficit relazionali sono in effetti associati a maggiori rischi di scioglimento della coppia. Rispetto alle coppie che stanno insieme, quelle che poi divorziano comunicano meno, hanno meno capacità di ascolto del coniuge, tendono a rispondere alle critiche mettendosi più spesso sulla difensiva, hanno più difficoltà a risolvere i conflitti, passano meno tempo insieme, hanno più problemi di gelosia, infedeltà; in generale, mostrano atteggiamenti e comportamenti più critici e meno collaborativi. Secondo la teoria del social learning i figli apprendono molti comportamenti interpersonali osservando i modelli degli adulti; rispetto ai figli di coppie sempre unite, quelli di genitori separati avrebbero quindi meno opportunità di apprendere abilità sociali positive che facilitano il mantenimento di legami a lungo termine. In effetti alcune ricerche documentano che gli sposi con genitori poco uniti o separati riportano meno soddisfazione coniugale, più conflitti e più problemi di comunicazione.

Una seconda ipotesi è che la trasmissione intergenerazionale del divorzio passi attraverso un moderato coinvolgimento dei figli dei separati nelle unioni che formano. All’origine di questo atteggiamento può esserci un desiderio di proteggersi dal rischio di un fallimento oppure semplicemente un processo di apprendimento dai genitori che il matrimonio non è per sempre. Il risultato in ogni caso sarebbero atteggiamenti più liberali che fanno ritenere i vincoli del matrimonio superabili nel momento in cui esso diventasse insoddisfacente o si presentassero altre occasioni per formare una nuova unione. Diversi studi documentano che i giovani adulti cresciuti con genitori separati sono più pessimisti circa la durata del matrimonio e valutano il divorzio meno negativamente degli altri.
I pochi studi empirici che hanno cercato di indagare sul ruolo svolto da questi fattori nella propensione al divorzio dei figli dei separati hanno dato però finora risposte ancora poco chiare. Da un primo lavoro di Amato (1996) risulta che – a parità di background familiare e di corso di vita individuale – l’effetto del divorzio dei genitori sia mediato principalmente da deficit nei comportamenti interpersonali e che al contrario le attitudini individuali nei confronti della separazione abbiano un peso modesto. Da un successivo lavoro di Amato e De Boer (2001) risulterebbe invece l’opposto e cioè che la maggiore instabilità coniugale dei figli dei separati dipende soprattutto dal loro minore coinvolgimento nei confronti del matrimonio (...)

In Italia l’instabilità familiare è un fenomeno relativamente recente. È solo con la metà degli anni ’90 che i tassi di separazione e divorzio hanno iniziato ad avere una rapida crescita. In queste condizioni è inevitabile che non ci siano molti studi empirici sulle conseguenze della separazione sui figli. I pochi studi esistenti presentano dunque un quadro ancora molto frammentato.

Una recente indagine (Marin e Miori, 2007) che esamina l’influenza della struttura familiare e del grado di conflitto sull’atteggiamento dei figli adolescenti verso il matrimonio e il divorzio trova risultati misti: le opinioni dei giovani nei confronti del matrimonio non risentono né dal livello del conflitto né dall’esperienza della separazione; conflitto e separazione però influiscono autonomamente sulle opinioni dei figli nei confronti del divorzio, rendendo i giovani che hanno avuto queste esperienze più favorevoli al divorzio.

Nello stesso lavoro le autrici riportano anche i risultati di un paio di studi con taglio trasversale che indagano su atteggiamenti e comportamenti di giovani e ragazzi. Dal primo studio (Ercolani e Francescato, 1994) risulta che l’unità della coppia non ha influenza sul concetto di sé dei figli e sulla loro propensione a sentirsi responsabili della propria vita, anzi i maschi figli di separati tendono ad attribuire a se stessi un controllo maggiore del proprio comportamento di quanto facciano i figli di coppie unite (al contrario i figli di genitori in conflitto hanno spesso problemi emotivi e comportamentali). Dalla seconda ricerca condotta su giovani di 15-26 anni appartenenti a famiglie unite e a famiglie che si sono sciolte da almeno nove anni (Francescato et al. 1999) non risultano differenze significative tra i due gruppi per quanto riguarda la fiducia nell’altro sesso, la stabilità delle relazioni affettive, il grado di soddisfazione nella vita e il rapporto con la madre. Differenze emergono invece per quanto riguarda alcuni comportamenti: i figli di separati cominciano infatti a contribuire prima al proprio mantenimento, sono più indipendenti, vanno prima a vivere per conto proprio, hanno più amici e li frequentano più spesso rispetto ai loro coetanei di genitori uniti. Uno studio con dati retrospettivi condotto su studenti di alcune università italiane mostra infine che l’esperienza della separazione dei genitori anticipa l’età al primo rapporto sessuale per le ragazze, mentre non ha alcun impatto sul comportamento dei ragazzi (Ongaro, 2004). Il risultato è in linea con quelli trovati per in altri Paesi.

