di Stefania Vitulli
Si comincia così, con una piccola
ferita. E si diventa raccapriccianti
quanto può esserlo un angelo. Non
più cherubini arcieri traboccanti di
piegoline adipose. Non più l’angelo
dentro di noi alla Wenders, telepate
di un quotidiano sciapo, infiltrazione
subliminale di trascendenza. Non più
giocose presenze riportate a trasferello
a immagine dei nostri cari scomparsi,
personaggi a metà tra zombie,
fantasmi e visioni, magari spaventosi
ma insomma, sotto sotto, gondolieri
della gran consolazione: la vita non finisce
col corpo mortale. L’angelo che
propinano oggi scrittori e sceneggiatori
è carnoso d’una carnosità maschia
e sessuata. Presente d’una presenza
che puzza, sporca, invade,
preoccupa. Deficitario più d’ogni altra
cosa di divino. Ingombrante come
un cane trovatello troppo cresciuto rispetto
alle attese di chi lo raccolse
dalla strada. Adottammo gli angeli
per farne una scintilla di grazia nel
pensiero occidentale abbrutito dalla
razionalità assolutizzata. E ci svegliamo
oggi circondati da saggi e romanzi
in cui gli angeli sono creature semiselvagge,
inarrestabili come centauri,
incomprensibili come bambini, innamorati
come teenager. In due parole,
creature pagane.
Si può cominciare, dicevamo, con
una piccola ferita. Nella minuscola
schiena bianca di un neonato. Il bimbo
perde sangue e macchia le lenzuola.
Poi due gobbucce sporgono al posto
delle scapole e intanto il carattere
si fa più irritabile, più irritabile di
quello di un qualsiasi bimbo che metta
i dentini. Ma quando al posto di
quelle protuberanze si palesano due
alucce da pollo ancora implumi, ecco
che il pensiero va subito alla trasformazione
angelica. Diventare angeli,
angeli materiali, è una malattia, suggeriva
“Ricky”, il film di François
Ozon di qualche mese fa. Avere ali è
vergogna e maledizione e librarsi solo
occasione di raduno per qualche telecronista
a corto di omicidi. Il baby-angelo
di Ozon non solo non riesce ad
entrare in contatto nemmeno con sua
madre, non solo assomiglia a una zanzara
gigante che terrorizza i clienti di
un supermercato, ma è davvero corpo
estraneo in un mondo tanto più normale
quanto più secolare, attento soltanto
alla mutazione, come se farsi angeli
potesse essere una nuova declinazione
di transgenderness.
Angeli, dunque. Dov’è la novità? Se
ne parlò molto, negli anni Novanta,
forse perché stava per avvicinarsi la fine
del millennio e sembrò necessario
compilare dei baedeker angelologici,
così da riconoscere eventualmente
quei custodi che ci avrebbero condotto
al di là nel giorno dell’Armageddon.
Guide, dovevano essere, e proliferarono
soprattutto negli Usa, ad opera di
healer specializzati in cherubinità, per
entrare in contatto con questi spiriti
alieni un po’ prima, farci riconoscere
per nome, cognome e aura, chiedere
una raccomandazione. E soprattutto
non confonderli, quell’ultimo giorno,
con i demoni. Ma ora che anche in Italia
possiamo dare un’occhiata ad “Angeli
caduti” (Bollati Boringhieri), il
nuovo breve saggio del professor Harold
Bloom che sottolinea come nel disinvolto
melting pot del sacro che pratichiamo
ormai con convinzione, ci
eravamo dimenticati che angeli e demoni,
nonostante quel che ha cercato
di farci credere Dan Brown, ci possono
ingannare sempre e ci inganneranno
quell’ultimo giorno e molti altri, la
questione si fa, per così dire, accademica,
anzi canonica.
“All’approssimarsi del nuovo millennio
la nostra ossessione per gli angeli
si è intensificata. Questi angeli popolari
sono benigni, direi banali, quasi
insipidi” attacca Bloom nelle prime
pagine del suo volumetto, che nell’edizione
americana è pregevolmente illustrato
con coloratissime “Illuminations”
di angeli e umani a cura di
Mark Podwal. “Per la maggior parte di
noi, l’angelo caduto per antonomasia è
Satana, o il Diavolo, la cui iniziale storia
letteraria è decisamente in contrasto
con la sua perdurante celebrità…
Il Libro di Giobbe esordisce con un
angelo chiamato ‘il satana’ – una specie
di pubblico ministero di Dio, o denunciatore
dei peccati – che entra alla
corte divina e fa una scommessa con
Dio… Il primo Satana, quello di Giobbe,
sembra il capo dei Servizi Segreti
di Dio, e promette molto male per il
povero Giobbe… Nella Bibbia ebraica
dunque appare la parola satan, ma decisamente
non appare Satana – angelo
caduto, diavolo e principe dei demoni.
