Avvistato un giornaletto di fumetti spacciato per ricerca storica. E, per una volta, plaudiamo ad un vaticanista. Andrea Tornielli, che ci ha indicato il fumetto in questione. Alcuni storici, prontamente grancassati dalla grande stampa, intendono il loro mestiere di ricercatori come quello degli autori dei fumetti di Paperino e Topolino. Sapete come fanno, no? Riprendono la realtà di avvenimenti di cronaca, spesso sportiva, e vi cotruiscono storie dove cambiano nomi e luoghi adattandoli ai personaggi dei loro fumetti. Così hanno fatto Giuseppe Casarrubea e Mario Cereghino: hanno preso un documento su Pio XII pubblicato nel 1964 negli Stati Uniti ed esistente già da tempo in traduzione italiana spacciandolo come inedito e pubblicato sul loro fumetto di successo. La pubblicità dell'Ansa, del Corriere e della Stampa ha poi dato alla storiella inedita la giusta ribalta. Peccato che non si tratti di fumetti, e che nel popolo di Internet e quello che sfoglia rapido le pagine dei quotidiani, resti scolpito un titolo ad effetto piuttosto che la sostanza e la verità dei fatti. Sbirciando nel blog di uno di questi Disney della storia abbiamo scoperto la solita, identica tesi preconfezionata volta a demolire la figura di Pio XII. Con livore e sarcasmo hanno replicato a Tornielli senza però poter contestargli minimamente il nocciolo della questione. Solo ironie contro Pio XII per attaccare il vaticanista reo di non scrivere fumetti come loro. Il che certifica il rossore dei bimbi colti con le mani nella marmellata. Ancora una volta: diffidare sempre di chi scrive di storia, specie se di storia della Chiesa. "La Chiesa è nella storia, ma nello stesso tempo la trascende. È unicamente 'con gli occhi della fede' che si può scorgere nella sua realtà visibile una realtà contemporaneamente spirituale, portatrice di vita divina" (Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), 770.) L'angoscia di un ineludibile dilemma interiore si tramuta spesso in livore pseudo-scientifico, usato come una pezza d'appoggio a tesi che suffraghino la propria chiusura ad una Notizia capace di dare senso e pienezza alla vita. Quanti storici, filosofi, politici, artisti, han scritto, pensato e agito per uno scandalo interiore rimosso e non sanato. In due parole? Per tenere fuori il Figlio si calunnia la Madre. Davvero peccato, perchè a mostrare le debolezze della Chiesa ci avevano pensato, senza fumetti e falsi scoop, già duemila anni fa, apostoli ed evangelisti. Senza sconti, neanche per Pietro, per mostrare che la Chiesa è il luogo del perdono, per ogni uomo. Non per cancellarla dal mondo o per crearne una secondo i propri desideri. La Chiesa è fondata sul perdono, quello accordato a Pietro dopo il tradimento. Senza questa misericordia non esisterebbe. Per questo nel Nuovo Testamento non sono taciuti peccati e debolezze degli apostoli. Solo lasciandosi attirare in questo fiume di Grazia si può guardare la propria storia, quella di ogni uomo, quella della Chiesa con occhi diversi. Scriveva l'allora Card. Ratzinger, commentando il documento giubilare di Giovanni Paolo II su memoria e riconciliazione: "ciò che bisogna evitare è tanto un'apologetica che voglia tutto giustificare, quanto un'indebita colpevolizzazione, fondata sull'attribuzione di responsabilità storicamente insostenibili.... Ma neppure può appoggiarsi sulle immagini del passato veicolate dalla pubblica opinione, giacché esse sono spesso sovraccariche di una emotività passionale che impedisce la diagnosi serena ed obiettiva [...]. Ecco perché il primo passo consiste nell'interrogare gli storici, ai quali non viene chiesto un giudizio di natura etica, che sconfinerebbe dall'ambito delle loro competenze, ma di offrire un aiuto alla ricostruzione il più possibile precisa degli avvenimenti, degli usi, della mentalità di allora, alla luce del contesto storico dell'epoca". Ecco, ricerca storica come aiuto alla Chiesa. Ma occorre per questo essere liberi dentro, se non innamorati della Chiesa, quanto meno osservatori senza pregiudizi. Altrimenti non si pubblicheranno inedite ricerche, ma solo fumetti.
La sentinella
Falso scoop su Pio XII, Se gli “storici” non leggono i libri...
