Pirati del diritto
Con uno sbalorditivo atto di pirateria giudiziaria, un tribunale ieri ha fatto finta che non esista una legge dello Stato decidendo di violarne apertamente due capisaldi. La legge 40 – giova ricordarlo – fu approvata sei anni fa con un’ampia maggioranza trasversale dal Parlamento eletto da noi cittadini. E a sancire quanto essa rispecchi i valori nei quali si riconosce il Paese arrivò un referendum dall’esito inequivocabile. Ma qualche giudice crede che alle leggi, se non piacciono, si possa dare liberamente assalto. Con la sentenza di ieri di fatto si autorizza la selezione della specie: è giustizia, questa? |
Avvenire 14 gennaio 2010
La sentenza ammette per la prima volta questa possibilità dopo l'istituzione della legge 40 del 2004
ROMA - Il giudice Antonio Scarpa, del Tribunale di Salerno, ha autorizzato, per la prima volta in Italia, la diagnosi genetica preimpianto a una coppia fertile portatrice di una grave malattia ereditaria, l'Atrofia Muscolare Spinale di tipo 1(SMA1). Questa malattia causa la paralisi e atrofia di tutta la muscolatura scheletrica e costituisce la più comune causa genetica di morte dei bambini nel primo anno di vita, con un decesso per asfissia. La coppia non aveva potuto accedere alle pratiche di procreazione medicalmente assistita perché la legge 40 del 2004 lo consente solo per casi di sterilità e di infertilità.
LA MOTIVAZIONE - «Il diritto a procreare - si legge nelle motivazioni del giudice - e lo stesso diritto alla salute dei soggetti coinvolti, verrebbero irrimediabilmente lesi da una interpretazione delle norme in esame che impedissero il ricorso alle tecniche di pma (procreazione medicalmente assistita) da parte di coppie, pur non infertili o sterili, che però rischiano concretamente di procreare figli affetti da gravi malattie, a causa di patologie geneticamente trasmissibili; solo la pma, attraverso la diagnosi preimpianto, e quindi l'impianto solo degli embrioni sani, mediante una lettura "costituzionalmente" orientata dell'art. 13 L.cit., consentono di scongiurare tale simile rischio».
QUATTRO LUTTI PRIMA DEL RICORSO - La coppia nel 2003 aveva visto morire una figlia di appena 7 mesi, colpita atrofia muscolare spinale di tipo 1. «Siamo riusciti ad avere un bambino sano nel 2005 ma siamo stati costretti - ha spiegato la donna, quasi 40anni, lombarda, con un marito quasi coetaneo e fertile come lei - a tre aborti perchè questa malattia è assolutamente incompatibile con la vita». «Ho avuto 5 gravidanze, un figlio solo e 4 lutti».
La coppia ha fatto allora richiesta al ginecologo Domenico Danza, di Salerno, di accedere alla procreazione medicalmente assistita e di poter effettuare la diagnosi preimpianto con tecniche combinate di citogenetica e di genetica molecolare per avere un figlio che potesse vivere. Lo specialista però non ha potuto dare il suo assenso alla luce delle norme previste dalla legge 40 del 2004. La donna ora, dopo il sì del tribunale di Salerno, si rivolgerà nuovamente allo stesso medico..
ROCCELLA: «GRAVE APERTURA» - La legge 40 consente l'accesso alla fecondazione assistita «solo alle coppie non fertili, per dare loro le stesse opportunità di procreazione di quelle fertili. È molto grave che un giudice violi questo principio basilare della legge». Questa la dura reazione del sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, interpellata dall'Agenzia di stampa Agi. «Una sentenza motivata con il "diritto alla salute": ma la salute di chi? - si chiede il sottosegretario - non certo degli embrioni, che anzi vengono sacrificati in un numero molto alto, anche 20. Il giudice in sostanza stabilisce che per il diritto alla salute di uno si può sacrificare il diritto alla vita di venti». Con la diagnosi preimpianto e la selezione degli embrioni da impiantare, autorizzate dal giudice, secondo il sottosegretario «si introduce un principio di eugenetica, e si dà un minor valore alla vita dei disabili. Se l'aborto, ad esempio, è consentito solo in caso di rischi psichici o fisici della madre, qui si proclama il non diritto di un disabile a vivere». La sentenza, tra l'altro, «conferma la tendenza della magistratura a invadere campi che non sono suoi: la magistratura non ha compiti creativi, deve applicare le leggi. Non può contraddirle palesemente come fatto dal giudice di Salerno. Eppure abbiamo un giudice che decide che una legge votata dal Parlamento è carta straccia. Se si vuole introdurre l'eugenetica - conclude Roccella - lo si dica chiaramente e si voti una legge in Parlamento, e non in tribunale, e vedremo se gli italiani daranno il loro consenso».
