onte - Agenzia Fides -
Due piaghe attuali, proprie della nostra società, il cui impatto numerico cresce e diventa sempre più considerevole, lasciando, spesso, chi ne è vittima, solo e privo di speranza. Il divorzio e l'aborto sono due grandi ferite del nostro tempo, tutto volto alla cultura dell'emancipazione e della libertà di scelta, spesso nata da soli motivi emozionali. Due ferite, due traumi diversi, che portano grande sofferenza in chi li vive, e nei prossimi di chi subisce un evento così devastante.
In seguito all'invito di Papa Benedetto XVI, mirato ad un'azione pastorale ed umana caratterizzata dall'ascolto e dalla partecipazione alle problematiche altrui, seguendo l'esempio evangelico del ‘Buon Samaritano', l'Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su Matrimonio e Famiglia, in collaborazione con i Cavalieri di Colombo, ha promosso il 4 e 5 aprile scorso un Convegno dal titolo: "L'olio sulle ferite. Una risposta alle piaghe dell'aborto e del divorzio". Un Convegno arricchito dagli interventi dei massimi studiosi di importanti università internazionali, ed anche da un fitto dialogo tra relatori e partecipanti sulle questioni più spinose. Un lavoro scientifico che ha illustrato, innanzitutto, cause e conseguenze delle due piaghe - divorzio e aborto -, analizzandone aspetti sociali, psicologici e morali, per poi offrire e suggerire delle soluzioni, delle risposte pastorali. Il divorzio, aspetti sociali
Il divorzio, nella sua natura di evento imprevedibile, è sempre stravolgente per chi lo vive, e comporta non solo grandi sofferenze, ma anche necessità di rinegoziare i confini affettivi, e di rivedere l'organizzazione dell'intero nucleo familiare. Gli effetti della separazione sugli adolescenti e giovani adulti, tema della relazione della dott.sa Raffaella Iafrate, del Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia di Milano, sono tutt'altro che trascurabili. Risulta che le più colpite siano le figlie femmine, che possono arrivare a dimostrare segni di ansia e depressione anche patologici. Il divorzio è caratterizzato da aspetti che si ripetono simili in ogni situazione, e che sono alla base degli effetti deleteri che colpiscono i figli di separati e divorziati: dopo il divorzio il rapporto col genitore affidatario -nella maggior parte dei casi la madre- non è più gerarchico, ma orizzontale: il figlio diventa il supporto per il genitore rimasto da solo, prendendo spesso su di sé delle responsabilità troppo grandi per la sua età, e soprattutto molto onerose nel momento in cui deve far fronte alla crisi del divorzio.
Si parla di parentificazione del figlio, processo attraverso cui nel rapporto genitore/figlio, si invertono i ruoli. Altro nodo cruciale nella separazione è la latitanza del padre: secondo una ricerca dell'Università Cattolica, circa l'80% dei figli di separati afferma di avere una bassa accessibilità al padre; quando gli incontri avvengono sono brevi e spesso caratterizzati da formalità e distacco (come i luoghi pubblici nei quali avvengono, in contrasto col calore della casa). Per le femmine questo comporta soprattutto una preoccupazione per la madre, vedono nella mancanza del padre la solitudine della madre, l'assenza di un partner al suo fianco. Per i figli maschi il padre rappresenta la guida, è colui che detta le regole e offre consigli: si può capire quanto possa pesare la mancanza di questa figura negli adolescenti e nei giovani adulti.
Le problematiche legate al divorzio non sono solo quelle che emergono subito dopo l'evento; le ricerche recenti mostrano l'esistenza di gravi effetti a lungo termine che non vanno sottovalutati, che si possono riassumere nella facilità dei figli di divorziati di avere rapporti sentimentali o sessuali occasionali, nel credere poco nel vincolo del matrimonio, nel temere di ripetere gli errori dei genitori, e al contempo di volerli riscattare.Una speranza c'è, si può dare senso alla sofferenza, soprattutto cercando di salvare i legami familiari, e garantire ai figli una continuità del legame con entrambi i genitori e con entrambe le stirpi familiari.
