DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Ipazia, fra storia e mito anticattolico. .Ma la "verità" della pellicola non è la "verità storica". Di Rino Cammilleri

I cercatori professionisti di scheletri nell'armadio cri­stiano ogni tanto tirano fuori l'episodio e, ovviamen­te, lo adattano al politicamente corretto corrente. Fi­no all'Illuminismo nessuno sapeva neanche chi fosse, questa Ipazia. Poi, il positivista John Toland nel 1720 e il solito Voltaire nel 1736 aprono le danze sulla pro­gressista Ipazia vittima dell'oscurantismo clericale. Nel 1776 l'inglese Edward Gibbon consolida il mito nella sua celebre opera sulla caduta (per colpa del cristia­nesimo) dell'Impero romano. Nel secolo seguente toc­ca ai romantici: Ipazia è bellissima ed è l'ultima rappre­sentante dei mondo antico (dipinto come un'arcadia tutta ninfe, zefiri, pastorelle e satiri) trucidata dal fanati­smo papista. Naturalmente, nel Novecento, Ipazia, ve­terofemminista, diventa la preda della misoginia cattolica. L'unica voce un po' fuori coro è quella di Mario Lu­zi, che le dedica un dramma nel 1978. Adesso, il film (e il cinema, forma di arte totale, si imprime nelle menti con una forza che la parola scritta neanche si sogna la scienza contro la religione, la tolleranza contro il fideismo. E indovinate chi sono i buoni e chi i cattivi. Roba da Odifreddi. Dunque, rassegnamoci al solito minestrone politicamente corretto. E non contate su una cinematografia contraria perchè non esiste: Martinelli e il suo Barbarossa sono stati presentati come “leghisti” su tutti i media, così che il pubblico è rimasto a casa.