Sul Corriere della Sera e sulla Stampa di oggi viene dedicato ampissimo spazio a presunti nuovi documenti relativi al “silenzio” di Pio XII. Anche il Giornale (ahimé), s’è fidato - ma fortunatamente in tono molto, molto minore, relegando la notizia in una breve - di un’Ansa che domenica pomeriggio ha rilanciato le “rivelazioni” di due studiosi non nuovi a questi falsi scoop: si tratta di Giuseppe Casarrubea e Mario Cereghino. I due hanno compiuto delle ricerche negli archivi inglesi e da qualche anno - supportati dall’Ansa, che continua a fidarsi - presentano le loro “scoperte” spacciandole come inedite. Ieri sono arrivati persino a consigliare sul loro blog, con tono sarcastico, al relatore della causa di beatificazione di Papa Pacelli, il gesuita Peter Gumpel, di leggersi bene le carte che loro pubblicano prima di procedere. Così, tramite agenzia, prontamente ripresa a tutta pagina dai due grandi quotidiani, si è parlato del rapporto con cui l’incaricato di affari americano Harold Tittman riferiva al governo Usa di un colloquio avvenuto nell’ottobre 1943 con Pio XII, durante il quale il Papa aveva detto che i tedeschi fino a quel momento avevano rispettato la Santa Sede. Sapete quanto era “inedito” lo scoop di Casarrubea e Cereghino? Quel documento è pubblicato dal 1964. Si trova infatti nella serie Foreign Relations of United States (FRUS), nel secondo dei volumi relativi al 1943, p. 950. Questo testo è uscito negli Usa l’anno in cui sono nato io, vale a dire 45 anni fa. Si dirà: gli studiosi Casarrubea e Cereghino come potevano sapere? Loro in fondo hanno “ricercato” negli archivi inglesi non americani (e quel documento si trova in copia negli archivi inglesi perché Tittman non aveva il rango di diplomatico ufficiale e quel rapporto venne inviato negli Usa tramite l’ambasciata britannica)… Peccato che quello stesso documento fosse noto non da ieri anche in traduzione italiana: lo ha pubblicato infatti Ennio Di Nolfo nel suo libro Vaticano e Stati Uniti: dalle carte di Myron Taylor, Milano 1978, ripubblicato nel 2003. Quel documento “inedito” è stato presentato e discusso nelle biografie e in molti saggi su Pio XII. “Libri che, evidentemente - mi spiega il professor Matteo Luigi Napolitano, autore di vari saggi sull’argomento - Casarrubea e Cereghino, non si sono dati la pena di leggere, continuando a spacciare come ‘nuove’ e ‘inedite’ cose che gli storici, quelli seri, conoscono e discutono da anni”.
Casarrubea, sul suo blog, ironizza sul sottoscritto (che non è uno storico e non si è mai attribuito alcuna patente di storico e, anche per scrivere le righe qui sopra, ha consultato uno storico), definendo - e qui si cade davvero nel ridicolo - una questione di “lana caprina” il fatto che testi sbandierati come nuovi fossero già pubblicati. Dunque non può rispondere assolutamente nulla (leggete per favore tra i commenti al thread anche quello del prof. Napolitano): ciò che lui e Cereghino ha spacciato come inedito, riuscendo a farlo apparire tale in articoli che hanno fatto il giro del mondo, era arcinoto, strapubblicato e discusso. Io sono solo un cronista. Lascio a voi giudicare che cosa siano Casarrubea e Cereghino, i quali hanno fanno passare come novità e frutto delle loro ricerche d’archivio testi editi da quasi cinquant’anni al solo scopo di attaccare Pio XII, dimostrando di non avere letto nulla sull’argomento. Aggiungo che Casarrubea e Cereghino non sono nuovi a questo tipo di operazioni: nell’ottobre 2008 spacciarono per inedito un documento per usarlo contro Pio XII (sempre rilanciato dall’Ansa) e furono costretti a scusarsi con il prof. Napolitano, come si può leggere sul sito vaticanfiles.splinder.com.
Andrea Tornielli
http://blog.ilgiornale.it/tornielli
ED ECCO LE IRONIE SENZA DIR NULLA
Meno male che Tornielli c’è.
Se non ci fosse bisognerebbe inventarne uno. A sua immagine e somiglianza e con la sua poderosa cultura bibliografica.
Ecco cosa manca agli storici veri dell’universo mondo. Uno come lui, profondo conoscitore dei papi di Santa Romana Chiesa, vivi o morti che siano, santi o beati.