Il divorzio ha effetti non solo sulla vita pratica, ma anche sulla vita spirituale dei ‘figli del divorzio'. Le Chiese, soprattutto negli USA, come ha affermato nella sua relazione la dott.sa Elisabeth Marquardt, del Centro Matrimonio e Famiglie di New York, hanno difficoltà ad aprire le porte ai figli del divorzio, devono ancora imparare a pensare alle loro necessità. I figli dei divorziati sono persone che si spostano spesso da un genitore all'altro, quindi da un mondo all'altro, diversi fra loro. Una grande menzogna, rispetto al divorzio, è quella del divorzio amichevole, di tutti quei casi in cui i genitori si separano senza grandi episodi di liti e violenze. In realtà, le conseguenze risultano ugualmente nocive per la prole: innanzitutto i figli tendono a pensare che, se le cose tra la mamma e il papà in fondo vanno bene - i genitori non sono in contrasto evidente fra loro- la causa della separazione riguarda loro stessi, qualcosa che hanno fatto, una loro caratteristica personale. Il buon divorzio non esiste, soprattutto quando uno dei genitori incontra un nuovo partner, che con modalità diverse cerca di inserirsi in un ruolo non suo. Anche se non in conflitto, il divorzio crea sempre due poli opposti, la mamma e il papà, che il figlio sente diversi l'uno dall'altro. Il conflitto non è evidente tra i genitori, ma si snoda nella vita interiore del figlio, costretto ad essere un ‘io' diverso a seconda del genitore con cui sta, e a sentirsi, comunque, sempre sbagliato.Questa rappresenta una grande sfida, per i giovani e per le chiese: dare ragione della sofferenza nata dal divorzio. I giovani figli di divorziati sono meno religiosi dei loro coetanei che vivono situazioni familiari normali, circa i 2/3 di loro affermano di non aver trovato nessun sacerdote o membro della comunità che li abbia aiutati in quella particolare situazione. Una parte dei figli del divorzio diventa, invece, molto religiosa, sostituendo con Dio il genitore che si è perso. Negli USA sembra avere maggiore fortuna la fede evangelica, poiché si basa sulla lettura si storie di dolore e separazione- come la parabola del figliol prodigo- in cui i figli dei divorziati si sentono amati e compresi. Un segnale di speranza, perché la vita spirituale non vada persa nel dramma del divorzio.
Il divorzio, aspetti psicologici
Come stanno i figli dei divorziati? Questa una delle domande più rilevanti della ricerca sulle scienze sociali, che negli ultimi tre decenni ha scoperto alcuni fattori legati ad un aumento di rischio per i bambini vittima di un divorzio. La dott.sa Joan B. Kelly del Centro di mediazione della California del Nord, una delle più accreditate studiose dell'argomento, ha illustrato l'impatto della separazione e del divorzio sui figli, puntando l'interesse sulla ricerca e l'attenzione al bisogno di questi ultimi, medicina per cui, un dolore destinato a durare tutta la vita, può diminuire ed essere accolto.
Uno dei rischi nasce dallo stress del divorzio: circa il 23% dei genitori non comunicano ai figli la decisione del divorzio, o lo fanno con una frase lapidaria: "papà/mamma se ne va". Accade nel 45% dei casi. Quello procurato dal divorzio è un vero e proprio dolore, che spesso non si vede, perché i figli non vengono interrogati sulle loro esperienze interiori, ma c'è e si sviluppa nascostamente. Altro rischio nasce dalla perdita di rapporti importanti: più del 25% dei bambini afferma di non vedere più il genitore non affidatario nei 2/3 anni successivi al divorzio. Nasce in loro il sentimento della perdita, della nostalgia, arrivano a chiedersi se quel genitore li ha mai veramente amati, e spesso hanno atteggiamenti di rabbia verso il genitore affidatario, reo di non favorire i rapporti con l'altro genitore. La conflittualità tra i coniugi è un ulteriore difficoltà a cui sono sottoposti i figli: il conflitto inizia (e crea danni gravi) prima del divorzio, e nel 15% dei casi circa, si protrae per i 2/3 anni successivi alla rottura definitiva. Numerosi sono i rischi comportamentali e psicologici dei figli dei divorziati: hanno poca stima di sé, problemi di autorealizzazione, abbandonano gli studi più dei loro coetanei, condannando, in questo modo, la loro vita professionale e le future risorse economiche. Dopo i suoi colleghi, anche la dott.sa Kelly lancia dei segnali di speranza: esistono fattori che riducono i rischi di disadattamento per i figli dei divorziati e separati, alcuni elementi protettivi ancora poco conosciuti, ma efficaci, come l'aiuto ad affrontare il divorzio nelle fasi iniziali, l'attenzione dei genitori alla localizzazione e diminuzione dei conflitti, i contatti sufficienti con il genitore non affidatario. La speranza di rischi minori nasce dal comprendere che figli e genitori, nel divorzio, hanno esigenze diversissime.