Il Satana vero e proprio, quello che acquista
un ruolo cruciale nella cristianità,
non ha origini ebraiche ma persiane,
fu un’invenzione di Zoroastro
(Zaratustra), dunque anteriore di oltre
mille anni l’epoca del Gesù storico”.
Se tutto ciò che manca di divino è demoniaco,
atroce è quando non riusciamo
più a distinguere, in una creatura,
le componenti approvate dal Padre e
quelle suggerite da Mammona. Dall’incipit
di Bloom si evince ancor più che
il ruolo di Satana stesso come rovescio
della medaglia angelica è un’invenzione
satanica (“Vanità, il mio peccato
preferito” serpentava Al Pacino-Anticristo
nell’ultima inquadratura de
“L’avvocato del diavolo”). Il principe
dei demoni non è un angelo caduto o
almeno non secondo la tradizione cristiana.
E dunque perché non lo trattiamo
come qualsiasi altro orco, gnomo,
mago o eretico? Perché attribuiamo ai
demoni discendenze angeliche?
“Satana – grandioso amalgama di
angelo caduto, demone e diavolo – ci
disturba poiché avvertiamo quanto intima
sia la nostra relazione con lui”,
spiega il più grande critico letterario
americano vivente. “Ho il sospetto che
tutti noi, senza eccezioni e senza distinzioni,
abbiamo atteggiamenti molto
ambigui nei confronti dell’idea di
angelo caduto – molto più ambigui, comunque,
che verso quella di diavolo,
per non parlare di quella di demone e
demonio”. Secondo Bloom, se qualcuno
ci dice: “Sei un diavolo!”, o ci descrive
come “un diavolo d’uomo” oppure
“diavolo d’una donna”, non sempre
ci offendiamo, ma comunque proviamo
un certo disagio. Forse dovuto
all’impressione, o alla dottrina, che
apparire come un diavolo significhi
anche essere in qualche modo “posseduti”
da una forza che non possiamo
controllare e dunque compiere prima
o poi, anche se “simpaticamente”,
azioni malvagie. Ma il creatore del
“canone occidentale” sostiene che si
verifichi una reazione sorprendente,
eppure comune, nel caso che invece ci
sentiamo definire “angeli caduti”:
“Non conosco molte persone – personaggi
letterari o della vita reale – che
non siano lusingate se viene loro attribuita
la qualifica di ‘angelo caduto’.
L’espressione ‘angelo caduto’, anche
se dal punto di vista teologico è identica
a ‘diavolo’ e in certi casi a ‘demone’,
conserva un pathos, una dignità e
un fascino singolari. In un certo senso
l’aggettivo qualificativo non cancella
il sostantivo: seppure caduto, resta
pur sempre un angelo”.
Certi angeli oggi cominciano con
una piccola ferita. Altri spostando oggetti
e facendo di tutto pur di rendersi
visibili, carnali. Appunto, carnali: questa
sembra essere l’aspirazione degli
angeli contemporanei. Non messaggeri,
non tramiti con Dio, non salvatori di
anime smarrite, ma sperimentatori,
anche infinitesimali, di terrestrità. E
senza le lagne degli angeli anni Ottanta
e Novanta, che nei film e nei libri
scendevano in terra e non volevano
più risalire. Ma con passione, visceralità
e noncuranza che ci assomigliano
troppo per non essere nostre, di noi
che non osiamo più nemmeno immaginarlo,
figuriamoci indagarlo, il sovrannaturale,
e perciò sempre più lo riduciamo
a nostra somiglianza: “Gli angeli
– caduti o meno – hanno per me un
significato solo se rappresentano qualcosa
che era nostro e che abbiamo il
potenziale di ridiventare” chiosa ancora
Bloom nel suo saggio. “Coloro che
definiamo schizofrenici erano un tempo
chiamati angeli: forse dovrebbe essere
ancora così, benché questo certamente
non significhi che la malattia
mentale sia un mito, o non si debbano
trovare le cure adatte. L’alterità è l’essenza
degli angeli; ma è anche la nostra.