Sono state ore di ansia e di insonnia per noi, sconvolti dagli strali di questo illustre storico che è, a quanto pare, di casa nell’eccellente blog degli amici del papa tedesco.
Sì, perchè anche i papi hanno bisogno, come dell’aria che respirano al Palazzo Apostolico, di amici. Veri o presunti che siano.
Peccato che questo giovane storico non ci illumini su cose ben più scottanti, preferendo invece fare questioni di lana caprina.
Come i motivi del comportamento di Pacelli dinanzi a Osborne e a Tittmann, il 18 e il 19 ottobre 1943.
Peccato che il principe Pacelli non si sia precipitato in quelle ore terribili alla stazione Tiburtina per fermare la deportazione di oltre mille innocenti che avevano la sola colpa di essere ebrei. Come invece aveva fatto, giustamente, il 19 luglio 1943 nel quartiere romano di San Lorenzo, per portare conforto a una popolazione stremata dalla fame e dai bombardamenti americani.
Peccato, in ultimo, che lo storico non pronunci sillaba sull’incontro del 10 novembre 1944 tra Pacelli e Osborne, quando Pio XII osò deviare il discorso dal genocidio ebraico in Ungheria – oltre 400.000 deportati nei vari campi di sterminio dell’Europa centrale, per ordine di Adolf Eichmann – per approdare astutamente al “pericolo” della bolscevizzazione dell’Europa da parte dell’Armata rossa.
Il principe Pacelli, si sa, le idee le aveva molto chiare.
Ce le racconta ad esempio von Weiszaecker, ambasciatore del Reich hitleriano presso la Santa Sede, che lo incontra nel dicembre 1943:
“Il Papa si augura che i nazisti mantengano le posizioni militari sul fronte russo e spera che la pace arrivi il prima possibile. In caso contrario, il comunismo sarà l’unico vincitore in grado di emergere dalla devastazione bellica. Egli sogna l’unione delle antiche nazioni civilizzate dell’Occidente per isolare il bolscevismo a oriente. Così come fece Papa Innocenzo XI, che unificò il continente [l’Europa] contro i Musulmani e liberò Budapest e Vienna.”
GC e MJC
ED ECCO LA RICOSTRUZIONE STORICA
Pio XII e i falsi scoop: Cereghino e Casarrubea, postulatori della “beotificazione” altrui…
Ma andiamo per ordine.
Il primo giornale titola: Shoah e Pio XII: nuove carte inglesi. «Non condanna i crimini nazisti». Riccardi: conferma la linea di prudenza, e in catenaccio: Scoperti [SIC] due documenti del ’43 e del ’44. La Santa Sede: tutti i testi vanno letti in un contesto generale.
***
Al gentile lettore è bene anticipare una cosa: i virgolettati attribuiti a Osborne e a Tittman nel catenaccio e negli occhielli dei due articoli non (dico non) sono citazioni tratte dai documenti. Non sono parole dei due diplomatici. Sono soltanto elaborazioni fantasiose dei due giornali. Quei virgolettati, infatti, non esistono nei documenti di cui si parla. E questo già dovrebbe chiarire il senso dell’operazione mediatica.
Lo so.
Lo so che articolisti e titolisti sono due diverse categorie di giornalisti. Nondimeno, certi titoli e sottotitoli in parte tradiscono il lavoro di chi scrive l’articolo, in parte tradiscono la verità stessa (sempre da perseguire, per un giornalista serio); e certamente trasformano i giornalisti in giornalai. Perché il titolone sparato in forma di scoop fa vendere e fa discutere.
Ma di che cosa parliamo? Di che parlano questi due articoli?
Che cosa ci dicono il “Corriere della Sera” e “La Stampa” su questi documenti?
Che tiri aria di scoop si evince peraltro anche dal blog di Casarrubea, il quale parla del dispaccio di Tittman come del «documento, da noi ritrovato a Londra poche settimane fa». Ipse dixit.
Ma era da immaginarlo. Cereghino e Casarrubea non sono nuovi al fatto di pubblicare come inedito ciò che si sa da anni. E’ già successo nell’ottobre 2008, quando diedero in pasto al pubblico, come materiale inedito, un dispaccio di Osborne del 19 ottobre 1943, che addirittura il sito de La Repubblica rilanciò alle 19,57 del 18 ottobre 2008: notizia poi “rifischiata” dall’ANSA. Ma anche quel documento era già noto dal 1986, perché ne aveva fatto menzione Owen Chadwick, nel suo libro Britain and the Vatican during the Second World War (Cambridge, Cambridge U.P, 1986).
