DISCERNERE
Uno sguardo profetico sugli eventi
Il cristianesimo, la filantropia e una lettera di Arturo Carlo Jemolo
L'insegnamento cattolico è molto mutato da quando ero bambino, in cui s'insegnava che c'era una unica via per giungere a Dio; oggi si ammette che ci sono molti accessi a Dio, se pure non ne pronunciano mai il nome, anzi ne neghino la esistenza. Vogliamo dire che cioè un unico bene assoluto che vale per tutti i movimenti e che consiste nell'amore, nell'aiutare gli altri, nel compatire, e ci sono poi tante strade, di cui il cristianesimo è una? Diciamolo pure, ma non chiamiamo cristianesimo la filantropia, né altri movimenti e non vogliano i filantropi turbare confondendo le idee quelli che ricordano che Cristo disse che il suo regno non era di questa terra, mentre da tutto il suo insegnamento emerge chiaro che quello che contava per lui era l'uomo interiore. Che l'assetto sociale d'ieri e di oggi presenti grosse tare e iniquità, non è dubbio; ma mi fa paura anche chi vuole distruggere senza piano per riedificare e tanto più quando dinanzi a lui ha una visione utopistica. Dio si presenta come salvatore, venuto a liberare il suo popolo dalla schiavitù; si è errato per secoli, soggiungendo dalla schiavitù del peccato, della concupiscenza, degli aspetti carnali e dovremo invece interpretare: dalla schiavitù del non avere la indipendenza economica, le piccole comodità, che debbono essere comuni a tutti? Scompaia il ricco; anzi ritengo una delle brutture del nostro tempo che alla scomparsa dei ricchi di vecchio stampo, proprietari terrieri, patrizi con tradizioni eccetera si accompagni un tumultuoso irrompere di ricchi avventurieri, spietati, senza alcun principio di bene o di male. Chi è cristiano non può tuttavia dimenticare che Cristo cenò anche alla tavola dei ricchi e che la Sindone, in cui credo, è il lenzuolo donato da un ricco. Cristo non aveva per i ricchi i sentimenti del contestatore di oggi. (27 marzo 1972)
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