Il Museo Vaticano colleziona angeli.
Ciò che il Vaticano e la religione
americana non accetterebbero è la
mia crescente convinzione che tutti gli
angeli, considerati dalla prospettiva
dell’essere umano – che è poi la prospettiva
shakespeariana –, siano ormai
necessariamente angeli caduti. Ogni
angelo è terrificante, scriveva il poeta
Rilke, che non si era trovato di fronte
a uno schermo sul quale saltella l’angelo
John Travolta”.
E’ dunque questo il motivo per cui
le rappresentazioni d’angeli che ci
circondano in questa fine degli anni
Dieci son così umani e carnali. Carnali
e baciabili, infine. Da un bacio nascono
i vampiri di “Twilight” e tutta
la generazione che li idolatra. E solo
fino ad un bacio arrivano gli angeli di
Elizabeth Chandler, che stanno per
sostituirli tra i teenager nell’immaginario
anglosassone (non è che di vampiri
non si fosse mai parlato. La novità
è stata metterli tra noi, belli come
noi e desiderosi d’essere noi. Renderli
noi. Irriconoscibili come vampiri e
dunque baciabili, appunto). Come
teenager gli angeli custodi da un milione
di copie del suo “Baciata da un
angelo” – in Italia è appena uscito il
secondo volume della trilogia per
Newton Compton – sono passibili
d’essere oggetto d’un amore che non
muore e come teenager hanno una
missione impossibile, una missione
che appena il Paradiso si allontana
lascia spazio al flirt.
Quale abisso rispetto agli angeli della
patristica e della scolastica, individuati
dallo pseudo-Dionigi a Tommaso
come ministri del mondo e dimenticati
nelle narrazioni come si dimenticano
gli anonimi burocrati che reggono
anagrafici destini compilando carte
come le Parche cuciono: “Non soltanto
la trattazione più ampia che Tommaso
dedica all’angelologia è parte integrante
della sezione della ‘Summa
theologica’ dedicata al governo del
mondo” spiega Giorgio Agamben nell’introduzione
al suo nuovo “Angeli”
(Neri Pozza), duemila pagine di saggio
che risarciscono quella schiera di esseri
alati burocrazia celeste e milizia
divina ormai così lontani dalla nostra
sensibilità angelologica, “ma gli stessi
nomi delle gerarchie angeliche coincidono
fin dall’inizio in buona parte con
la terminologia del potere: “Dominazioni,
principati, potestà, troni”; non
solo il trattato dello pseudo-Dionigi sugli
angeli s’intitola “Del sacro potere
(tale è il senso originario della parola
“gerarchia”) celeste”, ma le stesse gerarchie
del potere terreno, tanto ecclesiastico
che profano, si presentano
puntualmente come un’imitazione di
quelle angeliche. La stessa terminologia
della pubblica amministrazione
moderna trova nell’angelologia la sua
prima formulazione a proposito degli
“uffici”, dei “ministeri” e delle “missioni”
dei funzionari celesti: non solo
il concetto di gerarchia è un’invenzione
dello pseudo-Dionigi, ma anche il
termine “ministero” assume per la prima
volta il significato moderno di “insieme
degli uffici e dei funzionari” in
una lettera di san Girolamo, in cui egli
chiede: “Quando Dio ha posto in essere
i troni, le dominazioni, le potestà,
gli angeli e tutto il ministero celeste”.
Gli angeli che oggi raccontiamo caduti
(a Los Angeles, dove sennò?) ci
obbligano invece a distinguerli subito
per ferite grandi, e gesti sanguinari.
Come accade nel supernatural action
thriller “Legion”, il film con Paul Bettany-
arcangelo Michele appena uscito
negli Usa guadagnandosi la “R” per
scene e linguaggio violenti, che da noi
arriverà il 12 marzo. Un arcangelo leader
di guerrieri umani, che sul manifesto
regge un pugnale nella destra e
un mitra nella sinistra. Un arcangelo
da palestra, con una tartaruga di muscoli
molto più eccitante delle ali. Un
arcangelo ribelle, che alla volontà punitrice
di un dio precristiano che ha
perso fiducia nel genere umano (in
realtà la sceneggiatura direbbe più o
meno “Un dio sfinito da tutte le nostre
stronzate”) e del suo arcangelo antagonista
e vendicatore Gabriele, spedito
sulla Terra a far di noi carne da macello,
decide di opporre una volontà
troppo umana e di proteggere dalla
furia del Padre una donna incinta che
porterebbe in grembo il Messia.
