DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Vescovo di Tiro: Cristiani in Libano divenuti minoranza nel loro Paese. Telegramma di Benedetto XVI alla Chiesa maronita

di Samar Messayeh - Carla Ferraro
Mons. Georges Bacaouni, arcivescovo greco-cattolico di Tiro racconta le difficoltà delle comunità cristiane segnate dalla riduzione demografica e dalla nausea verso la politica. In attesa del Sinodo per il Medio oriente del prossimo ottobre.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Mons. Georges Bacaouni, arcivescovo metropolita dell’arcidiocesi di Tiro è i visita a Roma. Egli regge la sua diocesi dal 22 giugno 2005. Il suo territorio comprende la città di Tiro, ed è suddiviso in 9 parrocchie. Mentre le Chiese si preparano all’Assemblea Speciale per il Medio oriente del Sinodo dei vescovi, poniamo al prelato alcune domande sulle questioni attuali e legate alla sua diocesi.
Qual è la situazione generale dei cristiani in Libano?
Un’ardua sfida si pone per i cristiani trovandosi a fronteggiare diversi problemi dovuti ai numerosi cambiamenti che interessano non solo il Libano, ma tutto il territorio mediorientale. In particolare dal punto di vista dei cattolici, ci si trova di fronte a un forte calo del numero dei fedeli; un momento di crisi tale che genera conseguenze negative sia sul processo di integrazione dei cristiani in una terra che sentono sempre più lontana da loro sia sul fattore demografico, in quanto la loro presenza va diminuendo nel tempo. Ciò che più stupisce, rispetto ai secoli scorsi, è la riduzione della presenza cristiana anche all’interno delle istituzioni politiche, in campo sociale e in quello dell’istruzione, così pure tra gli stessi militari.
Quali aspetti impediscono o rallentano il processo di integrazione?
I cristiani - che nella mia diocesi sono il 10% - faticano sempre più ad integrarsi, al contrario dei musulmani che già per il solo aspetto demografico rappresentano la maggioranza della popolazione nel sud Libano. Il problema dell’integrazione deriva dal fatto che ci si trova in una zona calda per guerre e agitazioni, aspetto che produce un clima di diffusa paura tra la popolazione locale. Si assiste inoltre ad un generale indebolimento della religiosità, tanto che i fedeli sono sempre più restii a decidersi per la vita matrimoniale, dunque per lo sviluppo della prole, riducendo così il tasso demografico. Al contrario del versante musulmano che decidendosi per la poligamia, va ad incrementare il numero della sua popolazione.
Una sua opinione rispetto a tanta sfiducia?
Tale forte sfiducia si è espansa anche nei confronti del mondo ecclesiastico, considerato lontano dall’originario messaggio di carità, fede e speranza cristiano. La sfida maggiore per i cattolici a tali problematiche dovrebbe invece stare nell’efficacia dell’azione che deriva dalla capacità di far valere la personale credibilità, mediante la concretezza e la coerenza dell’impegno che ben si coniuga con le scelte evangeliche e con il messaggio di Cristo.
Sulla questione dell’emigrazione dei cristiani, quali pensa possano essere i rimedi?
Non voglio essere pessimista, si tratta di un problema sociale a cui stiamo cercando di porre dei rimedi mediante veri e propri stanziamenti. In particolare la chiesa cattolica a Tiro si sforza di aiutare i fedeli mediante creazione e donazione di case, ma nonostante ciò la sfiducia è così radicata che dopo pochi anni i cristiani abbandonano le abitazioni in cerca di una vita migliore e preferiscono trasferirsi nella capitale Beirut, dove possono godere di strutture meglio organizzate, come per l’istruzione. Tanti studenti si riversano in città con tale intento. Aumenta così il divario di benessere tra il sud del Libano (abitato in prevalenza da musulmani sciiti) e le aree più sviluppate come Beirut è composta principalmente da drusi, sunniti e musulmani sciiti e da una minoranza cristiana.. La geografia religiosa della capitale
Che tipo di rapporto si è instaurato con la maggioranza musulmana della popolazione?
Tra cristiani, drusi, sunniti, sciiti, almeno nel sud del Libano e nella diocesi di Tiro, si sono stabilite buone relazioni di vicinato sia tra i rappresentanti del culto sia tra la popolazione. Ad esempio durante le festività liturgiche è consueto scambiarsi gli auguri tra i capi religiosi musulmani e cristiani. Credo che i conflitti che si vanno creando siano di natura politico-economica e riguardino le alte sfere del potere, per cui poco può fare da sola la Chiesa cattolica in questi territori. Di converso, seppure cristiani, drusi, sciiti, sunniti risiedano vicini, ognuno vive per conto proprio. Al tempo stesso vi sono sia frange estremiste musulmane che considerano i cristiani come dei “crociati” sia casi di cristiani che non danno una buona testimonianza davanti i musulmani.
Come procedono i preparativi al prossimo Sinodo per il Medio Oriente? Quali le attese, le speranze?
Dopo 15 anni, quando nel 1995 si è tenuta l'Assemblea speciale dei vescovi per il Libano, convocata da papa Giovanni Paolo II a Roma , ci apprestiamo ad accogliere il prossimo incontro che si terrà in Vaticano, dal 10 al 24 ottobre di quest’anno, sul tema “La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. ‘La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola’ (At 4, 32)”.
La diocesi di Tiro è pronta a rispondere ai quesiti posti dal documento preparato dall’assemblea speciale per il Medio Oriente, il testo dei Lineamenta, con l’intento di illustrare la situazione locale della diocesi. L’auspicio del Vescovo è che il dialogo alla base del Sinodo possa rappresentare il principio per un’azione congiunta e concreta di tutte le forze in campo, religiose, politiche economiche nei confronti del contesto Medio orientale che è patrimonio comune. Così come la fede per essere viva deve essere accompagnata e supportata dalle opere”.

