I l fatto che le religioni siano chiamate a giocare un ruolo nel futuro dell’Europa è la conclusione che ognuno può trarre dalla semplice osservazione delle circostanze attuali. La presenza di diverse realtà religiose, penso in primo luogo all’islam, ha contribuito in maniera sostanziale a dimostrare quanto fossero infondate le previsioni formulate solo qualche decennio fa sull’avvento di « un mondo mondano » . Certo, il moltiplicarsi di soggetti e visioni religiose a volte radicalmente diverse fra loro e l’affacciarsi sulla scena di nuovi attori hanno suscitato la diffidenza di molti.
Ma non possiamo dimenticare il fatto che nella storia europea le vicende religiose, le vicende culturali e socio- politiche si siano mostrate, al di là delle necessarie distinzioni, così intrecciate da essere di fatto inscindibili. In Europa oggi prevale un atteggiamento teso ad affermare che il confronto pubblico debba necessariamente prescindere dalla radice religiosa delle convinzioni personali. Ma questo significa alla fine obbligare i credenti a comportarsi come se fossero atei e di conseguenza privare la società di importanti risorse.
Ciò nonostante alcuni pensatori di rilievo, quali Habermas, Böckenförde, Rawls, David Nowak, hanno cominciato a riconoscere nelle tradizioni religiose, a partire dal cristianesimo, l’espressione di un potenziale cognitivo e il riferimento di un impegno civile di cui è impossibile non tenere conto. Perché, ed è difficile negarlo, le religioni possiedono la capacità di proporre l’universale in modo concreto: contrariamente a quanto ha finito per postulare la cultura europea nel corso della modernità, i valori non si danno mai in astratto ( la stessa Carta dei diritti fondamentali rischia di essere un semplice elenco di proposizioni formali), ma soltanto all’interno di tradizioni vissute. Per cui per esempio alcuni assiomi che stanno alla base delle nostra società, penso all’idea di libertà o a quella di uguaglianza, possono ricevere nuovo slancio dalla testimonianza di fedeli che li vivono già all’interno della loro stessa esperienza comunitaria.
Se si prendesse atto di ciò, non solo il potere politico giungerebbe al riconoscimento della soggettività pubblica delle religioni, ma le stesse istituzioni pubbliche promuoverebbero attivamente un’effettiva libertà religiosa.
Nel corso di alcune mie visite in Paesi del Medio Oriente mi è capitato di incontrare realtà in cui cristiani e musulmani, sulla base di alcune visioni condivise, per esempio la costitutiva dignità di ogni uomo, mettono insieme le loro forze in opere culturali e sociali dai risultati sorprendenti. Penso alla capillare azione nei confronti del grande numero di persone diversamente abili attuata dall’Associazione giordana
Our Lady of Peace, composta da musulmani e cristiani. Se tutto questo avviene in contesti in cui la libertà religiosa non è certo incoraggiata, immagino quale potenziale potrebbe essere espresso in Europa se crescesse un clima sinceramente più favorevole al confronto reciproco. Ovviamente ciò è possibile a condizione che le religioni abbandonino le auto- interpretazioni di tipo privatistico da una parte o fondamentalistico dall’altra per creare uno spazio di incontro reciproco tra di esse e con tutte le altre culture. I n questa luce si comprende perché l’idea di una missione universale dell’Europa sia sempre stata cara al cardinal Lustiger, così come al cardinal Ratzinger ora papa Benedetto XVI. Ma, come entrambi hanno osservato, tale compito è stato complicato e in parte oscurato dalla vicenda coloniale dell’Europa, che ha talora portato con sé conquista e sopraffazione. Come riproporre allora una visione universale in grado di rendere l’Europa significativo attore della globalizzazione e nel contempo di preservarla dalla tentazione di fagocitare con la sua cultura altre realtà? Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare riferimento al singolare rapporto con i beni antropologici, sociali ed ecologici implicati nella rivelazione cristiana ma che possiedono valore universale.
Romano Guardini nel suo breve saggio Il significato del dogma del Dio trinitario per la vita etica della comunità mostra, ad esempio, una decisiva implicazione sociale del mistero trinitario. Proprio perché l’Europa ha ricevuto questi beni gratuitamente non può considerarsene padrona. Essi sono offerti dal disegno di un Padre che guida la storia di tutta la famiglia umana. Nessuna realtà, per quanto raffinata e sviluppata, potrà mai pretendere di esaurire la totalità del reale.
A questo proposito è decisivo quanto Etienne Gilson scriveva nel 1952 proprio a proposito dell’Europa: « Sarà dotta, ma non sarà la Scienza. Saprà generare la bellezza, ma non sarà l’Arte. Sarà giusta, ma non sarà il Diritto. E speriamo che sarà cristiana, ma che non sarà la Cristianità». Il suo compito resta quello di offrire al mondo ciò che essa ha ricevuto, di mostrargli, per usare un’espressione del cardinal Lustiger, « una nuova arte di vivere » . V olendo fare ricorso a una categoria cristiana potremmo dire che la missione propria degli europei è, nel confronto constante con le altre culture, testimoniare il perseguimento, personale e comunitario, di quella vita buona, fatta come diceva Aristotile di filìa , che non può non stare a fondamento dell’edificazione della polis.
Se mantenuto all’interno di queste caratteristiche, l’apporto europeo alla costituzione di un nuovo ordine mondiale, da tempo auspicato dal magistero sociale della Chiesa, potrà essere rilevante: l’Europa potrà coinvolgere tutti i continenti nella pratica di una libera convivenza di cittadini, di corpi intermedi e di nazioni che diano vita ad una società civile capace di non sacrificare le differenze, ma di esaltarle senza che esse lacerino la sempre più urgente unità tra i popoli del pianeta.