Il limite di questi lavori è che riguardano gruppi di popolazione non rappresentativa a livello nazionale. Per contro, essi hanno il vantaggio di poter indagare su aspetti particolari del fenomeno che non è sempre possibile approfondire con indagini a più ampio raggio. In questa sessione saranno presentati nuovi risultati basati su dati che provengono sia da piccoli campioni sia da indagini rappresentativi a livello nazionale: essi possono fornire un ulteriore tassello alle conoscenze finora acquisite.

In realtà, in Italia, sarebbe il caso di iniziare a mettere in programma indagini più sistematiche sul fenomeno. Ci sono almeno tre buone ragioni per farlo. La prima è che, sebbene non abbia raggiunto i livelli di altri Paesi europei, l’instabilità familiare è in rapida crescita e comincia ad interessare quote crescenti di figli. Elaborazioni proprie su dati dell’Indagine Istat su Famiglie e Soggetti Sociali del 2003 indicano che il 6% degli individui con meno di 35 anni ha avuto genitori separati. Si oscilla dal 3% per i più piccoli (età 0-4) all’8% dei 20-24enni.

Si tratta di percentuali ancora lontane da quelle di altri paesi con alti tassi di instabilità familiare; tuttavia i valori assoluti cominciano ad essere alti. Secondo gli ultimi dati noti su separazioni e divorzi (Istat, 2005) nel 2003 il 70% delle separazioni legali e il 60% dei divorzi hanno riguardato coppie con figli avuti durante l’unione. Complessivamente i figli coinvolti nella crisi coniugale dei propri genitori sono: 96.000 nelle separazioni; 41.500 nei divorzi. Limitandosi ai soli figli minori, con un po’ di calcoli si può stimare che nel 2003 l’esperienza della separazione ha interessato un po’ più di 73.000 bambini e ragazzi, quella del divorzio quasi 24.000 minori. Di questi, rispettivamente 44.500 (il 61%) e 10.000 (41%) avevano meno di 11 anni. Il fenomeno insomma comincia ad avere rilevanza sociale, tanto più se il trend delle separazioni continuerà a crescere con i ritmi degli ultimi anni.

La seconda ragione è di natura più conoscitiva. La maggior parte della letteratura sugli conseguenze della separazione sui figli fa prevalentemente riferimento a Paesi (Usa, Uk) che si trovano in una fase di diffusione del fenomeno molto più avanzata di quelle italiana. Inoltre, si tratta di realtà con background culturali e familiari diversi da quelli italiani. L’instabilità familiare in Italia è un fenomeno emergente. Secondo alcuni esso dovrebbe produrre conseguenze più forti che in paesi a uno stadio più avanzato di diffusione del fenomeno. In Italia, gli effetti della separazione, in particolare quelli dannosi, potrebbero però essere attenuati considerando che: a) le coppie che si separano sono selezionate per maggiori risorse economiche e capitale umano; b) c’è ancora un modello di famiglia dai legami forti dominante che potrebbe attenuare i rischi di allentamento dei legami tra genitori e figli; c) le famiglie di origine (i nonni) sono ancora una risorsa importante per le coppie, anche quando si separano con figli. È possibile che tutto ciò interagisca con gli effetti (lordi) della separazione? Su questo punto non si sa nulla. La terza ragione è collegata alla seconda. Se risultasse che finora i figli sono stati relativamente protetti dalle conseguenze negative della separazione, non è detto che ciò continui per il futuro. Il trend in atto fa ritenere che l’esperienza della separazione possa coinvolgere progressivamente strati sempre meno selezionati verso l’alto della popolazione. Inoltre, non si può escludere che nei prossimi anni le famiglie di origine abbiano meno risorse da dedicare ai figli con prole che si separano. La stessa instabilità familiare può essere responsabile di questo trend. Conoscere il fenomeno diventa dunque uno strumento preliminare per non essere sorpresi in ritardo dai cambiamenti di una società in rapida evoluzione.


