Roma. Il suo blog ufficiale è fermo da
un mese esatto, appena prima che scoppiassero
le polemiche sullo sciogliemento
dei ghiacciai dell’Himalaya che invece
adesso non si sciolgono più. Nel suo ultimo
post Rajendra Pachauri si lamentava
degli scarsi risultati prodotti dal vertice
sul clima di Copenaghen, da lui fortemente
voluto e sostenuto e nei fatti miseramente
fallito. Occhio spiritato, fare da guru
e un riporto di capelli che sfida le leggi
della fisica, l’indiano Pachauri è il presidente
dell’Ipcc, il panel di scienziati dell’Onu
che studia i cambiamenti climatici.
Come scritto dal New York Times, Pachauri
sembrava destinato alla santità scientifica,
dopo che i report del suo Ipcc erano
diventati il libro sacro del catastrofismo
climatico, quando qualcosa si è rotto. La
questione himalayana è stato l’ultimo atto
di una rappresentazione tragicomica finita
male, quella dell’infallibilità della climatologia
applicata alla fine del mondo
per autocombustione causata dalle emissioni
umane di CO2. Ora in molti da tutto il
mondo chiedono le sue dimissioni, vista
l’imprecisione di troppe previsioni. Pachauri
resiste, però, e grida al complotto
degli scettici ai suoi danni. Perché se al
complotto gridano i “negazionisti”, sono
dei paranoici, se lo fai lui è perché le compagnie
petrolifere vogliono rovinarlo.
Il bello è che Pachauri non è nemmeno
uno scienziato. Ex ingegnere ferroviario,
pare che il vincitore a metà con Al Gore
del Nobel per la Pace del 2007 abbia messo
insieme uno grosso portfolio di interessi
affaristici con realtà che investono miliardi
di dollari in organismi che dipendono
dalle decisioni e dalle politiche dell’Ipcc.
Una lunga inchiesta del Daily Telegraph
di qualche settimana fa avrebbe
svelato la rete costruita da Pachauri in
questi anni grazie a Teri, un istituto di ricerca
sull’energia di cui lui è presidente
dagli anni Ottanta, politicamente molto
potente in India e nel mondo. Questo Teri,
che all’inizio faceva affari grazie al petrolio
e al carbone, starebbe portando avanti
alcuni progetti finanziati da Onu e Ue per
combattere il riscaldamento globale. Quel
riscaldamento globale agitato da tempo
come spauracchio proprio dall’Ipcc. Non
si contano poi le poltrone occupate da Pachauri
negli istituti più disparati, ha scritto
sempre il Telegraph, non ultima la Banca
del clima di Chicago, quella che gestisce
lucrosi scambi di diritti di emissioni
dei gas serra tra paesi. Pachauri ha negato
tutto, e per questo non vuole dimettersi
dall’organismo delle Nazioni Unite che
determina la principale corrente di pensiero
sul clima a livello mediatico e politico.
“Senza l’Ipcc nessuno sarebbe preoccupato
del cambiamento climatico”, ha
detto, così chiarendo involontariamente la
funzione del panel che fa le previsioni sui
ghiacciai basandosi su tesi di laurea e ricordi
di qualche alpinista: preoccupare la
gente intorno a una cosa che c’è sempre
stata e di cui l’uomo non si è mai preoccupato,
perché abituato a conviverci dall’inizio
del mondo, il clima che cambia.
In uno dei rari commenti al suo blog, un
lettore lo paragona a Cristo, Gandhi, Socrate
ed Edgar Allan Poe per le critiche e
le persecuzioni che sta subendo in questi
giorni. Lui prosegue la sua missione salvifica
e ha già pronti “nuovi strumenti” da
usare contro il global warming: “I bambini”,
come ha detto in un’intervista ad Al
Jazeera. Più facili da indottrinare (quando
non già indottrinati da programmi e libri
per l’infanzia iper ambientalisti), i bambini
sono la speranza della lotta alla CO2.
Forse perché i suoi vecchi strumenti, i media,
gli credono sempre di meno.
Piero Vietti
© Copyright Il Foglio 19 febbraio 2010