ROMA, lunedì, 22 febbraio 2010 (ZENIT.org).- "L'America è una nazione con l'anima di una Chiesa", ha detto una volta lo scrittore e giornalista inglese Gilbert K. Chesterton. E infatti Dio compare nel motto riportato sui dollari e nella formula del giuramento alla bandiera che i bambini prestano a scuola, e a lui è dedicata la più americana delle feste, il Thanksgiving Day.
Ogni nuovo inquilino della Casa Bianca, inoltre, è chiamato a giurare invocando l'aiuto di Dio e molti di loro nella storia del Paese hanno fatto un continuo richiamo alla religione per giustificare le decisioni più importanti. Ma che fisionomia ha il Dio del primo presidente afroamericano degli Stati Uniti? E soprattutto, quanto le sue convinzioni religiose trovano riflesso nella sua azione politica?
A rispondere a queste e altre domande ci pensa ora un saggio dal titolo ''Dio e Obama. Fede e politica alla Casa Bianca'' (Effatà Editrice), scritto da Alessandro Gisotti, 35 anni, redattore del Radiogiornale di Radio Vaticana, che insegna giornalismo all'Istituto Massimiliano Massimo di Roma e si è occupato di politica americana per la rivista "Ideazione" e per il quotidiano "L'Indipendente".
Il libro ripercorre la complessa parabola personale di Barack Obama: dall'adolescenza nel melting pot hawaiano e dallo scetticismo religioso respirato in famiglia, alla difficile ricerca di una identità, lui che è figlio di un emigrato africano e di una donna bianca di provincia, fino all'adesione al cristianesimo afrocentrico della Trinity United Church of Christ di Chicago.
Un vita quella di Obama ricalcata sui grandi ideali della nuova frontiera e del sogno americano, sulla scia di Kennedy e di Martin Luther King; e una fede nutrita con gli scritti di Sant'Agostino, dei teologi della Liberazione e del teologo protestante Reinold Niebuhr.
Nel volume Gisotti indaga con scrupolo giornalistico la capacità di Obama di intercettare la sensibilità dell’elettorato religioso ma anche la sua posizione non sempre lineare su questioni come l'aborto, che lo vedono da una parte fautore di una sua sostanziale liberalizzazione e dall'altra favorevole a una sua limitazione.
Il Dio di Obama che emerge, scrive Gianfranco Fabi nella prefazione, "è semplicemente un Dio contemporaneo, un Dio che parla all'uomo d'oggi e che propone non tanto delle certezze, ma un cammino, un difficile cammino comunque di fede".
Per approfondire alcuni dei temi evidenziati nel libro, ZENIT ne ha intervistato l'autore.
Quali sono le differenze che separano l'ex presidente Bush da Obama nel loro modo di approcciarsi alle diverse religioni e qual è la portata innovativa di alcuni gesti di apertura compiuti da Obama nei confronti dell'Islam?
Gisotti: Con una formula estremamente sintetica, si potrebbe dire che George W. Bush ha una visione più identitaria del fenomeno religioso, mentre Barack Obama punta più sull'aspetto del dialogo e dell'inclusione. Pensiamo, per esempio, allo storico discorso rivolto al mondo musulmano, all'università Al Azhar del Cairo. Ovviamente su questi differenti approcci influisce molto la storia personale e non solo politica dei due personaggi. Nel mio libro, tuttavia, riprendendo Alexis de Tocqueville, tengo a sottolineare che in America la religione è considerata come la "prima delle istituzioni politiche". Un dato che, nonostante i profondi cambiamenti avvenuti nel tempo, è tuttora condiviso e riconoscibile nell'America del XXI secolo. Ancora oggi, i sondaggi ci dicono che il 92 per cento degli americani crede nell'esistenza di Dio. Dunque, per dirla con una battuta: che si tratti di un presidente democratico o repubblicano, Dio è sempre presente alla Casa Bianca.
Alcuni organi d'informazione hanno parlato in passato di divergenze di giudizio tra la Santa Sede e i vescovi statunitensi circa la presidenza di Obama. Lei cosa ne pensa?
Gisotti: Credo che sarebbe forse più giusto parlare di divergenze di giudizio, di sensibilità, di singoli esponenti del mondo cattolico. Sappiamo per esempio del confronto a distanza tra il cardinale Georges Cottier e l'arcivescovo di Denver, Charles J. Chaput. Come anche delle critiche che, tempo a dietro, voci del conservatorismo cattolico americano, quali Novak e Weigel, hanno espresso nei confronti di alcuni articoli dell'Osservatore Romano. Detto questo, l'udienza di Benedetto XVI ad Obama, il 10 luglio del 2009, è stata davvero molto significativa. Il Pontefice ha messo l'accento sulla difesa della vita e dell'obiezione di coscienza per gli operatori sanitari. Temi questi che stanno particolarmente a cuore al Papa e che sono difesi con forza e passione dall'episcopato Usa. Al contempo, ha rivolto l'attenzione alle politiche per gli immigrati, alla pace in Medio Oriente e al dialogo interreligioso. Prospettive su cui si registrano delle importanti convergenze tra Vaticano e Casa Bianca. Insomma, un incontro all'insegna della franchezza. Qualche mese dopo quell'udienza, nel discorso al nuovo ambasciatore americano presso la Santa Sede, Miguel Diaz, il Papa ha ribadito che c'è un vincolo indissolubile tra etica della vita e ogni altro aspetto dell'etica sociale. La domanda mi spinge anche a fare una considerazione di carattere generale. Come è noto, Obama ha sempre espresso posizioni favorevoli all'aborto, alla ricerca sulle cellule staminali e, seppur con dei distinguo, alle unioni omosessuali. Al tempo stesso, però, Obama appare, soprattutto al di fuori degli Stati Uniti, come un uomo capace di dialogare con diverse istanze culturali, politiche e religiose. Un presidente americano sinceramente impegnato a promuovere la causa della pace. Ritengo che, proprio alla luce di questa ambivalenza del messaggio politico di Obama, si possano leggere le diverse valutazioni e, conseguentemente, divergenze di opinione nei suoi confronti, presenti non solo in ambito cattolico.