Propongo allora tre passi.
1) vedere il modo in cui “Corriere della Sera” e “La Stampa” hanno trattato la questione
Vediamo anzitutto il documento di Tittman, del 19 ottobre 1943. Il diplomatico americano informa il suo governo che il Papa sembra preoccupato per la sorte di Roma, che potrebbe essere un campo di battaglia nel quadro dello sviluppo degli eventi bellici; preoccupa inoltre il Papa la presenza di bande comuniste, che potrebbero commettere violenze fra la partenza dei tedeschi e l’arrivo degli Alleati a Roma. Carioti aggiunge che «Pio XII non accennò con Tittman» alla tragica razzia degli ebrei romani, svoltasi proprio tre giorni prima. Sapegno si avventura a dire che nel documento di Tittman «si descrive un Pio XII che invece di indignarsi per la deportazione degli oltre mille ebrei romani…si mostra in forte ansia» per le bande comuniste; e «per essere ancora più chiaro [sempre parole del giornalista della “Stampa”, ndr], il Pontefice a avrebbe aggiunto che fino a quel momento i tedeschi avevano mostrato grande rispetto per la Santa Sede».
Vediamo ora come viene illustrato da Carioti e Sapegno il documento del Ministro britannico in Vaticano, Osborne, del 10 novembre 1944.
Il riassunto di Carioti riguarda solo (cito il giornalista) il «suggerimento che aveva rivolto al Papa il ministro degli esteri britannico Anthony Eden , esortandolo a diffondere un pubblico appello in favore degli ebrei ungheresi. Pacelli – è sempre Carioti a parlare – gli rispose che proprio in quei giorni stava ricevendo pressioni affinché denunciasse gli abusi compiuti dai russi sulle popolazioni dei Paesi baltici…e della Polonia, ma non aveva ancora preso una decisione in proposito»; e anzi, anche caldamente esortato in tal senso da Osborne.
Perché? Perché Osborne (cito ancora Carioti) riteneva che «una simile dichiarazione sarebbe stata paragonata alla precedente “assenza di ogni condanna specifica dei crimini tedeschi”».
«Precedente», s'intenda bene, è un avverbio aggiunto da Carioti nel suo articolo; Osborne, infatti, non dice affatto che in precedenza mancò ogni condanna specifica della Germania. Ma su ciò possiamo sorvolare. Il Papa assicura comunque il ministro che la condanna contro i sovietici sarebbe anonima, così com’era stato fatto nel caso della condanna dei crimini tedeschi. Carioti aggiunge che Osborne e il Papa concordano sul fatto che i crimini sovietici non sono paragonabili a quelli nazisti, e nella fattispecie allo sterminio sistematico degli ebrei nelle camere a gas.
Più o meno le stesse cose dice Sapegno, il quale aggiunge un sibillino «meglio tacere dunque» dopo aver detto che il Papa avrebbe eventualmente condannato i russi in forma anonima.
Questo il resoconto giornalistico di Carioti e Sapegno, condito da alcune dichiarazioni raccolte a caldo da illustri storici.
2) Che osa dicono esattamente i documenti oggetto dello scoop?
Nel primo documento, quello di Tittman del 19 ottobre 1943, Pio XII esprime preoccupazioni per la sorte di Roma, e la speranza che le truppe alleate «trovino possibile circondare Roma e così obbligare i tedeschi a ritirarsi senza sottoporre la città alle distruzioni dovute al combattimento».
Pio XII è anche preoccupato dall’assenza di ordine pubblico a Roma, e del fatto che «elementi irresponsabili (ha detto che è noto che piccole bande comuniste stazionano nei dintorni di Roma attualmente) possano commettere violenze nella città durante il periodo tra l’evacuazione tedesca e l’arrivo degli alleati».
La terza preoccupazione del Papa è per la situazione alimentare. Pio XII spera che tutte le questioni che lo preoccupano siano prese in considerazione degli alleati.
Tornerò su alcune cose tra Vaticano e URSS nel terzo paragrafo, quello dei dulcis in fundo della mia analisi. Basterà qui dire che leggendo il documento di Tittman nella sua interezza, si vede che il tema delle bande di «elementi irresponsabili» è solo una parte del tutto: dato che Pio XII nutriva anche altri timori, che espresse liberamente a Tittman.
a) Osborne ringrazia il papa per l’ospitalità di quattro anni in Vaticano;
Il quadro, come si vede, è molto più ricco di quello riportato da Carioti e da Sapegno. E molto più complesso dell’arbitraria semplificazione fattane dai due “scopritori”, Casarrubea e Cereghino.