La Chiesa maronita ha aperto ufficialmente domenica scorsa le celebrazioni giubilari per i 1600 anni dalla morte di San Marone, l’antico monaco siriano del quarto secolo da cui prende il nome la Chiesa libanese. A presiedere la divina liturgia nella basilica di Santa Maria Maggiore è stato il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali. Benedetto XVI ha inviato un telegramma per l’occasione. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Il sedicesimo centenario della morte di San Marone, che cade nel mezzo dell’Anno Sacerdotale, “possa essere, per clero, religiosi e laici, motivo di rinnovata adesione a Cristo Buon Pastore, nella plurisecolare fedeltà al Romano Pontefice”. Queste parole del Papa, contenute in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, sono state lette dal cardinale Leonardo Sandri, che ha da parte sua invitato la Chiesa libanese a “un convinto dialogo ecumenico perché – ha affermato – sia costruttivo il confronto interreligioso” in Medio Oriente. Lungo tutta la loro storia, ha osservato il prefetto del dicastero per le Chiese Orientali, “i maroniti hanno cercato il loro vanto nel proclamarsi figli della Chiesa cattolica, grazie al vincolo di unità nella verità e nell'amore col Sommo Pontefice romano”. Oggi, ha proseguito il porporato, ai maroniti è chiesto di considerare la loro responsabilità “verso la Chiesa e la nazione. Sarebbe triste – ha detto il cardinale Sandri – che voi deludeste le aspettative di Dio, della Chiesa e del Libano. Testimoniate la fede dei padri cooperando tra Chiese Orientali cattoliche e Chiesa latina, e come comunità cattolica”.


Così come il patriarca maronita, il cardinale Nasrallah Butros Sfeir, aveva definito il giubileo della Chiesa libanese “un anno di giustizia, di riconciliazione e di pentimento”, anche il cardinale Sandri ha invitato tutta la locale comunità dei credenti a un esame di coscienza. “La domanda – ha indicato – si impone soprattutto a noi sacerdoti davanti al luminoso esempio sacerdotale di San Marone. È la domanda che dovrà risuonare nel prossimo Sinodo per il Medio Oriente: i cristiani, chiamati con questo nome proprio ad Antiochia, con i loro pastori, dovranno fissare lo sguardo su Gesù, il vero tesoro, per ritrovare l'essenziale della fede e crescere nella comunione. È questo del resto – ha concluso il cardinale prefetto – il carisma autentico del monachesimo: essenzialità e comunione in Cristo”.