Gli esperti hanno calcolato che ogni bambino, oltre a essere un potenziale consumatore, può anche funzionare come un gigantesco moltiplicatore del messaggio pubblicitario: più efficace di tanti spot e manifesti. Il nuovo sito inglese specializzato in questo tipo di marketing si chiama Dubit. In pochi mesi è già diventato una potenza su Internet, provocando proteste di genitori e associazioni che difendono l'infanzia. L'agenzia ha reclutato centinaia di migliaia di bambini dai sette anni in su, con la promessa di regali e di una paghetta fino a 25 sterline (circa 28 euro) a settimana. Il responsabile, Adam Hildreth, precisa che Dubit chiede sempre l'autorizzazione dei genitori, almeno per chi ha meno di 16 anni. Ma si sono verificati molti casi nei quali i bambini sono riusciti ad aggirare il controllo della famiglia, entrando lo stesso nel circuito dell'agenzia.
"E' un sistema diabolico" commenta Richard O'Hagan, avvocato per l'infanzia che chiede al governo britannico di approvare con urgenza una normativa. Dubit funziona come una grande comunità di bambini e adolescenti. Basta iscriversi, segnalando gusti e preferenze, per cominciare a ricevere inviti a eventi di promozione, feste con volantinaggio. Gli iscritti possono anche avere a casa campioni gratuiti di alcuni prodotti. Il servizio è stato usato per il momento da grandi multinazionali come Mattel o Coca-Cola. "L'idea di passare per i social networks - osserva O'Hagan - è anche un modo di scavalcare la televisione, un mezzo dove ormai ci sono più controlli e vengono diffusi messaggi salutisti contro il junk food".
Secondo l'economista Ed Mayo, autore di un libro sui consumi dell'infanzia, si sono iscritti a Dubit già oltre mezzo milione di piccoli promoter inglesi. I bambini non fanno soltanto pubblicità diretta ma diventano anche una preziosa fonte di informazione: devono rispondere a questionari su mode e nuove tendenze giovanili. Una tattica già usata con successo dalle case discografiche. Il sito dell'agenzia americana in4merz. com, ha creato una comunità di diecimila adolescenti per promuovere cantanti come Lady Gaga e Alexandra Burke. Anche in quel caso i ragazzi sono diventati "brand ambassadors", soldatini inconsapevoli dell'impero pubblicitario.
La Repubblica (16 febbraio 2010)