Redazione Online
Corriere della Sera 13 gennaio 2010
Selezione in provetta per sentenza, legge 40 umiliata
E’ di ieri pomeriggio la notizia relativa a un giudice di Salerno che ha autorizzato l’accesso alla fecondazione artificiale a una coppia senza alcun problema di sterilità. A quanto si apprende, i coniugi (una coppia lombarda) sarebbero portatori sani di una malattia genetica ereditaria, e per questo si sarebbero rivolti a un centro di procreazione artificiale dopo «5 gravidanze, un figlio solo e 4 lutti» al fine di poter effettuare la diagnosi preimpianto sugli embrioni. Secondo il magistrato – Antonio Scarpa – cui la coppia ha presentato ricorso «il diritto a procreare, e lo stesso diritto alla salute dei soggetti coinvolti, verrebbero irrimediabilmente lesi da una interpretazione delle norme in esame che impedissero il ricorso alle tecniche di Pma (procreazione medicalmente assistita, ndr ) da parte di coppie, pur non infertili o sterili, che però rischiano concretamente di procreare figli affetti da gravi malattie, a causa di patologie geneticamente trasmissibili; solo la Pma attraverso la diagnosi preimpianto, e quindi l’impianto solo degli embrioni sani, mediante una lettura 'costituzionalmente' orientata dell’articolo 13, consentono di scongiurare tale simile rischio». n pratica, secondo la sentenza, l’accesso alle tecniche, oggi riservato solo alle persone sterili e infertili, potrebbe essere ampliato attraverso «una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 13». Finché non si conosceranno le motivazioni non sarà possibile sapere quale contorto ragionamento abbia portato a riconoscere questa possibilità. Tuttavia risulta alquanto improbabile trovarne il fondamento nell’articolo 13 della legge 40. Questo articolo, infatti, tra le altre cose vieta «ogni forma di selezione a scopo eugenetico» e «qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano». Inoltre, prevede che «la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche a essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso». Senza contare che è ancora pienamente vigente il divieto di crioconservazione e soppressione degli embrioni contenuto nell’articolo 14. Un divieto inequivocabile, che cozza con la possibilità di effettuare la diagnosi preimpianto, la quale implica l’eliminazione degli embrioni eventualmente affetti da qualche patologia. IDue paletti, quelli del divieto di diagnosi preimpianto e di selezione, chiaramente desumibili da diverse disposizioni contenute nella normativa, anche dopo le censure compiute dalla Corte Costituzionale con la sentenza 151 del 2009. Con questa pronuncia la Consulta aveva dichiarato incostituzionali le parole «a un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre» contenute nell’articolo 14 della legge, abbattendo il limite numerico massimo di embrioni generabili per ciascun ciclo. Inoltre, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14 «nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, come stabilisce tale norma, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna». Questa sentenza della Consulta non ha però eliminato il divieto di diagnosi preimpinato e di selezione. Ciò è desumibile, oltre che dalle disposizione ancora vigenti, anche da quanto affermato dalla Corte stessa in un’altra pronuncia, la 369 del 2006. Interpellata in seguito alla rimessione di un giudice di Cagliari, chiamato a decidere sul ricorso di una coppia che chiedeva di poter effettuare la diagnosi preimpianto, la Consulta dichiarava la «manifesta inammissibilità» della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13 della legge 40, rilevando che il divieto di diagnosi preimpianto è «desumibile anche da altri articoli della stessa legge, non impugnati, nonché dall’interpretazione dell’intero testo legislativo alla luce dei suoi criteri ispiratori». Se tale divieto è desumibile «dall’interpretazione dell’intero testo legislativo» non si comprende come un singolo giudice, come quello di Salerno, attraverso un’interpretazione «costituzionalmente orientata» dell’articolo 13, possa aver autorizzato – contraddicendo la stessa Corte costituzionale – tale pratica vietata dalla legge. Anche la questione dell’accesso alle tecniche, ampliato arbitrariamente ieri da questo giudice è esplicitamente regolato dalla legge 40: oggi il ricorso alla fecondazione artificiale è riservato alle coppie infertili o sterili proprio perché, come afferma l’articolo 4, «è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione». Era prevedibile che le temerarie aperture verso la possibilità di eseguire la diagnosi preimpianto avanzate da alcuni centri portasse inevitabilmente a reclamare l’accesso alle tecniche anche le coppie non sterili ma portatrici di malattie genetiche. Un’altra dimostrazione che la diagnosi preimpianto stravolgerebbe di fatto lo spirito di tutta la legge, nata con lo scopo di «favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana» (articolo 1) e non per altre finalità, come quella di evitare i rischi genetici legati alla gravidanza in sé. E’ vero che le attuali linee guida, emanate nel 2008, hanno introdotto il concetto di «sterilità di fatto» per le persone portatrici di Hiv, che, anche se fertili, possono accedere alle tecniche. Una disposizione di dubbia legittimità, considerato che l’articolo 4 della legge è molto chiaro nel menzionare i soggetti che possono accedere alla fecondazione. Inoltre l’articolo 7 specifica che le linee guida debbano contenere solo «l’indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita» e non la disciplina dell’accesso a tali procedure. Su questo punto ha espresso molto bene la ratio della normativa il Tar del Lazio, che nella sentenza del 23 maggio del 2005 escluse «che il metodo (artificiale) della procreazione assistita, il cui fine è solamente quello di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità e infertilità umane, possa offrire delle opportunità maggiori del metodo naturale».
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Roccella
«Sentenza gravissima, discrimina»
« U na sentenza gravissima ». A dirlo è Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare, in una dichiarazione giunta nella serata di ieri; essa infatti «introduce il principio che la disabilità è un criterio di discriminazione rispetto al diritto di nascere». Il sottosegretario osserva che c’è anche un problema giuridico: «Nel testo si parla di 'diritto alla salute dei soggetti coinvolti', ma, se si ritiene che ci sia un conflitto fra il diritto alla salute costituzionalmente garantito e la legge 40, la questione andrebbe sottoposta alla Corte Costituzionale e non può essere decisa da un Tribunale qualunque ». Inoltre, si chiede la Roccella, «del diritto alla salute di chi stiamo parlando? Non di quello della madre, e di certo non di quello dei 10 o 20 embrioni che verranno eliminati a favore di quello selezionato». La Roccella nota che con questo metodo i magistrati «possono scavalcare o modificare nei fatti qualunque norma»: la legge 40 stabilisce che l’accesso alla procreazione assistita è riservato alle coppie infertili, mentre «non serve a selezionare il figlio. Questa è eugenetica pura». Il sottosegretario ricorda infine che sulla legge 40 l’elettorato si è già espresso bocciando con un referendum ogni tentativo di modifica».
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Avvenire 14 gennaio 2010