DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Per i cattolici, il dopo è la realtà Un post confessionalismo abortito e il dolore di imparare a scegliere

Milano. Il “sogno” del cardinal Bagnasco,
la generazione nuova di politici cattolici
in grado di segnare una nuova stagione
civile, va inteso come ecumenicamente
bipartisan. Ma se si lascia il campo generale
– i punti salienti per un’azione politica
cristianamente ispirata ricapitolati lunedì
dal presidente della Cei – e si passa
a sognare che cosa possa esserci “dopo il
Pd” per la variegata componente cattolica
che ha creduto nella scommessa del “partito
nuovo”, si atterra nei territori dell’incubo.
Basta mettere in fila i problemi mai
risolti e incancreniti del rapporto tra due
identità che non si sono amalgamate. Le
concezioni di vita e morte fatti esplodere
dal caso Bonino, certo. Ma anche la diversità
di vedute sulla scuola o la famiglia.
Walter Veltroni tentò un’operazione di alto
equilibrismo obamiano, immaginando
un partito non confessionale, ma al contempo
non indifferente né ostile alla questione
del “posto di Dio” nella sfera pubblica.
Quasi convinse tutti, per un attimo.
Ma che quel tipo di progetto, di “diversa
laicità”, non sia mai diventato realtà, è un
fatto. E che lo sforzo, più banale, di fondere
due anime sia irrisolto, anche.
Il “sogno di una cosa” che possa esistere
dopo il Pd per i cattolici sta stretto tra il
dover essere il Pd e nient’altro che il Pd di
Rosy Bindi: “Il cattolico che sta nel Pd è un
cattolico che non ha nostalgia di stare da
solo, è cattolico curioso e attento e che si
confronta con le altre culture”; il realismo
di Luigi Bobba, “continuo a ritenere che lo
spazio per far valere le proprie ragioni
dentro il Pd sia ancora da percorrere, altrimenti
non sarei qui a provarci”; e lo
sconforto vagamente felliniano di Giorgio
Merlo, che giorni fa parlava di un eterno ritorno
al “circo Barnum”, “l’arlecchinata
dell’Unione”. Prima ancora dei politici
professionali, ci sarebbe da interrogare
uno studioso di segni sociali, un osservatore
di quei fatti immateriali che “muovono
molto più la storia dei fatti materiali”.
Il semiologo e filmologo Francesco Casetti,
già prorettore dell’Università Cattolica,
guarda in controluce: “Dopo le ideologie,
l’Italia è divisa in tribù, o meglio in
‘famiglie di stili’ differenti. C’è la grande
tribù dello stile carismatico, che si raccoglie
attorno a un capo e alle sue parole
d’ordine. E la tribù dello stile che nasce
dalla rete delle parole”. Sembra complicato,
ma se ci si guarda dentro si vede qualcosa
che somiglia al Pd. Spiega Casetti: “E’
una comunità che tiene aperto il dibattito
all’infinito, che sceglie il suo rappresentante
per delega”. E la cosa può risultare
sfinente, senza mai un approdo. Secondo
Casetti, oggi sarebbe necessario “cambiare
il rituale” di entrambe le tribù. C’è una
tribù che deve “trovare come sopravvivere
oltre il capo”. Ma soprattutto, c’è n’è
un’altra, che deve scegliere di “come decidere
oltre la discussione”. C’è insomma
una tribù che deve “imparare il dolore
della decisione”.
Il sogno della fine della chiacchiera è
l’unico “dopo” possibile anche per Edo
Patriarca, cattolico da sempre impegnato
nelle reti del sociale e oggi segretario del
Comitato organizzatore delle Settimane
sociali (guarda caso quest’anno saranno
in Calabria, e nel segno di Sturzo). “Se
parliamo del Pd, mi sembra proprio che il
sogno non ci sia più, se mai è esistito. E mi
sembra che a questo punto ci sia da fare
una riflessione sul ruolo che i cattolici
hanno avuto in quella storia. Oggi il Pd è
senza sogno, schiacciato sulla sopravvivenza.
Addirittura si affida a chi esprime
valori non solo lontani da quelli etici dei
cattolici, ma persino da quelli solidaristi
che dovrebbero accomunare le due anime
del Pd”. Bisogna domandarsi, dice Patriarca,
se i cattolici non siano oggi “chiamati
a ricostruire una tela di valori condivisi”.
Magari uscendo anche da “certi luoghi
comuni, troppo a lungo utilizzati anche
dai cattolici, come un eccesso di politically
correct, o un eccesso di statalismo”.
Più che sognare, serve un bel “ritorno
alla realtà”. (Maurizio Crippa)

Il Foglio 27 gennaio 2010