Avvenire

Come e perchè guardare il Dott. House

Cliccando su questo link ( house ) si accede ad un filmato dove Carlo Bellieni introduce al senso religioso della serie TV “House MD”, che molti ha colpito per le scene in ospedale psichiatrico. E’ un approccio breve, nuovo e stimolante, che vale la pena di seguire.

Troppa tv «fa male al cuore» Chi passare 4 ore davanti allo schermo tutti i giorni ha un rischio di morte prematura più alto del 46 per cento

MILANO - Troppa tv fa male alla salute. O meglio: il problema non è tanto il vecchio caro schermo, ma le ore passate stando seduti davanti al televisore, ma anche davanti al computer o alla guida dell’auto. L’ennesima conferma che la vita sedentaria metta a rischio il cuore arriva da uno studio australiano pubblicato sulla rivista scientifica Circulation.

LO STUDIO – I ricercatori del Baker IDI Heart and Diabetes Institute di Victoria hanno seguito per circa 7 anni, dal 1999 fino al 2006, più di 8 mila persone, 3.846 uomini e 4.954 donne dai 25 anni in su, monitorandoli costantemente con varie visite ed esami. I volontari sono stati divisi in tre gruppi sulla base del numero di ore quotidiane trascorse davanti al televisore: meno di due ore al giorno, tra due e quattro, oltre le quattro ore. Durante i 7 anni, 284 persone del campione sono morte, 87 per malattie cardiovascolari. Prima, nessuno di loro aveva avuto problemi di cuore. Inoltre, secondo lo studio, per chi ha l’abitudine di passare almeno 4 ore davanti al teleschermo tutti i giorni, il rischio di morte prematura per qualsiasi causa, senza considerare altri fattori di rischio come fumo, obesità, colesterolo alto, è del 46 per cento in più rispetto a chi guarda la tv per meno di due ore al giorno; addirittura quasi raddoppia (80%) per problemi cardiovascolari. «Secondo i nostri calcoli - spiega uno degli autori dello studio,David Dunstan - ogni ora di sedentarietà aumenta i rischi di morte prematura dell'11%, e in particolare di morte per problemi cardiaci del 18%. I risultati dell’indagine suggeriscono quanto sia importante «interrompere» la vita sedentaria. Passiamo la nostra vita da una sedia all'altra, dal sedile della macchina alla scrivania dell'ufficio, alla poltrona di casa. Basterebbe alzarsi spesso, fare due passi o qualsiasi altra attività fisica per riattivare circolazione e metabolismo».

IL COMMENTO – «Che la vita sedentaria favorisse le malattie cardiovascolari lo sapevamo da tempo – commenta il professor Francesco Fedele ordinario di cardiologia all’Università La Sapienza di Roma - . In assenza di movimento il cuore s’impigrisce, così come le arterie periferiche e quelle polmonari. Inutile allora demonizzare la tv o il computer – conclude il cardiologo - . Come ripetiamo da anni, è fondamentale fare attività fisica o camminare almeno un’ora al giorno, a passo anche sostenuto, per tenere allenato l’apparato cardiovascolare».