Il divorzio, aspetti morali
Il divorzio non è la fine di tutto, i genitori sono chiamati a svolgere ancora la loro funzione educativa, devono accompagnare i figli a diventare grandi e a conquistare un futuro pieno di speranza e bellezza. I genitori perfetti non esistono, ma esistono dei principi etici che, pur se separati o divorziati, devono mantenere per i propri figli. Padre Olivier Bonnewijn, dell'Istituto di studi teologici di Bruxelles, ha citato ‘Amore e responsabilità', di Papa Giovanni Paolo II: "I genitori devono volere la nuova creatura come la vuole il Creatore, e cioè per essa stessa". Dopo il divorzio entrambi dovranno essere sensibili ed attenti a non far mancare ai figli la propria disponibilità, dovranno dirgli la verità, educarlo alla libertà, aiutarlo a soffocare l'autoaccusa con cui cerca di rispondere alla separazione dei genitori, dargli una giusta collocazione, non distruggere l'immagine dell'altro coniuge e mantenere una coerenza educativa che lo aiuti ad uscire fortificato e, per quanto possibile, sereno, dal dramma della separazione.
Il divorzio, quali risposte?
La Chiesa ricopre il ruolo di famiglia nella fede; per questo è l'entità più adatta per raggiungere, attraverso la carità, la compagnia e l'educazione, i figli del divorzio. Nella Chiesa e nella società civile esistono molteplici percorsi possibili, molti dei quali stanno dando ottimi frutti, come i ‘gruppi di parola', per i bambini tra i 6 e i 12 anni; attraverso l'uso di paradigmi simbolici le famiglie divise possono recuperare il valore dei legami, e i bambini, figli di separati, possono condividere con altri bambini l'esperienza di forte dolore scaturita dal divorzio.
L’aborto, aspetti sociali
L’aborto esiste da sempre, fa parte delle tecniche con cui l’uomo cerca di governare e controllare la vita e la morte. Nella maternità c’è, certamente, un lato oscuro, che nasce dalla complessità dell’evento, in cui si mescolano sentimenti contrastanti: vita e morte, desiderio e rifiuto, onnipotenza e inadeguatezza. Inoltre una crescente medicalizzazione del parto e della gravidanza creano sempre più ansia e preoccupazione nelle donne, mentre la tendenza a concepire l’umano come un essere da laboratorio, cerca di minare quel rapporto, indissolubile fin dall’inizio, tra madre e feto. “L’io è un altro”, ha affermato nel suo intervento Eugenia Roccella, giornalista di Avvenire, citando Rimbaud. La relazione tra madre e figlio è l’unica che ha delle caratteristiche di eternità; inoltre ogni madre sa che dando la vita, prepara alla morte. Le contraddizioni della maternità e la loro comprensione sono l’unica possibilità di intuire cosa porta una donna ad un gesto limite come l’aborto. Occorre ripensare e valorizzare la cultura della maternità, ponendo l’attenzione sul fatto che la donna è l’unico essere che genera, che è due in uno, che si divide. Non una copia della socialità maschile, ma una politica che sottolinei le meravigliose differenze della donna, sulla scia di ciò che ha sempre fatto la Chiesa: ha puntato sulle donne, valorizzandone le caratteristiche ed offrendo loro uno spazio che nella vita pubblica non era loro concesso.
