Dopo le polemiche sollevate da una rivista italiana, sulle divisioni fra comunità ufficiali e sotterranee, AsiaNews riceve e pubblica volentieri la testimonianza di un sacerdote della comunità sotterranea in Cina. Apprezzamento – anche se non condiviso – per mons. An Shuxin, che ha deciso di essere vice-presidente dell’Associazione patriottica; stima anche per il card. Zen, paladino della libertà della Chiesa. L’impegno più importante è il recupero della riconciliazione della Chiesa, promuovendo “il perdono” e “il martirio”.
Pechino (AsiaNews) - Dopo aver letto l’articolo di Gianni Valente sulla rivista “30 Giorni” (N.12 – 2009), in quanto sacerdote della Cina continentale, mi sento di esprimere la mia opinione sui due argomenti trattati nell’articolo.
Conosco la diocesi di Baoding e Hong Kong e sono stato in contatto con il vescovo Francesco An Shuxin, coadiutore della diocesi di Baoding, e con il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong. Entrambi sono da me considerati come buoni esempi da imitare. Adesso sono parroco in Cina e servo la Chiesa, cercando di mettere in pratica la lettera del 2007 di Papa Benedetto XVI. Vista la situazione, mi sento in dovere di esprimere le mie opinioni per dare un contributo alla Chiesa cinese e mi mantengo aperto ad accettare consigli onesti perché amo la Chiesa.
Il difficile rapporto col governo
1. Non posso credere che la Congregazione per la Evangelizzazione dei Popoli abbia esercitato pressioni sul vescovo An per indurlo a lasciare la condizione di clandestinità e a collaborare con le autorità politiche. La Santa Sede, infatti, lascia ad ogni vescovo la libertà di agire nell’ambito delle sue competenze e non costringe i vescovi cinesi a dare testimonianze eroiche per rifiutare l’Associazione patriottica (Ap), la quale ha il fine dichiarato di attuare “principi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa”. Negli anni recenti ho osservato che vari pastori clandestini hanno tentato di uscire dalla clandestinità, per esempio mons. Wei Jingyi, vescovo di Qiqihar, oppure mons. Li Jingfeng, vescovo di Fengxiang. Quest’ultimo, con la sua particolare testimonianza e onestà, ha ottenuto la legittimazione della sua comunità locale. E mons. Wei tenta ancora oggi di ottenere la regolarizzazione della sua identità episcopale dal governo cinese. La Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli segue la direzione indicata nella Lettera dal Papa, lasciando la libertà di decisione ai singoli vescovi locali. Soprattutto nelle attuali circostanze così difficili e delicate per la loro missione di pastori, “il tradizionale orientamento ‘nihil sine episcopo’ mantiene tutto il suo valore”.
La mia esperienza mi suggerisce che non è facile per le comunità clandestine diventare regolari, anche se ciò è auspicato pure dalla Santa Sede, che vorrebbe un rapporto diplomatico con il governo cinese. A questo scopo la Segreteria di Stato si è adoperata con tutte le sue forze, ma ha trovato un grande ostacolo, che è lo stesso che incontra la Chiesa clandestina nei rapporti col governo: questo infatti intende legittimare solo una “Chiesa indipendente” che, in realtà, si allontana dal nostro dogma. E come può la Chiesa accettare la negazione di se stessa? Infatti, come la Lettera papale ribadisce, la loro pretesa di porsi “al di sopra dei vescovi stessi e di guidare la vita della comunità ecclesiale non corrisponde alla dottrina cattolica”.
Dopo questa Lettera molti si sono detti ottimisti sul rapporto tra Chiesa e governo e pretendono di vederne subito i risvolti positivi, ma, in realtà, la vittoria non sta tanto nel rapporto civile con il Governo, quanto nella chiara intenzione del Papa di recuperare l’unità della Chiesa in Cina. In quanto sacerdote clandestino ho tanto desiderato di poter esercitare il mio ministero nella società cinese testimoniando la fede cattolica davanti ai miei amici, cari compagni d’infanzia, ma mi sento di accettare il sacrificio della clandestinità come Gesù ha accettato la sua Croce, con pazienza, preghiera e perdono, accettando la Provvidenza del Padre celeste.
