DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

POTERE SALESIANO. La mappa della nomenclatura che governa la curia romana da quando la segreteria di stato vaticana è nelle mani di Bertone

Roma. La curia romana è una corte
sempre in evoluzione. New entry e vecchie
glorie ne plasmano gli equilibri, ogni pontificato
in modo differente. Così anche recentemente:
se con Wojtyla era don Stanislaw
Dziwisz a proteggere e alimentare
l’enclave dei polacchi non senza contrapporsi
al potere di Angelo Sodano e Giovanni
Battista Re (segretario di stato il primo,
prefetto dei vescovi il secondo), con
Ratzinger si registra una certa espansione
dei salesiani, complice la spinta dell’attuale
segretario di stato Tarcisio Bertone
e, insieme, una gestione non politica della
segreteria particolare del Papa da parte
del tedesco monsignor Georg Gänswein.
Quando il 22 giugno 2006 Benedetto
XVI ha chiesto all’allora arcivescovo
di Genova Bertone di
prendere in mano la segreteria
di stato vaticana l’ha fatto
perché conosceva bene il cardinale
salesiano e si fidava di
lui: dal 1995 al 2002, infatti, Bertone
è stato segretario della Dottrina
delle fede guidata da Joseph Ratzinger.
L’ha scelto, il Papa, soprassedendo
la consuetudine che vuole
il segretario di stato provenire
dalla scuola diplomatica
vaticana: “Una rivoluzione
copernicana”, fu il commento
che poche
ore dopo la nomina
rilasciò lo stesso
Bertone. Anche se,
prima di lui, già Jean-Marie Villot, segretario
di stato dal 1970, non aveva una formazione
diplomatica. “Ho scelto Bertone
per le sue grandi doti e qualità” ha spiegato
il Papa riferendosi anche al passato
meno prossimo di Bertone, quello della
lunga esperienza in ambito universitario
(ha insegnato teologia morale, diritto canonico,
internazionale e dei minori) e della
guida (dal 1991) della diocesi di Vercelli
interpretata con un’intraprendenza figlia
dello slancio missionario che contraddistingue
il suo ordine d’appartenenza:
si racconta che quando seppe della nomina
rimase sveglio tutta la notte a studiare
la vita del santo della città, Eusebio.
E poi c’è quella storia che i salesiani amano
ricordare per suffragare la decisione
presa dal Papa di chiamare al proprio
fianco un salesiano: Papa Pio IX, al secolo
Giovanni Maria Mastai Ferretti, si fidava
ciecamente di don Giovanni Bosco tanto
che al santo fondatore delle congregazioni
dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice
chiedeva spesso consigli su quali
sacerdoti portare all’episcopato e con
quali incarichi.
Da quando Bertone coadiuva da vicino
il Papa nell’esercizio del potere anche
questo fa: propone e dispone promozioni e
allontanamenti, soprattutto in curia. La
cosa, come è logico che sia, provoca reazioni
diverse, a volte anche malumori che
si acuiscono perché oggi, come non accadeva
un tempo prima della riforma della
curia voluta da Paolo VI, è la segreteria
di stato che è chiamata a gestire e vagliare
la maggioranza delle decisioni
che i prefetti dei “ministeri”
vaticani prendono. Insomma,
si tratta di una concentrazione di
potere che dà prestigio ma anche
molti oneri. Bertone, inoltre, ci mette
del suo. Ovvero, agisce col suo tratto,
quello di un pastore salesiano che,
in scia a quanto faceva don Bosco
per le strade dell’Italia
ottocentesca, si
butta nella mischia,
fa e disfa certamente
ponderando
le conseguenze delle
proprie azioni ma senza preventivamente
farsi determinare da queste.
Una modalità d’azione per certi versi rischiosa,
e senz’altro non percorsa dai suoi
predecessori: né da Agostino Casaroli con
la sua Ostpolitik vaticana, e nemmeno dal
suo principale collaboratore e poi successore,
Angelo Sodano. E il Papa lo lascia fare
accettando un dato di fatto sempre più
evidente via via che i mesi sono trascorsi:
non poche delle nomine in curia romana
sono di stampo salesiano. Ma, in fondo, la
cosa non deve stupire. Come il Papa ha voluto
accanto a sé Bertone perché lo ritiene
uno dei suoi, uno della nidiata uscita
dalla sua Congregazione, così Bertone preferisce
portare in alto quelli che conosce.
Anche se la cosa non riguarda tanto la segreteria
di stato – qui i suoi più stretti collaboratori,
Ferdinando Filoni e Dominique
Mamberti, non sono salesiani – quanto
gli altri dicasteri.
