La "Friend addiction" che impazza tra i social network, insomma, non può essere sterminata. Facebook, MySpace e Bebo vedono ogni giorno migliaia di utenti scambiarsi richieste d'amicizia, parte delle quali sono però destinate a perderesi nell'oblìo. I risultati preliminari della ricerca condotta da Robin Dunbar, della Oxford University, ne riconducono la causa alla natura (ed ai limiti) della neocorteccia cerebrale. In sostanza, i nostri mondi sociali sono contesti molto piccoli e, anche se internet offre la possibilità di interagire, di inviare cartoline virtuali e di avere 1500 amici, non si distacca di molto dalla realtà virtuale. Insomma un avatar, secondo lo studio inglese, ha le stesse abitudini e attitudini di una persona in carne ed ossa, perché il cervello che deve gestire i due mondi è comunque lo stesso e le sue capacità sono limitate proprio dalla sua struttura fisica.
Per arrivare a queste conclusioni, lo psicologo inglese Robin Dunbar ha confrontato il "traffico online" di chi accumula migliaia di contatti con quello di chi si limita ad avere appena qualche centinaio di amici. Risultato? "Le differenze non sono degne di nota". Non solo, la quantità di amici "gestibili" è la stessa dal Neolitico a oggi. La ricerca infatti rappresenta l'evoluzione di uno studio sulle relazioni sociali che aveva impegnato Dunbar nel corso degli anni Novanta. Esaminando le dinamiche sociali di gruppi di adolescenti, di ambienti di lavoro e delle tribù preistoriche, lo psicologo inglese ha osservato che in qualsiasi contesto e periodo storico gli esseri umani riescono a mantenere relazioni significative con un massimo di 150 individui.
Ma come avviene la selezione? Si predilige la persona con cui si condivide un contesto sociale, quella con cui si ha un impegno di lavoro, mentre resta in disparte chi non è tra gli amici della vita lontano dagli schermi. Si possono ricordare nomi, storie e volti, ci si può anche scambiare qualche parola in chat saltuariamente - scrive Dunbar sul Timesonline - ma c'è anche una gerarchia tra i 150. Ognuno di noi ha cinque persone più intime, seguono quelli con cui si hanno rapporti nella vita reale". Un altro dei criteri di classificazione, poi, è la parentela. Il numero di amici è inversamente proporzionale a quello dei familiari. E così, maggiore è il numero di cugini, genitori e fratelli, minore è quello degli amici presenti nella classifica dei 150. E questo succede soprattutto per chi proviene da grandi famiglie allargate. Mentre i compagni del liceo restano generalmente un nome su una lista.
Lo studio rivela inoltre che le donne sono più brave a coltivare le amicizie su Facebook, alimentandole con tante chiacchiere virtuali, "mentre i maschi hanno più bisogno di fare cose insieme". La conclusione è che alla fine il cervello riesce a memorizzare meglio - e predilige - le persone con cui si hanno rapporti reali. "Un tocco vale più di mille parole", dice Robin Dunbar. Possiamo avere 1.000 nomi sul nostro profilo, ma senza un contatto in carne e ossa non si va avanti. È come se, nel ribadire il predominio della vita reale su quella virtuale, il nostro cervello facesse una scelta obbligata.
"Nella vita reale - spiega la dottoressa Mirella Galeotta, responsabile dell'unità operativa di neuropsichiatria infantile dell'ospedale Moscati di Avellino - si ottengono segnali comportamentali anche dai gesti. Ma soprattutto i rapporti si costruiscono perché si ha in comune qualcosa, un oggetto concreto, che può essere rappresentato a livello inconscio". In altre parole quando c'è qualcosa di reale che ci lega a un'altra persona il rapporto è tanto autentico da poter continuare anche nel mondo virtuale. Mentre è più difficile che accada il contrario. Così finisce che i nostri migliori amici su Facebook sono in genere quelli che incontriamo tutti i giorni. "Quando invece un'amicizia nasce sul nulla - conclude la Galeota - è anche più difficile da coltivare".
La ricerca, che sarà pubblicata entro l'anno, è stata salutata con soddisfazione da studiosi come David Smallwood, psicologo britannico esperto in dipendenze, che già aveva messo in guarda gli amanti di Facebook contro la "Friend addiction", definendola una sorta di inutile corsa ad accumulare sempre più amici nel tentativo di apparire più popolari e di successo.
© La Repubblica (08 febbraio 2010)