L’aborto, aspetti psicologici
La mentalità abortiva crea danni enormi nel rapporto tra genitori e figli, e danni psicologici gravi soprattutto nei bambini, nati prima o dopo un aborto. Il figlio nato dopo un aborto subisce la tristezza, il trauma, la ferita della madre; sembra che il nato dopo un aborto porti con sé alcune cellule del feto abortito, rendendo ancora più forte e misterioso il rapporto fra madre e figli. Questo figlio è anche una sorta di capro espiatorio, che incarna la giustificazione di aver compiuto, in precedenza un atto come l‘aborto. L’ideologia del bambino desiderato, così, ne soffoca l’identità, perché fa prevalere il desiderio emotivo dei genitori, sulla cultura dell’accoglienza, propria della genitorialità. Il bambino la cui famiglia ha vissuto un aborto non può essere felice, si detesta per tutta la vita e percepisce di essere un sostituto di qualcun altro.Esiste, poi, uno strettissimo rapporto di causa/effetto tra aborto e violenza: chi ha avuto un aborto tende ai maltrattamenti, chi è stato maltrattato tende a praticare l’aborto. Si genera un’assurda spirale della violenza in cui tutti, a turno, sono vittime, testimoni e aggressori. Il perdono, la compassione e l’amore sono l’unica speranza, l’unico olio, per una ferita così profonda. Queste le riflessioni del prof. Philippe De Cathelineau. Si è genitori per sempre, anche di un bambino abortito. In ogni aborto un bambino muore e questa è la perdita più grande da sopportare, da superare. La prof.ssa Joanne Angelo ha illustrato la prospettiva clinica delle ripercussioni di un aborto su bambini e famiglie. I disturbi presenti sono molteplici, si va dall’insonnia e la depressione, fino alla difficoltà di rapporti di coppia stabili, maltrattamenti, disturbi alimentari, anomalie nel rapporto tra genitori e figli. I figli di una famiglia in cui c’è stato un lutto così difficile da elaborare, ne subiscono le conseguenze per tutta la vita. Spesso la non nascita di quel fratellino che aveva visto prendere iniziale forma nel corpo della madre, viene giustificata con un ‘non stava bene, è stato rimandato da Dio’. Inizia a temere di poter subire lo stesso trattamento, qualora si ammalasse, inizia ad aver paura di ammettere i suoi errori, e quindi comincia una spirale di menzogne e di incapacità e paura di ammettere gli errori anche più piccoli. Il perdono sacramentale e la riconciliazione con Dio sono due passi fondamentali, a cui i sacerdoti devono essere aperti e preparati, per trasformare le vittime dell’aborto in guaritori e fiori della speranza della nostra società.
L’aborto, aspetti morali
“L’uomo diviene immagine di Dio non tanto nel momento della solitudine, quanto nel momento della comunione” (Giovanni Paolo II). Queste le parole che ispirano l’intervento della prof.ssa Sutton, che alla fine della prima giornata di lavoro si occupa di una tematica estremamente grave: l’aborto di un feto malato. La tendenza all’eugenetica, molto in voga in questi tempi, e la concezione utilitaristica della qualità della vita, non lasciano spazio al valore della vita umana e alla fitta rete di relazioni che può generare. Il bambino non ancora nato, a partire dall’embrione, è già un membro della famiglia umana, perciò amato da Dio; errata è la dottrina di Peter Singer secondo cui alcune vite umane non hanno diritto di esistere. Il bambino non nato, seppur malato, ha delle potenzialità future che non si possono prevedere, né eludere. Lo stesso Gesù, nel Vangelo di Giovanni (Gv 9, 3), dopo la guarigione del cieco nato, affermò che era nato in quel modo ‘perché si manifestassero in lui le opere di Dio’.
L’aborto, quali risposte?
Le risposte pastorali e sociali arrivano da oltreoceano e dall’Europa. Tre i progetti presentati ad esemplificazione, tre possibilità attraverso cui il dramma dell’aborto può essere sanato o, almeno, accompagnato. La solitudine in cui versano le famiglie che vivono un aborto, infatti, è la prima causa di effetti deleteri sulla salute, sulla vita sociale, spirituale, affettiva. Il ‘progetto Rachele’, nato negli USA nel 1984, consiste in una rete di sacerdoti e terapisti che offrono una consulenza psicologica, e la riconciliazione spirituale. In questo modo, i frutti della guarigione risultano più duraturi e radicati. La ricchezza dei sacramenti è, invece, l’olio, la cura delle ‘Sorelle della vita’, gruppo che opera nel territorio di New York. Fin dal 1996, seguendo l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno spinto milioni di persone a tornare a casa, a tornare, cioè, alla Chiesa, offrendo loro la possibilità di raccontare la storia, spesso mai raccontata, dell’aborto e di riconciliarsi con la propria vita spirituale. AGAPA è un luogo di accoglienza fondato nel 1994; testimoniando la tenerezza di Dio per ogni creatura, e senza giudicare le scelte altrui, i volontari cristiani di AGAPA hanno studiato specifici percorsi per venire incontro a uomini e donne colpiti dall’aborto; attraverso degli incontri mirati, riescono a far illuminare meglio la tragedia vissuta, a far vivere il lutto per il bambino non avuto, ad aprirsi al perdono, alla riconciliazione, alla rinascita spirituale.