I fatti di Baoding
2. La ricostruzione dettagliata della dinamica dei fatti riguardanti il vescovo An è difficoltosa per la mancanza di comunicazione e non è necessaria per portare avanti la diocesi di Baoding. Continuare a discutere sui motivi per i quali egli è uscito dal carcere o ha accettato l’incarico di vicepresidente dell’Ap provoca soltanto ulteriori divisioni nella diocesi. Benedetto XVI scrive nella sua Lettera: “La Santa Sede, dopo aver riaffermato i principi, lascia la decisione al singolo vescovo che, sentito il suo presbiterio, è meglio in grado di conoscere la situazione locale, di soppesare le concrete possibilità di scelta e di valutare le eventuali conseguenze all’interno della comunità diocesana, anche se con sofferenza, e che si mantenga l’unità della comunità diocesana col proprio pastore”. La Santa Sede ha confermato mons. An come autorità episcopale nominandolo vescovo coadiutore della diocesi. I sacerdoti devono mettere da parte le proprie opinioni personali ed obbedire per il bene della Chiesa e per l’unità della comunità diocesana. mons. An è il nostro “fratello maggiore”: chi può giudicare la sua persona? Personalmente, io non concordo con la sua decisione di prendere l’incarico della vicepresidenza dell’Ap, anche se lo ha fatto con buone intenzioni. Tuttavia non posso non ricordare alcune circostanze concrete e soprattutto quanto lui stesso ha affermato. Mons. An dice di aver accettato il suddetto incarico dopo aver letto la Lettera del Santo Padre; di essersi trovato davanti all’alternativa o di assumere il suddetto incarico o di vedere nominato al suo posto, alla guida della diocesi, un nuovo vescovo illegittimo. Mi risulta anche che mons. An ha cercato di consultare i suoi sacerdoti, molti dei quali non gli hanno risposto e alla fine non si è ritenuto obbligato a seguire il parere della maggioranza, ma la sua coscienza. Mons. An ha fatto un errore? Può darsi, ma io non mi sento di condannarlo. Anche S. Pietro fece i suoi errori. Chi può negare che mons. An ami la Chiesa? Con la voce della Santa Sede, il Signore gli ha affidato il compito di pastore della Chiesa locale. Ritengo che anche i sacerdoti di Baoding debbano prendersi la loro parte di responsabilità per l’errore commesso da mons. An, perché con la loro insistenza nel rifiutarsi di accettare la sua autorità e nel lasciarlo solo, hanno provocato, in qualche misura, lo sbaglio di An. Mi auguro che i cari fratelli di Baoding si stringano attorno al vescovo e collaborino armoniosamente con lui come in passato, soprattutto come nel 1995.
L’aiuto del card. Zen
3. Grazie alla Santa Sede e agli altri fratelli in Cristo che vivono fuori dalla Cina abbiamo già ottenuto un successo, quello di salvaguardare la Chiesa cinese, che rimane in comunione con Pietro, nonostante si trovi a vivere sotto la costante minaccia politico-atea. Questo successo della Chiesa in Cina dimostra la sapienza della Santa Sede e conferma che lo Spirito Santo agisce tra i cattolici cinesi. La Lettera del Papa del 2007 è il segno della fiducia data dalla Sede apostolica all’evangelizzazione in Cina. Grazie al Compendio e alla Trascrizione o Interpretazione della Lettera papale preparata dal card. Joseph Zen, i sacerdoti cinesi possono approfondire le indicazioni date dal Papa sui loro compiti e sui loro scopi. Dopo questa Lettera, infatti, le due comunità cattoliche in Cina si stanno lentamente riavvicinando e collaborando. Siamo già pronti a recuperare l’unità della Chiesa nonostante gli ostacoli politici.
Il card. Zen merita rispetto, la sua figura non è importante solo per Hong Kong, dato che la sua voce risuona in tutto il mondo. E’ un difensore dei diritti umani e della legittimità della Chiesa Cattolica. I suoi interventi e la sua “Guida” alla comprensione della Lettera papale vogliono essere un contributo per rimanere fedeli alle intenzioni del Santo Padre. La sua voce ed il suo lavoro possono essere un servizio prezioso per i pastori cinesi perché insegna loro come applicare i principi della Chiesa alle situazioni concrete più difficili e complesse, purché non siano considerati come una voce alternativa e contraria agli organismi della Santa Sede né venga loro attribuito un carattere ufficiale, come se l’emerito vescovo di Hong Kong potesse svolgere il ruolo suppletivo di una Conferenza episcopale cinese, come qualcuno tende ad attribuirgli. Questo disorienterebbe i cattolici cinesi e renderebbe loro un cattivo servizio, che certamente lo stesso card. Zen non desidera.
Il card. Zen, inoltre, si prende cura sia dei sacerdoti che provengono dalla comunità clandestina che di quelli provenienti dalla Chiesa ufficiale. Li ha anche incoraggiati a concelebrare nel 1999 in Belgio la S. Messa, spiegando, in armonia con le parole del Papa, che “è lecito concelebrare con vescovi e con sacerdoti che sono in comunione con il Santo Padre, anche se sono riconosciuti dalle autorità civili e mantengono un rapporto con organismi voluti dallo Stato ed estranei alla struttura della Chiesa, purché il riconoscimento e il rapporto non comportino la negazione di principi irrinunciabili della fede e della comunione ecclesiastica”.
4. C'è bisogno di una sincera collaborazione di tutti i fratelli in Cristo, sia dentro che fuori dalla Cina continentale, per aiutare la Chiesa cinese a recuperare la sua piena unità. Qualsiasi accusa sterile, non solo non aiuta la Chiesa, ma diventa inconsapevolmente uno strumento in mano all’Associazione patriottica cinese. In Cina, per la riconciliazione, dobbiamo promuovere il perdono e lo spirito del martirio, cioè la disponibilità a dare la vita per la volontà di Dio e l’unità della Chiesa. Dobbiamo imparare sempre meglio il metodo del dialogo che ci ha lasciato il Concilio Vaticano II, affinché si possa dire tutti insieme “ Padre Nostro…”.
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