Il protoangelo caduto che ha aperto
la strada a questa nuova schiera, in
cui delle ali si sente il battito pesante
e il palpito animale, in cui le piume
non sono bianche e per la prima volta
si pensa che dentro vi scorre il sangue,
in cui l’angelo ha sesso, fa sesso e
cerca sesso, è stato senz’altro quello
concepito da Tony Kushner per i suoi
“Angels in America”, classico degli
anni Novanta che a rivedersi oggi risulta
non solo apripista di un’angelicità
bestiale, ma voragine centripeta
di umori e secrezioni di migliaia di
corpi umani malati e dunque “caduti”,
alla vita e alla speranza: “Angels
in America (1992) di Tony Kushner è
l’esempio più recente di che cosa significhi
dire che noi tutti siamo angeli
caduti” scrive Bloom. “Gli angeli di
Kushner sono stati abbandonati da
Dio e decidono di fargli causa per diserzione.
Sfortunatamente per noi,
Dio ingaggia come avvocato difensore
il satanico Roy Cohn (di nuovo Al Pacino,
nella versione cinematografica,
ndr), e così gli angeli perdono la causa.
Come parabola della nostra attuale
situazione, la visione di Kushner è
magnificamente appropriata”
Ma ancora da più lontano cadono
gli angeli fatti di fiction e poesia, sebbene
poi di questo precipitare si sia
persa la rotta per quasi due puritanissimi
secoli. Meravigliosamente ambiguo,
incestuoso, sadomasochista, omosessuale
e fatale per le donne: è a Byron
che Bloom fa risalire il vero, il nobile
“fallen angel”. Morì a trentasei
anni mentre capitanava la rivolta di
un gruppo di briganti, ma rivisse in
migliaia di volti e gesti e specchi decadenti
e diabolici, non ultimi, sempre
secondo Bloom, quelli delle rockstar
inglesi, parodie spesso inconsapevoli
del poeta che spiegò ottenebranti e
carismatiche ali miltoniane sulla sua
vita e sulla sua morte.
Sminuire il fascino di Satana è un
altro dei compiti di maestro Bloom:
non è granché, né per imprese, né per
rilevanza nelle scritture. La verità è
che noi cattolici abbiamo “bisogno” di
lui, tanto più quanto siamo più ortodossi
(per i particolarmente rigidi, si
consiglia un’occhiata a “666. Io sono il
diavolo”, bestseller british di Glen
Duncan tradotto da Newton Compton
che sta per diventare “I, Lucifer”, film
di Dan Harris con un papabile Ewan
McGregor protagonista: Dio dà al diavolo
un’ultima possibilità di redezione
sulla terra e il diavolo, naturalmente,
si monta la testa e si sente subito
umano). Adamo, prosegue Bloom, era
un angelo caduto ben più grande di
Satana ed è quella la discendenza che
ci assomiglia così tanto agli angeli caduti.
A loro per la carne, “agli angeli
per l’intelligenza”, come scriveva
Shakespeare. A loro per il peccato,
agli angeli per la poesia. E così gli angeli
ci proteggono, mentre gli angeli
caduti ci stanno accanto, sprezzanti e
muscolari, potentissimi e inerti alla
salvazione. Sgradevoli, inopportuni,
peccatori. E lo spavento che ci fanno è
il ricordo che risvegliano, la nostra
mortalità. Come conclude Bloom: “I
nostri impulsi più creativi ci spingono
verso un confronto con lo specchio
della natura, dove contempliamo la
nostra immagine, ce ne innamoriamo,
e ben presto prendiamo coscienza
della morte. Sebbene io attribuisca a
tale angelicismo il carattere della ‘caduta’,
esso è la condizione inevitabile
ogniqualvolta cerchiamo di creare
qualche cosa di nostro, si tratti di un
libro, di un matrimonio, di una famiglia,
dell’opera di una vita”.
Il Foglio 13 febbraio 2010