Maria Giovanna Faiella
Corriere della sera 14 gennaio 2010

IL BOOM DI POKER ON LINE E SCOMMESSE. Se l’azzardo addormenta la passione per la sfida. Tonino Cantelmi

TONINO CANTELMI
I
l 3 per cento del Pil in Italia viene bruciato in scommesse e giochi d’azzardo. E il poker on line a dicembre ha superato ogni record.
Infatti nel mese appena trascorso – informa l’Agicos – gli italiani hanno giocato sui tavoli verdi virtuali 241,3
milioni di euro, battendo il precedente primato di 234,1 milioni di euro di ottobre: tra gennaio e dicembre 2009 la raccolta ha quindi infranto il muro dei 2,3 miliardi di euro, confermando il poker come il gioco più praticato via internet. Perché il gioco d’azzardo e la scommessa piacciono? Perché la prospettiva della vincita (specie se casuale e imprevedibile) è un comportamento che attiva il nucleo accumbens (una piccola e molto sensibile area cerebrale) e determina la produzione di dopamina, il neurotrasmettitore del piacere. E il piacere immaginato o provato per una vincita determina la ricerca di ulteriore piacere attraverso la ripetizione del comportamento. Il gioco può perciò diventare una droga e far scivolare verso forme di dipendenza che rischiano di sortire conseguenze devastanti per la vita del giocatore patologico e dei suoi familiari.
Tutto qui? Certamente no. Per la maggior parte delle persone il gioco è sfida, misura di sé, sogno, desiderio, ricerca di felicità a poco prezzo, evasione, emozione e molto altro ancora. Inoltre la disponibilità di bische sempre disponibili e facilmente accessibili, grazie all’enorme potenzialità della Rete, moltiplica all’infinito il fascino magnetico del gioco d’azzardo, e del poker in modo specifico. Tutto senza conseguenze? Non proprio, se pensiamo allo straordinario potenziale alienante dei tecnoparadisi ludici e artificiali.
Tra i protagonisti delle scommesse spiccano gli adolescenti: almeno 7 su 10 giocano e scommettono, in barba a divieti e norme che limiterebbero grandemente il gioco d’azzardo e le scommesse nei minorenni. Tra i giochi più praticati proprio il poker on line, giocato anche in facebook (qui gratis, ma che allenamento allo stile di vita del giocatore!), e i facilissimi 'gratta e vinci'. Sta crescendo una generazione di giocatori che farà impallidire quella attuale. Al di là di moralismi arrugginiti o di allarmi ad effetto, il fenomeno merita una riflessione. La precocizzazione dei comportamenti è una caratteristica dell’accelerazione straordinaria che viviamo e riguarda molti ambiti. E non è senza conseguenze: ogni comportamento dovrebbe essere congruo con lo sviluppo cognitivo ed emotivo­affettivo del bambino e dell’adolescente. Se prendiamo il caso dei giovanissimi, dobbiamo considerare il tipico atteggiamento di sfida, di misurazione di sé, di ricerca di emozioni, di attrazione per il rischio, tutti ingredienti che conferiscono alla scommessa e al gioco un fascino talvolta irresistibile.
Eppure questo non basta a spiegare il fenomeno. Non basta, quando osserviamo un ragazzino acquistare in edicola uno di quei giochi senza fatica come i vari 'gratta e vinci'. Nella sua mente si sta costruendo la convinzione che attraverso strumenti semplici, privi di impegno, totalmente scollegati a ogni merito, è possibile cambiare la vita. Le 'sfide' tipiche dell’infanzia e dell’adolescenza lasciano il posto alla 'ruota della fortuna'. Se nelle sfide c’era la costruzione di sé attraverso l’impegno e il merito, nella 'ruota della fortuna' c’è la deresponsabilizzazione e l’inutilità dell’impegno. Se perdo non comprometto la mia autostima perché è colpa di un sistema cieco, se vinco mi sento eccezionale: massimo risultato con il minimo sforzo.
E perché un adolescente, che invece dovrebbe sentirsi attratto dalle grandi sfide in cui impegnarsi, è al contrario attratto dalle bische on line? Forse perché mancano le grandi sfide, trasformate in competitività senza cuore e in efficientismo senza tempo. E forse quello che serve è piuttosto tornare a trasmettere agli adolescenti e anche a noi adulti il sottile piacere delle grandi sfide. È questa, dunque, la 'scommessa' finale: saremo sempre più risucchiati da luccicanti poker on line o sapremo riscoprire il fascino delle sfide che la vita ci propone, riaccendendo la passione?