Obama viene sempre dipinto come un politico dai tratti spiccatamente liberal eppure si è mostrato recentemente molto sensibile ai problemi delle famiglie, approvando delle misure di sostegno a favore della middle class con un incremento dei bonus fiscali per la cura dei figli e agevolazioni previdenziali per gli anziani. Tra l'altro, in un discorso pronunciato nel 2008, in occasione del Father's Day, aveva sottolineato che, di tutte le rocce sulle quali costruiamo la nostra vita, la famiglia è quella più importante, aggiungendo a braccio che queste fondamenta devono poggiare su Cristo...
Gisotti: Da senatore dell'Illinois e nella breve esperienza da senatore a Washington, Barack Obama è stato sicuramente un liberal, un politico progressista. Nella campagna presidenziale, ha però impresso una decisa virata verso il centro, "corteggiando" quella "middle class" che è fondamentale per vincere le elezioni negli Stati Uniti. Del resto, già nello storico discorso pronunciato alla Convention democratica di Boston nel luglio del 2004, Obama si era proposto come un politico "uniter", in grado di perseguire il bene comune con spirito bipartisan, anche in forza della sua birazzialità. Dunque, un liberal attento alle esigenze dei conservatori. A poco più di un anno dall'inizio del mandato presidenziale, vediamo però che questa ricerca di un "terreno comune" si rivela difficile. Prendiamo, ad esempio, il caso della riforma sanitaria, dove assieme al presidente anche il Congresso ha una grande responsabilità decisionale. Da decenni, i vescovi americani auspicano che vengano garantite cure adeguate alle fasce deboli, poveri ed immigrati, oggi esclusi. Tuttavia, hanno sempre sottolineato che non avrebbero mai accettato una riforma sanitaria che prevedesse il finanziamento pubblico delle pratiche abortive. L'aborto, vale la pena di ricordarlo, è un "male intrinseco" per la dottrina della Chiesa. Di qui, la delusione e il comprensibile rammarico per il testo approvato dal Senato che prevede, appunto, una copertura degli aborti con fondi federali. D'altro canto, per Obama non mancano i problemi anche con l'elettorato progressista, che pure lo ha appoggiato con entusiasmo durante la campagna elettorale. Per restare al tema del mio libro, l'ala sinistra del Partito Democratico non ha affatto gradito la decisione di Obama di mantenere l'Ufficio per le attività caritatevoli religiose, istituito da Bush. Per gli ultraliberal, l'Ufficio è uno strumento che viola il principio di separazione tra Stato e Chiesa. Obama vede invece questo organismo come uno strumento per mettere assieme le energie migliori della società, religiose e laiche, al servizio del bene comune.
Qual è il rapporto di Obama con la preghiera?
Gisotti: Il 4 febbraio scorso, partecipando alla National Prayer Breakfast, un evento nato nel 1952 su iniziativa del presidente Eisenhower, Barack Obama ha confidato ai leader religiosi e politici presenti di pregare molto. Ed ha aggiunto che per lui è importante pregare nei momenti difficili come in quelli felici. Obama, lo si coglie bene nei suoi due libri autobiografici, Dreams from my Father e The Audacity of Hope, è affascinato dalla forza che la fede sprigiona per trasformare la società. Ha come punto di riferimento i Padri dell'Indipendenza e ancor più Abraham Lincoln e Martin Luther King. Questi due personaggi, ha affermato una volta in campagna elettorale, non erano solo motivati dalla fede ma si servivano ripetutamente del linguaggio religioso per sostenere la propria causa. Ecco perché così frequentemente Obama ricorre a passi tratti dalla Bibbia. Anche in questo caso, tuttavia, Obama, pur con i suoi innegabili tratti di novità, si inserisce in una lunga e consolidata tradizione che accomuna gli inquilini della Casa Bianca, da George Washington in poi. Basti pensare che su 44 presidenti, solo tre non hanno mai detto apertamente a quale religione appartenessero, ma nessuno si è mai azzardato a professarsi ateo. In fondo, e non è un dettaglio da poco, la formula di giuramento presidenziale si conclude con un beneaugurante So help me God, "Che Dio mi aiuti".
[“Dio e Obama. Fede e politica alla Casa Bianca” verrà presentato mercoledì 3 marzo 2010, alle ore 17:30, presso la Libreria AVE (via della Conciliazione 12, Roma). Insieme all'autore interverranno: Lawrence E. Gray, docente di Scienze Politiche alla John Cabot University; Paolo Mastrolilli, caporedattore de “La Stampa”; Michele Zanzucchi, direttore della rivista “Città Nuova”. Modererà Fabio Colagrande, giornalista della Radio Vaticana]