Lo è solo dal punto di vista tecnico: questo perché il Governo britannico non ha ancora pubblicato la serie ufficiale dei documenti diplomatici sul periodo 1939-1945. Si consideri poi che il documento è a sua volta una copia a stampa per uso interno, quindi neppure firmata da Osborne.
Dal punto di vista sostanziale, invece, il contenuto del dispaccio di Osborne è anch’esso noto da tempo, cioè esattamente dal 1980. Ne fa cenno, infatti, un appunto di Montini, dell’8 novembre, contenuto nel decimo volume dei documenti vaticani (Nota di Monsignor Montini, ADSS, vol. 10, doc. 388, p. 474, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1980). Il documento è datato 8 novembre 1944 e sembra essere il sommario proprio dell’incontro tra Osborne e Pio XII, che il Ministro inglese, come si è visto, colloca due giorni dopo. La differenza di date può non essere rilevante (si consideri, fra l’altro, che il documento trovato a Kew è, a sua volta, una copia a stampa per uso interno, neppure firmata), ma la somiglianza di contenuto fra i due documenti, pur di lunghezza molto diversa, è straordinaria. Con un’aggiunta: nella nota di Montini si parla anche di una proposta avanzata al Papa da ambienti ebraici, di cui Osborne si sarebbe fatto latore, ma di cui purtroppo non si ha altra traccia.
Emergono insomma alcuni elementi interessanti dai documenti esaminati; ma li si è trascurati per parlare sempre e ancora una volta del silenzio di Pio XII sulla Shoah, e in particolare, stavolta, sulla sorte degli ebrei ungheresi.
E proprio così?
La nota di cui parla Rotta è del 15 maggio 1944: si tratta di una protesta contro l’ingiustizia dei decreti antigiudaici, che peraltro non distinguono fra ebrei battezzati e no (il battesimo era il modo ritenuto più rapido per sfuggire alle leggi razziali; ma i governi collaborazionisti ponevano restrizioni sempre maggiori per evitare che le loro leggi antisemite fossero aggirate, appunto, con un uso strumentale del battesimo).
A parte la distinzione, la nota chiedeva in ogni caso che nelle misure adottate fossero sempre «rispettati i diritti fondamentali della persona umana». Cosa molto più importante, per il Vaticano «il semplice fatto di perseguitare degli uomini per il solo motivo della loro origine razziale, è una violazione del diritto naturale. Se il buon Dio ha dato loro la vita, nessuno al mondo ha il diritto di toglierla o di negare loro i messi per il quali possano conservarla: a meno che non sia stato commesso un crimine. Ma prendere delle misure antisemite, non avendo alcuna considerazione del fatto che molti ebrei ricevendo il battesimo sono divenuti cristiani, è una grave offesa alla Chiesa» e contrastante con la tradizione cristiana dell’Ungheria la quale, se non fosse tornata sui suoi passi, si sarebbe macchiata nei secoli a venire di una grave colpa (ADSS, vol. 10, Annessi I e II al doc. 207)
Nel novembre del 1944, quindi, per gli ebrei ungheresi si sta già facendo molto. E non è affatto strano che lo stesso Osborne, nel suo documento, non si trattenga più del necessario sulla proposta di Eden. Non è la proposta di Eden, infatti, il tema principale del dispaccio; essa è solo un fatto incidentale.
Se Casarrubea e Cereghino avessero scavato meglio negli archivi, si sarebbero accorti di un dispaccio di Osborne del 31 gennaio 1943, avente per oggetto la razzia degli ebrei romani di pochi giorni prima: ossia uno dei temi più scottanti sul presunto “silenzio” del Papa.
Non c’è bisogno di dire che questo documento è ampiamente noto. Eccolo qui in versione integrale:
«Non appena seppe degli arresti di ebrei a Roma – scrive dunque Osborne al suo governo - il Cardinale Segretario di Stato diresse e formulò all'Ambasciatore tedesco una [sorta? Questa parola è illeggibile ndr] di protesta. L'Ambasciatore si mosse immediatamente con il risultato che gran parte di loro fu rilasciata. L'intervento vaticano sembra dunque esser stato efficace nel salvare un certo numero di queste sfortunate persone. Ho chiesto di sapere se potessi io riferir questo e mi fu detto che avrei potuto ma solo per nostra conoscenza e non per darne pubblica ragione, poiché ogni pubblicazione d'informazioni condurrebbe probabilmente a nuove persecuzioni» (Osborne a FO, 31 ottobre 1943 tel. 400, PRO, Kew, UK: FO 371/37255).
