«Un pittore valenthuomo è uno che
sappi dipingere bene et imitar bene le cose
naturali» (Caravaggio al processo per
aver diffamato il pittore Giovanni Baglione).
[1]
Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio,
milanese di nascita e figlio di un avventuriero.
La fama lo raggiunse a Roma
dove arrivò, appena ventunenne, nel
1592. Qui il potente cardinale Dal Monte
s’innamorò della sua pittura ancora
acerba. Ospitato a Palazzo Dal Monte,
realizzò su commissione alcune celebri
opere (Giocatori di carte e Suonatore di
liuto) e trovò protettori tra le famiglie
della nobiltà pontificia (Giustiniani,
Barberini, Mattei, Borghese ecc.). Il suo
carattere rissoso e impulsivo gli causò
ben presto molti guai. Aveva già alle
spalle qualche precedente penale
quando, nel 1606, uccise in una rissa un
certo Ranuccio Tommasoni. Dopo l’omicidio
si rifugiò a Napoli, dove dipinse la
Madonna del Rosario, e poi a Malta. Nell’isola
realizzò il San Gerolamo e La decollazione
di San Giovanni Battista, poi,
avendo litigato con i Cavalieri, fuggì
nuovamente. Trascorse l’ultima parte
della vita a scappare: da Siracusa a Messina,
da Palermo a Napoli. Qui venne
raggiunto, aggredito e ferito dai sicari
dei Cavalieri di Malta. Imbarcatosi per
Porto Ercole convinto che il Papa avesse
dimenticato l’assassinio commesso a
Roma, fu arrestato. Tornato libero, malato
e disperato per aver perso la barca
con tutti i suoi averi, morì a Porto Ercole
il 18 luglio del 1610. [2]
«A li 18 luglio 1609 nel ospitale di Santa
Maria Ausiliatrice morse Caravaggio,
dipintore, per malattia» (così su un foglietto
ritrovato nei registri della parrocchia
di Sant’Erasmo a Porto Ercole.
La data della morte di Caravaggio è
spostata di un anno rispetto a quella
reale perché a Porto Ercole s’usava il
calendario mariano che faceva iniziare
l’anno dal primo settembre). [3]
Merisi nacque a Milano, non a Caravaggio.
Vittorio Pìrami, pistoiese che dopo
la pensione si è messo a studiare
storia dell’arte, pochi tempo fa ha trovato
l’atto di battesimo del pittore sfogliando
il registro della chiesa di Santo
Stefano in Brolo di Milano. Al settembre
1571 si legge: «Adi 30 fu bat(tezzato)
Michel angelo f(ilio) de D(omino)
Fermo Merixio et d(omina) Lutia de
Oratoribus / compare Fran(cesco) Sessa
». Caravaggio nasce il 29 settembre
1571, giorno di San Michele. Il giorno
dopo è battezzato. [4]
Giunto a Roma, fu introdotto dallo zio
prete Ludovico presso monsignor Pandolfo
Pucci, soprannominato dal giovane
“Monsignor Insalata” perché gli serviva
verdure come «antipasto, pasto, postpasto
e companatico». Si trasferì poi
in vicolo del Divino Amore 22, in una
casa per la quale versava alla proprietaria,
Prudenzia Bruni, quaranta scudi
(il canone medio era di venti l’anno).
Quando la Bruni lo sfrattò per mancato
pagamento, fu fatto l’inventario dei suoi
beni: in un baule di cuoio nero c’erano
un paio di pantaloni e un giubbotto
stracciati, una chitarra, un violino, due
specchi, un pugnale e un paio d’orecchini,
tutti oggetti presenti nei suoi quadri.
