Il Papa ha di nuovo parlato della vita
umana, sabato scorso, e non si è limitato
a ripetere cose note, giudizi della chiesa
che confortano chiunque sia convinto,
quali che siano la sua fede o la sua cultura,
della grave deriva manipolatoria in atto
e delle inaudite conseguenze con le
quali già infelicemente conviviamo. In polemica
con un criterio relativistico per le
legislazioni e per la statuizione dei diritti,
Benedetto XVI ha suggerito il carattere di
“catalizzatore del consenso” per la legge
morale naturale, che filosoficamente è
l’altra faccia della legge di ragione. E’ insomma
necessaria “una istanza di vero
giudizio etico razionale per perseguire il
bene ed evitare il male”, in mancanza della
quale società e mondo restano profondamente
e disperatamente divisi nel fondamento.
Vogliamo dirlo con altra formula, apparentemente
più accettabile in una cultura
liberale, anglosassone? Il Papa predica il
“senso comune”. Predica il rispetto del dato
di esperienza, la sua morale razionale
naturale non è un’astrazione teoretica venuta
da chissà quale metafisicheria cattolica,
è al contrario un metodo veritativo
che fa parte del meglio della cultura epistemologica
moderna, che appartiene al
nostro modo di conoscere. Non ogni fenomeno
è definibile in base al senso comune,
questo è ovvio, ma non c’è agire intellettuale,
non c’è ricerca, non c’è cultura né
scienza senza un costante riferimento alla
capacità di selezionare ciò che è comune
a diverse relazioni tra il soggetto e differenti
dati tratti dall’osservazione e dalla
pratica di senso.
Il senso comune è anche uno straordinario
vettore di libertà e di ardente furore
politico per la giustizia. Thomas Paine,
che nel 1776 scrisse un opuscolo in cui
rompeva con il costituzionalismo moderato
e diffondeva un’idea repubblicana moderna,
quella che poi ebbe la meglio nella
rivoluzione americana, all’inizio voleva intitolarlo
“Plain Truth” ovvero “La verità
pura e semplice”: il titolo del pamphlet
scelto alla fine fu “Common Sense” cioè
“Senso comune”. Il talento semplificatore
del giovane pensatore e combattente rivoluzionario
gli consigliava di mettere ai primi
posti del decalogo di giustificazione
dell’indipendenza americana dalla madrepatria
questo assioma di speciale gusto
commonsensical, e di brillantissima fattura
logico-letteraria: come può un’isola dominare
un continente?
Come può quel “feto” fotografato nel seno
di una donna incinta non essere un
bambino? Come si può convivere con la
produzione di embrioni umani, e con la loro
macellazione a scopi di ricerca, senza
svalutare vita e diritti della persona, dignità
dell’esistere? Non hanno forse ciascuno
una propria struttura cromosomica?
Non sono i singoli, unici, irripetibili Sé, e
progenitori del nostro stesso Sé, che la cultura
dei diritti dovrebbe rispettare universalmente,
senza eccezioni, per principio?
Ecco. Quando penso ai finti liberali, alle
varie Bonino (orrore! orrore!), a chi vuole
darci a bere la favola umanitaria dell’abolizionismo
nel campo della pena di morte,
e dell’abortismo nel campo della pena
di vita, penso al senso comune e ai suoi fastigi.
E penso che bisognerebbe leggere e
rileggere le cose dette e ridette dal Papa,
in mille modi anche molto accattivanti,
pieni di senso e di buonumore, avendo bene
in mente che non si tratta di una reviviscenza
oscurantista, del dominio del corpo
femminile da parte di un’istituzione
maschile, e altre versioni di allarmante
semplicismo ma fuori dal senso comune:
no, si tratta di fenomeni che sono sotto i
nostri occhi, la cui chiarezza ed evidenza
il Papa si incarica di rendere esplicita
perché il suo mestiere, in mezzo a tanti
opachi indagatori dei misteri della fede e
dello spirito abissale, è di rendere ragione
della fede e della cultura dei cristiani (sulla
quale furono fondate fino a mezzo secolo
fa anche la fede e la ragione dei
laici liberali).
Il Foglio 15 febbraio 2010