Per chi non lo sapesse, Osborne conferma la versione dei fatti raccontata nei documenti vaticani.
Se Osborne avesse visto in Pio XII un pavido, non avrebbe certo tessuito un'apologia del Papa (lui non cattolico!), in una lettera a Oliver Harvey del 4 marzo 1947 (Chadwick, p. 315, ne contiene amplissimi stralci).
Se Osborne avesse avuto qualche dubbio su Pio XII, non si sarebbe scagliato contro la leggenda nera del Vicario di Rolf Hocchuth in questi termini:
«Lungi dall’essere un diplomatico freddo (il che, suppongo, implica di sangue freddo e disumano), Pio XII fu il personaggio più caldamente umano, gentile, generoso, simpatico (e, per inciso, santo) che io abbia mai avuto il privilegio d’incontrare nel corso di una lunga vita. So che la sua natura sensibile era acutamente e incessantemente sensibile al tragico volume di sofferenza umana causato dalla guerra e, senza il minimo dubbio, sarebbe stato pronto e felice di dare la sua vita per redimere l’umanità dalle sue conseguenze. E ciò senza guardare alla nazionalità o alla fede…sono sicuro che Papa Pio XII sia stato grossolanamente giudicato male dal dramma del signor Hochhuth» (The Times, 20 maggio 1963, in Chadwick, pp. 316-317).
Riteniamo che proprio le parole di Osborne mettano una pietra tombale non solo su questo finto scoop, ma anche sulle grossolane chiose con titoli, sottotitoli, occhielli e catenacci giornalistici…
La pazienza del lettore che ci ha seguito fino a questo punto merita un dulcis in fundo.
Si è detto che Casarrubea e Cereghino hanno guardato male i documenti, dimostrando peraltro di non saperli neppure leggere. Aggiungiamo che anche la loro competenza archivistica è solo presunta.
Traiamo proprio dall’Index to the Correspondence of the Foreign Office solo alcune piccolo “perle”, ma sufficienti a collocare il Vaticano del 1943-44 in una luce ben diversa:
a) Il Vescovo Ausiliare di Westminster scrive al Foreign Office in merito all’eventualità di un riavvicinamento tra l’URSS e il Vaticano per il tramite della Chiesa ortodossa russa (PRO/FO N5767/102/38).
c) Desiderio del Papa che siano offerte preghiere in favore dell’Unione Sovietica (PRO/R2404/174/57)
d) Analisi da parte del Governo britannico del radiomessaggio natalizio del dicembre 1942, che propone principi per un nuovo ordine sociale (PRO/FO R158/R316/158/57)
e) Notizia di proteste del Papa contro il trattamento degli ebrei in Italia settentrionale (PRO/FO R12965/4200/22)
f) Relazioni tra il Vaticano e la Francia libera di De Gaulle, attraverso il segreto tramite di Monsignor Jullien, 1943 (PRO/FO R3910/R4542/276/57)
g) Approvazione da parte del Segretario di Stato dei contatti segreti con la Francia libera di de Gaulle; conferma dell’accreditamento di Monsignor Jullien (PRO/FO Z5797/5797/17)
h) Ampio attacco del Dr. Friedrich al Papa: il Vaticano è il nemico del nazionalsocialismo, 1943 (PRO/FO R5453/3893/57)
i) Denuncia delle persecuzioni razziali in Slovacchia e richiesta di un intervento in favore degli ebrei slovacchi, 1944 (PRO/FO C15757/1343/12)
j) Notizia di un messaggio di congratulazioni del Papa a Hitler e rapporto successivo che destituisce la notizia di qualsiasi fondamento (PRO/FO R11922/203/57; PRO/FO R12608/R13903/203/57)
k) Pio XII e la Repubblica di Salò: notizia secondo cui Mussolini avrebbe chiesto al Vaticano la ripresa delle relazioni diplomatiche, e di una replica vaticana secondo cui il Trattato del Laterano è stato concluso con il Re d’Italia s non con il Partito fascista e che il Vaticano, essendo neutrale, non può riconoscere Governi nati durante la guerra (PRO/FO R7149/1944/57)
Concludendo.
Quando si guarda oltre, si vede che il panorama offerto dai documenti sui fatti storici è forse molto più ricco; e che gli scoop storiografici non di rado si rivelano dei boomerang.
Ma questo è un adagio ormai antico e, forse proprio per questo, negletto.
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