Alla locanda del Moro alla Maddalena
(di cui non si hanno più tracce) Caravaggio
ordinò dei carciofi all’olio, l’oste
glieli portò al burro e lui glieli tirò
addosso. Il 28 maggio 1606 in una palestra
coperta a Campo Marzio, durante
una partita di pallacorda, Caravaggio
uccise un uomo. Lo Stato Pontificio lo
condannò a morte in contumacia e lui
fuggì da Roma. [5]
Passione condivisa da Michelangelo,
Cartesio, George Friederic Handel,
Johann Wolfgang Goethe, Sant’Ignazio
di Loyola: tirar di spada. [6]
Molte critiche perché i suoi santi avevano
l’aspetto di gente comune. [7] Vittorio
Sgarbi: «I personaggi di Caravaggio
sono dannati, feriti, esclusi in una sorprendente
anticipazione di Pier Paolo
Pasolini, tra ragazzi di vita e una vita
violenta. Pittore maledetto, più nelle
opere che nella vita, Caravaggio conosce
le tenebre attraversate da una luce che
indica una speranza illusoria». [8]
Picasso, che durante un viaggio in
Italia, davanti alle Stanze di Raffaello:
«Questo si può fare». Davanti a Caravaggio:
«Questo è solo cinema». Davanti
alla Cappella Sistina: «Questo è
più difficile». [9]
A 23 anni Caravaggio dipinge la Maddalena
penitente. “Capelli rosci et lunghi”,
la Maddalena fu ispirata da Annuccia
Bianchini, figlia di un bovaro arrivata
da Siena a Roma con madre e sorella
nell’inverno del 1594. Francesca
Bonazzoli: «Lena fa la puttana, come la
madre e la sorella, ma non d’infimo
rango [...] È diversa: è intelligente e a 17
anni, forse meno, è l’amante di Cesare
Barattieri, gentiluomo del cardinale
Farnese, che la introduce anche nel letto
del cardinale Alessandro Peretti
Montalto e poi in quello di monsignor
Melchiorre Crescenzi […] La notte del 2
novembre 1604 gli sbirri la sorprendono
nei paraggi della sua vecchia casa al
Corso; e sempre lì, nei pressi di quell’alcova,
il 18 novembre viene fermato
Caravaggio. […] I due giovani continuano
a vedersi perché Michelangelo non
si sta solo godendo la Lena, le sta facendo
anche il ritratto, nelle vesti della
Madonna di Loreto, e per di più assieme
al piccolo Paolo (suo figlio, ndr), che
ormai ha due anni. […] Il suo volto, e il
suo splendido collo, le gambe lunghe e
flessuose e persino il suo Paolo, il figlio
di un galeotto, sono su un altare nella
chiesa degli Agostiniani, a due passi da
piazza Navona. Tutto il popolo accorre
a vederla e fa “estremo schiamazzo”.
[…] Una bella sfida a Clemente VIII,
quei loro piedi sporchi e piagati in primo
piano, quegli stracci che indossano
come i vagabondi che il papa spedisce
nelle galere». [10]
La maturazione di Caravaggio verso
uno stile ancora più personale è evidente
soprattutto nei dipinti della cappella
Contarelli in San Luigi dei Francesi a
Roma per la quale, a partire dal 1599,
Caravaggio realizza la Vocazione di San
Matteo, il Martirio di San Matteo e San
Matteo e l’angelo. Di quest’ultimo, andato
perduto, ne esistevano due versioni:
la prima fu rifiutata perché rappresentava
un San Matteo popolano in atteggiamento
ritenuto scandaloso. Prima di
compiere quest’opera Caravaggio riceve
commissioni per due dipinti per la
cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo,
Crocifissione di San Pietro e la Conversione
di San Paolo. Anche in questo
caso il pittore interpreta gli avvenimenti
sacri come fatti semplicemente
umani, eliminando ogni richiamo a
schemi prefissati. [11]
«Avendo egli terminato il quadro di
mezzo di San Matteo e postolo su l’altare,
fu tolto via dai Preti, con dire che quella
figura non aveva decoro, né aspetto
di santo, stando à sedere con le gambe
incavalcate, e co’ piedi rozzamente
esposti al popolo» (così Giovanni Pietro
Bellori sul rifiuto della pala di San Matteo
e l’Angelo). [12]
L’editore Giulio Einaudi, che durante
il funerale di Gadda a Santa Maria del
Popolo si alzò per andare a vedere i dipinti
di Caravaggio. Tutti sentirono risuonare
le monetine infilate nell’impianto
di illuminazione a pagamento.
[13]
Quando dipinge Amor Vincit Omnia
(1602 - 1603) Caravaggio ha da poco compiuto
trent’anni. È nel pieno della maturità
artistica, vive a Roma e dipinge
per il marchese Vincenzo Giustiniani. A
palazzo Giustiniani il quadro è posto su
un cavalletto alla fine della galleria privata,
coperto da una tenda di seta verde
scuro sia per non togliere suspence al visitatore
sia per non offuscare le altre
rarità esposte. [14]
Tra il 1606 e il 1608 Caravaggio vive
prima a Napoli, poi a Malta dove dipinge
la Decollazione del Battista, il suo quadro
più grande per dimensioni. Espulso
dall’ordine dei cavalieri di Malta, fugge
a Siracusa dove dipinge il Seppellimento
di Santa Lucia, «forse l’opera più tragica
mai dipinta» [8], poi si trasferisce a
Messina. [11]
Caravaggio ha lasciato due sole firme.