Oltre a Bertone sono
due i salesiani che occupano alcuni dei
gradini più alti della piramide vaticana,
quei gradini che portano automaticamente
al cardinalato: Raffaele Farina, archivista
e bibliotecario di Santa Romana chiesa, e
l’arcivescovo Angelo Amato (futuro cardinale),
prefetto della Congregazione per le
cause dei santi. Farina e Amato hanno in
sé caratteristiche che giustificano la promozione
al di là dell’appartenenza salesiana:
Farina vanta una lunga e dotta presenza
in curia precedente l’avvento di Bertone,
sottosegretario del Pontificio consiglio della
cultura prima, prefetto della biblioteca
apostolica vaticana poi; Amato è specialista
di cristologia e di ecumenismo, profondo
conoscitore dell’Oriente cristiano-ortodosso,
uno dei principali collaboratori di
Ratzinger e di William Joseph Levada alla
Dottrina della fede dove, assieme a Bertone
e sotto la direzione dell’attuale Papa, ha
lasciato traccia di sé anche nella fortunata
stesura della Dominus Iesus, la dichiarazione
circa l’unicità e l’universalità salvifica
di Cristo e della chiesa. I tre, Bertone,
Farina e Amato, sono amici e si stimano. Il
loro salesianesimo viene fuori in più modi.
Anche nella fedeltà a tre grandi amori di
don Bosco: la Madonna, l’eucaristia e il Papa.
I salesiani sono ben rappresentati anche
nei posti intermedi della curia. Lo
scorso ottobre è stato don Mario Toso, già
rettore della Pontificia Università salesiana,
a divenire segretario di Iustitia et Pax.
Toso è esperto in dottrina sociale della
chiesa – ha insegnato magistero sociale alla
lateranense – e dunque il suo arrivo nel
dicastero guidato dal cardinale Turkson
non è senza senso. Come motivata è la nomina
di don Giuseppe Costa a direttore della
Libreria Editrice Vaticana (Lev). Questi
ha detto d’essere arrivato alla Lev per “ubbidienza
salesiana”: il suo posto è per tradizione
assegnato a un salesiano. Di diverso
tono è invece la nomina di don Manlio
Sodi come presidente della Pontificia accademia
di teologia. Liturgista, sembrava
avviarsi verso un incarico importante all’interno
della Congregazione per il culto
divino. Ma così non è stato anche a motivo
(ma sono solo supposizioni) delle sue posizioni
piuttosto critiche nei confronti della
promulgazione del Summorum Pontificum.
La nomina salesiana, o meglio l’incarico
che più ha fatto parlare di sé è stato quello
affidato pochi giorni fa a Enrico Dal Covolo:
gli è stato chiesto di predicare gli esercizi
spirituali al Papa e alla curia romana
nella prossima quaresima. Dal Covolo è postulatore
generale della congregazione salesiana,
patrologo esperto della latinità cristiana.
L’incarico affidatogli ha fatto parlare
per più motivi. Anzitutto perché spesso,
in passato, chi ha predicato gli esercizi ha
poi fatto carriera. Oltre a Karol Wojtyla che
predicò ’76, due anni prima di divenire
Pontefice, sono diversi i predicatori divenuti
cardinali. Tra questi, Antonio Javierre
Ortas, Anastasio Ballestrero, Carlo Maria
Martini, Lucas Moreira Neves, Georges Cottier,
Ersilio Tonini, Jorge Medina Estevez,
Christoph Schönborn, Angelo Comastri. Ma
c’è altro: Benedetto XVI, prima di Dal Covolo,
non aveva mai affidato la predicazione
a un semplice sacerdote – l’incarico è
stato affidato al vescovo Renato Corti (2005)
e poi ai cardinali Marco Cé (2006), Giacomo
Biffi (2007), Francis Arinze (2008) e Albert
Vanhoye (2009) – e i più si aspettavano che
avrebbe continuato così. Infine un’altra notizia.
Si parla della nomina di un altro salesiano.
Sembra che sarà don Massimo Palombella
a prendere il posto di monsignor
Giuseppe Liberto come direttore del coro
della Cappella Sistina. Scrive in proposito
Sandro Magister, vaticanista autorevole e di
temperamento: “Don Palombella è un salesiano,
come salesiano è il suo sponsor, il
cardinale Bertone”. E ancora: “Ratzinger è
un grandissimo intenditore di musica sacra.
Contro il suo degrado ha scritto pagine
brucianti. E così sulla liturgia. Molti attendevano
da lui una decisione all’altezza, per
la direzione del coro che accompagna le celebrazioni
papali, modello per il mondo intero.
Così non è stato. Alla grande visione di
Papa Benedetto questa volta non è corrisposta
una decisione conseguente”.

Paolo Rodari

Il Foglio 7 gennaio 2010