Avvenire 8 gennaio 2010

Sesso e Internet, la nuova dipendenza

Ore e ore davanti a un computer. Inseguono immagini sempre più hard, ogni giorno si affina la ricerca e si spostano in avanti le lancette dell’orologio. è questa una sintesi della vita dei dipendenti dal cyber porno. Di uomini, ma anche di tante donne, che gettano via intere giornate, vittime di una nuova forma di addiction (ossessione, compulsione, mania); una patologia che interessa sempre più persone in tutto il mondo.
Come si manifesta. “All’inizio era solo un passatempo”, spiega Vincenzo Punzi autore del libro Io, pornodipendente: sedotto da internet. “Poi le cose sono cambiate: ero diventato prigioniero di quel rito, di quelle immagini. Del resto Internet è “generoso” in tal senso: è possibile girare ore per siti porno e in maniera del tutto gratuita e soddisfare ogni desiderio seppur in manier virtuale”. Tra alti e bassi, ricadute e resurrezioni, Punzi ha dato vita all’associazione “No alla porno dipendenza” e ha creato, sfruttando proprio Internet, un gruppo online di auto aiuto (per l’indirizzo vedi box) che conta più di tremila iscritti.
Il virtuale che diventa reale, le immagini hard che rapiscono non solo il tempo di chi ne diventa dipendente ma anche l’anima, tirandosi dietro mariti, mogli, fidanzati e fidanzate. “Spesso sono proprio i partner di chi è affetto da questa patologia a chiamarci”, racconta Giuseppe Lavenia, docente di psicologia clinica e del lavoro all’Università degli Studi di Chieti, responsabile dell’area “Nuove Dipendenze” del Centro Studi e Ricerche Nostos, a Senigallia (Ancona), un centro che si occupa di incontri individuali o di coppia dedicati alla dipendenza dal porno online. Trecento le persone che ogni anno oltrepassano la porta dell’ambulatorio gestito da Lavenia: “Molti provengono dal Centro-Nord, ma non tutti quelli che si rivolgono al nostro centro intraprendono un percorso di psicoterapia”.
All’argomento Giuseppe Lavenia ha dedicato una interessante ricerca sul cybersex addiction che comprende sia la dipendenza dalle chat erotiche che dalla pornografìa online. Realizzato in Internet point di tutta Italia, “lo studio è stato effettuato su 500 soggetti di età compresa tra i 17 e i 66 anni”, spiega Lavenia: “Ne è emerso che il 4 per cento degli intervistati è dipendente dalle chat mentre il 6 dal porno online”. Tra i numeri raccolti emerge, inoltre, che le donne sono più “interessate” alle chat a sfondo sessuale mentre gli uomini sono maggiormente attratti da materiale hard, da siti porno.
Percorsi per uscirne. Ossessionati dal sesso, frustrati nella ricerca di una via d’uscita, sofferenti, espulsi volontariamente dal mondo reale, depressi, i cyber porno, a differenza di chi soffre di altre manie compulsive, non spendono denaro ma ogni giorno davanti al computer gettano via un pezzo di vita.
Per Cesare Guerreschi che da vent’anni si occupa, come psicoterapeuta, di nuove dipendenze e ha fondato la Siipac, la Società italiana di intervento sulle patologie compulsive, “la strada da percorrere per uscirne è prima di tutto di ammettere che è diventato un problema e voler affrontare un percorso, anche di condivisione, facendosi aiutare da un programma terapeutico ad hoc, possibilmente di tipo integrato: psicoterapia e farmaci poiché il più delle volte si tratta di soggetti depressi”.

Anna Rita Cillis, www.repubblica.it, 30 gennaio 2009

Le dipendenze da Internet: sesso virtuale e pornografia online

L'industria del sesso e della pornografia hanno trovato su Internet l'ambiente ideale per rilanciarsi e svilupparsi al punto da diventare tra le più floride e redditizie dell'intera Rete.

Quella da sesso virtuale (l'esperienza di condividere fantasie sessuali o dare/ricevere gratificazione sessuali online, anche attraverso l'utilizzo di microfono, webcam, ecc.) e pornografia online è la più comune forma di dipendenza da Internet.

Si stima che su ogni 5 soggetti assuefatti alla Rete, almeno uno abbia sviluppato una forma compulsiva di consumo di pornografia o di interazione virtuale a sfondo sessuale. Gli studi sul fenomeno indicano una predilezione per materiale pornografico da parte degli uomini, mentre un maggiore interesse per le chat erotiche da parte delle donne.