Fabio Isman: «Una, mutila e lacunosa
(Frater Michel), intrisa nel sangue della
drammatica Decollazione di Malta, e l’altra
su una ricevuta di pagamento; ma
nessun autografo, nessuna manifestazione
del pensiero, se non le opere e i
capolavori». [15]
Caravaggio potrebbe aver ritratto se
stesso in molte sue opere. Rossella Vodret,
soprintendente al polo museale
romano e curatrice della mostra dedicata
al Merisi (24 opere in esposizione)
dal prossimo 19 febbraio alle Scuderie
del Quirinale: «Mi sono chiesta da quale
prospettiva aveva potuto ritrarre
Narciso e il suo riflesso nell’acqua perché
da un punto di vista esterno l’immagine
di un modello che si specchia
nella posizione di Narciso è completamente
diversa da come l’ha dipinta Caravaggio.
È chiaro che non poteva essere
stato il punto di vista del pittore
mentre dipingeva la tela». Vodret ha cominciato
a giocare con gli specchi che,
come raccontano i documenti, erano tra
le poche suppellettili dello studio del
Merisi. «Una domenica ho posizionato
due specchi come immaginavo che
avesse fatto Caravaggio e ho chiesto a
mio marito di fare da modello. Il risultato
è stato identico a quello del quadro.
È evidente che l’artista, mentre si
specchia, si sta al tempo stesso ritraendo,
la mano che sfiora l’acqua doveva in
pratica reggere il pennello». La soprintendente
ha ora avviato un progetto per
stabilire, attraverso l’indagine scientifica,
se siano autoritratti alcuni volti individuati,
compresa la figura di Plutone,
nudo in piedi su uno specchio, dipinta
sulla volta del camerino alchemico
del cardinal Del Monte. [16]
La lettura a infrarossi ha permesso di
capire che tra il 1596 e il 1597 Caravaggio
rappresentò se stesso nella brocca
sulla piccola tela (95 x 85 cm) di Bacco.
Mina Gregori, una delle maggiori studiose
del pittore: «Nella caraffa alla
destra di Bacco Caravaggio dipinse la
sagoma di un personaggio in posizione
eretta, con un braccio sporgente in
avanti verso un cavalletto da pittore
con sopra una tela. Di questa sagoma
sono distinguibili i lineamenti del volto,
in particolare naso e occhi. Per me
è il suo autoritratto mentre stava dipingendo.
Anche il Merisi, infatti, dipingeva
utilizzando gli specchi nei quali
si rifletteva». Ulteriore conferma arriva
da Giovanni Pietro Baglione che
ne Le vite de’ Pittori, Scultori, Architetti
ed Intagliatori del 1642 raccontava che
il Merisi «fece alcuni quadretti da lui
nello specchio ritratti. Et il primo fu un
Bacco con alcuni grappoli d’uve diverse
». [17] Nella testa di Golia del Davide
con la testa di Golia, dipinto per il cardinal
Scipione, tutti vedono uno dei
molti autoritratti di Caravaggio. Vodret
ne ha individuati altri: «Due nel Casino
Ludovisi; e forse anche l’Oloferne nella
Giuditta della Borghese: quadro raffinatissimo,
in cui lei, bocca aperta,
prega come è scritto nella Bibbia Clementina
del 1592». [15]
Per dipingere, Caravaggio, Van Dyck,
Vermeer, Memling, Raffaello, Giorgione,
Bronzino, Velàzques e Ingres usavano
sistemi ottici fatti di specchi e lenti con
cui proiettavano le immagini sulla tela
e poi ne seguivano le linee con pennelli
e colori. La scoperta che Caravaggio
fosse un artista del ricalco risale al 1994
quando Roberta Lapucci, docente all’Università
di Firenze e grande specialista
di restauro, pubblicò un articolo
intitolato Caravaggio e i quadretti nello
specchio ritratti, cui fecero seguito Caravaggio
e i fenomeni ottici e Caravaggio e
l’ottica, pubblicato nel 2005. [18]
«Dopo Giotto e dopo Masaccio, Caravaggio
riafferma il principio secondo cui
non concetti astratti o prevenute concezioni
filosofiche siano da collocare sulla
tela, ma la conoscenza della realtà, le
cose come esse sono, indagate ed esplorate
nelle loro relazioni di luogo, spazio,
luce» (Renato Guttuso). [19]
Il giorno dopo la sua morte, Caravaggio
è sepolto nel cimitero San Sebastiano
di Porto D’Ercole. Marco Gasperetti: «È
un luogo di periferia, sabbioso e ventoso,
davanti a una grande spiaggia. Qui
veniva sepolta la gente comune: artigiani,
pescatori, soldati, forestieri. Trascorrono
quasi 400 anni di quiete quando
nel 1956, durante lavori alla strada,
vengono alla luce alcune tombe. E tra
queste alcune c’è quella del Caravaggio.