Coi nostri limitati mezzi, dunque, ecco la verità sul «caso, Ipazia». Innanzitutto bellissima lo sarà stata forse, da giovane, visto che nel 415 la filosofa ave­va sui sessant'anni (in un'epoca in cui già a quaran­ta pochi avevano ancora denti in bocca). Il suo fu un omicidio politico e la religione non c'entrava affatto. lpazia, figlia di un filosofo - Teone - molto addentro nell'ermetismo e nell'orfismo, era una neoplatonica che teneva scuola ad Alessandria. Una scuola tra le tante, in quella capitale della cultura antica. La parola “scuole” non deve trarre in inganno: si trattava di cenacoli per selezionati adepti. Di lei non è rimasta alcuna opera. Quel che si sa lo si deve ai suoi discepoli. Tra i quali c'erano pa­recchi cristiani. Uno di questi, Sinesio di Cirene, divenne addirittura vescovo. Secondo il metodo platonico (derivato a sua volta da quello pitagorico) i discepoli apprendevano «misteri» che non dovevano es­sere divulgati, perchè non tutti erano in grado di comprendere. Ipazia non era affatto pagana nel senso di adoratrice di Giove, Giunone e Mercurio; anzi, come neoplatoni­ca era più vicina al cristianesimo che al pa­ganesimo. Infatti, lodava virtù come la verginità (non si sposò mai) e la modestia nel vestire. Ma, come i pitagorici e i platonici, sosteneva che i filosofi, essendo i più sapienti, Dovevano occuparsi di politica, anche solo come consiglieri del principe. Infatti, ai suoi consigli ricorreva spesso il cristiano Oreste, prefetto di Alessandria. Oreste, da buon funzionario bizantino, aveva la classica visione cesaropapista dei rapporti con l'autorità religiosa, mentre il patriarca Cirillo cercava di salvaguardare l'in­- pendenza della Chiesa rispetto al potere politico. Nel 414 il contrasto tra i due divenne plateale; Cirillo cercò un compromesso ma Oreste rimase fermo sulle sue posizioni. Si formarono, al solito, due partiti (cosa nor­malissima nell'antichità; S. Ambrogio di Milano ne sapeva qualcosa). Tra i partigiani del patriarca, però, c'erano i cosiddetti parabolani, cristiani in odore di eresia per la loro ricerca fanatica del martirio: si consacravano con giuramento alla cura degli appestati, sperando in tal modo di morire per Cristo. Li chiamavano così in ricordo degli antichi gla­diatori (aboliti da Teodosio) che affrontavano i leoni nel circo. Cirillo cercava di tenerli sot­to il suo controllo ma la città era turbolenta: nel 361 un vescovo imposto da Costantinopoli, Giorgio di Cappadocia, era stato lincia­to; sette anni dopo la morte di lpazia stessa sorte era toccata al nuovo prefetto; nel 457 venne ucciso a furor di popolo un altro ve­scovo di nomina imperiale, Proterio. Fu in questo ambiente e in questo clima che la colpa dell'intransigenza di Oreste venne at­tribuita a lpazia e ai suoi consigli. Si sparse la voce che i «misteri» della sua scuola riguarda­vano pratiche magiche e negromantiche. La donna venne assalita da un gruppo di esagita­ti mentre gli schiavi la portavano a passeggio in lettiga, tirata giù e trucidata. Oreste e Cirillo, messi di fronte al fatto compiuto (e impressio­nati dalla piega che aveva preso la loro dispu­ta), si riconciliarono. Il prefetto lasciò Alessan­dria, forse per fare rapporto alla capitale; co­munque, forse sostituito, non tornò più. Un'altra cosa da chiarire: Cirillo non ave­va niente contro il paganesimo, sia perchè ormai minoritario e praticamente ininfluen­te, sia perchè la sua preoccupazione princi­pale era costituita, semmai, dalle eresie cri­stiane, che a quel tempo spuntavano al rit­mo di quasi una al giorno. Solo anni dopo, con l'avvento di Giuliano l'Apostata, prese la penna per contrastare il tentativo - tutto politico - dell'imperatore di ripristinare l'anti­ca religione civile romana. Il neoplatonismo, col suo desiderio di attingere il divino trami­te la filosofia e la pratica delle virtù, continuò ad avere la città di Alessandria come suo centro fino all'invasione islamica. Tra l'altro, quest'ulti­ma fu enormemente facilitata dall'astio ac­cumulato dall'Africa romana contro Bisan­zio, la sua gravosa tassazione (in parte giu­stificata dalle guerre quasi continue contro i persiani, i bulgari, gli avari e infine gli arabi) e la sua politica della mano pesante contro le eresie (che in quelle zone avevano sempre trovato terreno fertile).

Naturalmente, ai cantori del politicamente corretto (il quale, come abbiamo visto, varia di epoca in epoca) tutto questo non interes­sa. Così, il mondo pagano viene immagina­to (e rappresentato) come un'epoca d'oro di scienza e tolleranza, dove la gente viveva in armonia con la natura, un mondo che, ahi­mé, è stato distrutto dalle religioni monoteisti­che, in particolare l'odiato cristianesimo. Quel mondo in realtà disperato in cui pochi cam­pavano alle spalle di milioni di schiavi, scon­volto continuamente da guerre scatenate dal­la personale ambizione di uno, quel mondo che accolse con sollievo la religione dell'amo­re del prossimo e della dignità umana, non è mai esistito per gli intellettuali, gli artisti, i regi­sti e gli scrittori che, fiutato dove tira il vento, si allineano supini al Potere del momento. I milioni di martiri cristiani? Se la sono cer­cata e se la cercano. I cristiani sono catti­vi perchè hanno ucciso Ipazia, così come gli statunitensi fanno schifo perchè hanno ammazzato Toro Seduto. In effetti, Hitler e Stalin erano battezzati, non si può negarlo. Anche Robespierre. È strano che non sia­no stati ancora messi tra gli scheletri nell'ar­madio della Chiesa cattolica. Eh, il Papa do­vrebbe chiedere scusa...

Di Rino Cammilleri -



© Copyright Il Timone, novembre 2009.