Il fenomeno appare ancora più preoccupante se si pensa agli effetti che questo tipo di esposizione e consumo incontrollato può avere negli adolescenti e persino nei bambini, che possono incapparvi anche casualmente.

La nuova forma di una vecchia dipendenza

Con la diffusione di Internet, mai come prima d'ora sono stati così facilmente accessibili a chiunque, e con tale abbondanza, contenuti sessualmente espliciti di varia natura e formato (testi, immagini, filmati). Persone che mai si sarebbero altrimenti avvicinate a questo tipo di materiale, grazie all'anonimato garantito dal Web, possono ora "scaricare" materiale pornografico o intrattenersi con estranei in conversazioni (chat) erotiche o a carattere sessualmente esplicito, comodamente da casa propria.

Il fattore chiave dell'anonimato, unito alla desiderabilità di questo tipo di materiale, spesso reperito gratuitamente, ha rapidamente portato allo sviluppo di una nuova versione della ben più antica e nota dipendenza da sesso.

Tra le più esposte al rischio di sviluppare una dipendenza dalla forma "virtuale" del sesso vi sono persone che mostrano:

  • una bassa autostima
  • un'immagine corporea distorta
  • una disfunzione sessuale non diagnosticata o non trattata
  • una precedente forma di assuefazione al sesso

Poiché su Internet tutta una serie di informazioni personali può essere tenuta segreta (stato civile, età, aspetto fisico, occupazione, ecc.), diventa facile e "sicuro" iniziare a "sperimentare" e "esplorare" aspetti nuovi o repressi della propria sessualità come le fantasie. L'approccio di iniziale curiosità cresce con frequentazioni sempre più assidue e gratificanti (mentalmente e fisicamente) ai siti o alle chat preferite, con la ricerca di contenuti sempre più espliciti. Si può ad esempio passare da un'interazione testuale, in una chat room, a una conversazione telefonica e, talvolta, a incontri di persona.

Man mano che il consumo di sesso virtuale e pornografia online cresce, crescono anche le preoccupazioni e i sensi di colpa o di vergogna per il proprio comportamento e per il "tradimento" nei confronti del proprio partner nella vita reale.

Segni di dipendenza

Lo sviluppo di una dipendenza da sesso virtuale e pornografia online è un processo, che comporta progressive modificazioni nel comportamento del soggetto a rischio. Tra i segni più frequenti di una dipendenza che si sta instaurando:

  • trascorrere quantità sempre maggiori di tempo in chat room, o l'invio di messaggi istantanei privati con il solo scopo di "trovare" sesso virtuale;
  • pensieri ricorrenti riguardo alla disponibilità online di partner per le proprie attività di sesso virtuale;
  • ricorrere a identità e comunicazione anonime per vivere fantasie sessuali solitamente non soddisfatte nella vita quotidiana;
  • entusiasmo al pensiero della prossima sessione online, con l'aspettativa che si vivrà eccitazione e gratificazione sessuale;
  • procurarsi frequenti occasioni di passaggio dal sesso virtuale al sesso telefonico (o a incontri veri e propri);
  • tenere segrete o nascoste le proprie attività online ai propri cari;
  • provare vissuti di colpa e vergogna per le proprie attività online;
  • masturbarsi durante interazioni online, in chat;
  • provare minore interesse per il proprio partner reale e preferire l'interazione sessuale virtuale, che diventa la fonte primaria di gratificazione sessuale

Come intervenire?

Diversamente dalle strategie di recupero da altre dipendenze, dove l'astinenza dalla sostanza o processo di assuefazione è fondamentale, è molto difficile eliminare totalmente l'accesso ad Internet, strumento con il quale tutti lavoriamo e studiamo quotidianamente. La ricaduta nella dipendenza da contenuti pornografici è sempre a pochi clic del mouse di distanza.

E' quindi necessario comprendere e intervenire sui fattori emotivi e cognitivi alla base della dipendenza, oltre a correggere le abitudini di utilizzo del computer in generale. Per maggiori informazioni consulta l'argomento delle dipendenze da Internet e in particolare l'a scheda "Come possiamo aiutarti".