Sulla cassa c’è una targa con il nome
del pittore e la data della morte. La
scoperta sorprendentemente passa
inosservata e le ossa, collocate in una
cassetta più piccola, sono traslate dall’allora
parroco, don Mariano Sabatini
(che custodisce anche l’atto di morte
del pittore), chi dice nella chiesa di
Sant’Erasmo e custodite nella cripta,
chi afferma nel nuovo cimitero di Porto
Ercole in una delle tre cripte della
chiesa dove si sta scavando oggi. Poco
dopo don Mariano muore e si porta con
sé il segreto della tomba del Caravaggio
» [20].
Gli scavi nella cripta dell’antico cimitero
hanno permesso di individuare i resti
di 17 individui. Di questi, nove, riconducibili
a quarantenni dalla costituzione
robusta e dall’altezza media, hanno
mostrato caratteri simili a quelli di
Caravaggio, ricostruiti con documenti di
archivio. Grazie ad alcuni esami biologici
e genetici, presto si potrebbero conoscere
le cause, forse sifilide, forse avvelenamento
da piombo, che uccisero il
dipintore a soli 39 anni. [20]
«Professavasi egli tanto ubbidiente al
modello, che non si faceva propria ne meno
una pennellata, la quale diceva non
essere sua, ma della natura; e sdegnando
ogn’ altro precetto, riputava sommo
artificio il non essere obligato all’arte.
(...) Il Caravaggio non apprezzava altri
che se stesso, chiamandosi egli fido,
unico imitatore della natura; con tutto
ciò molte, e le megliori parti gli mancavano,
perche non erano in lui, né invenzione,
né decoro, né disegno, né
scienza alcuna della pittura, mentre tolto
da gli occhi suoi il modello restavano
vacui la mano, e l’ingegno. Molti nondimeno
invaghiti della sua maniera, l’abbracciavano
volentieri, poiche senz’altro
studio, e fatica si facilitavano la via
al copiare il naturale, seguitando li corpi
vulgari, e senza bellezza». [12]
(a cura di Marzia Amico)
Note: [1] Roberto Longhi, Corriere della Sera
13/10/2005; [2] Marco Bona Castellotti e Marco Carminati,
Il Sole 24 Ore 21/1/2001; Fiorella Minervino, La Stampa
del 22/1/2001; Virginia Lupi, Il Mattino 25 /1/2001; Claudio
Strinati, la Repubblica 24/1/2001; [3] Marco Bussagli, Avvenire
21/12/2001; [4] Sergio Romano, Corriere della Sera
26/2/2007; [5] Vania Colasanti, Corriere della Sera
15/4/2001; [6] Paolo Passarini, La Stampa 25/2/2003; [7] Paolo
Vagheggi, la Repubblica 22/12/2003; [8] Vittorio Sgarbi,
Panorama 12/2; [9] Mario Perazzi, Io Donna 8/9/2001; [10]
Francesca Bonazzoli, Corriere della Sera 13/10/2005; [11]
Francesca Cappelletti, Caravaggio Un ritratto somigliante,
Electa 2009; [12] Le vite de’ pittori, scultori et architetti
moderni, Giovanni Pietro Bellori, 1672; [13] Ernesto Ferrero,
I migliori anni della nostra vita, Feltrinelli, 2005; [14]
Marina Mojana, Il Sole 24 Ore 22/8/2005; [15] Fabio Isman,
Il Messaggero 13/2; [16] Lauretta Colonnelli, Corriere della
Sera 13/2; [17] Pierluigi Panza, Corriere della Sera
30/10/2009; [18]] Viviano Domenici, Corriere della Sera
25/4/2006; [19] Renato Guttuso, introduzione de L’opera
completa del Caravaggio, Rizzoli, 1967; [20] Marco Gasperetti,
Corriere della Sera 12/2.
Il Foglio 15 febbraio 2010