DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Affetto condom. La scuola non deve educare alla “disciplina dei sentimenti”, deve solo fornire istruzione

Quella dell’annunciata installazione di
un distributore di preservativi al liceo
scientifico Keplero di Roma è una vicenda
piuttosto avvilente, nel suo scimmiottamento
di altre fallimentari iniziative del
genere in giro per l’Europa. Ma non posso
negare che reazioni come quella contenuta
in un articolo di ieri di Paola Ricci Sindoni
(“Che a scuola trovi spazio la disciplina
dei sentimenti”, Avvenire) mi hanno ancor
più avvilito. Si è detto, giustamente,
che la scuola non deve trasmettere un’immagine
banalizzata, meramente sessuale e
fisica, dell’amore. Per rimediare a questo
guasto si propone di introdurre accanto all’informatica
e all’inglese insegnamenti come
“educazione all’affettività” o “disciplina
dei sentimenti”. Non mi sarei stupito affatto
se una proposta del genere fosse venuta
da un ambiente ispirato a un zapaterismo
laicista. Ma che venga da una personalità
cattolica è sconcertante. Non mi sogno
di dubitare delle ottime intenzioni con
cui viene avanzata la proposta, ma mi chiedo
quale coerenza esista tra il battersi in
difesa del valore della famiglia e contro
l’etica di stato, applaudire chi scende in
piazza contro lo zapaterismo e contro la
pretesa di formare i cittadini secondo i
principi di una morale definita per legge,
e, dall’altro lato, chiedere che tra i compiti
istituzionali della scuola vi sia l’educazione
a esprimere sentimenti ed emozioni
nell’ambito di un programma definito dagli
uffici ministeriali dell’istruzione.
In una società liberaldemocratica la
scuola non può e non deve assorbire l’intera
funzione dell’educazione, la quale ha altri
attori, in primo luogo la famiglia, e poi
gli amici, il contesto sociale: l’educazione
all’affettività è un tipico compito della famiglia
da cui la scuola dovrebbe tenersi alla
larga. L’affettività e i sentimenti sono
una dimensione che non può essere standardizzata
in un programma scolastico. Da
chi poi? Chi può senza tema del ridicolo
proclamarsi “esperto” e “insegnante” di
affettività? Il compito esclusivo della scuola
è un altro: fornire istruzione, cultura, conoscenza
e contribuire così all’educazione
in base al principio che la conoscenza è libertà.
Una persona è tanto più libera
quanto più sa. Può fare un uso buono o cattivo
di questa libertà, e proprio in ciò consiste
la dignità dell’uomo, per dirla con Pico
della Mirandola.
Costruttivisti individualisti
Al contrario, è tipico di uno stato totalitario
avocare a sé la formazione della persona
svuotando i vari soggetti sociali di
ogni ruolo educativo. Può farlo in forme
oppressive e violente – dall’”etica fascista”
alle comuni pedagogiche sovietiche – o in
forme paternalistiche. Ma si tratta comunque
di una prassi illiberale. Ora, è evidente
che la crisi crescente della famiglia induce
persino chi crede che essa sia il nucleo
portante della società a una sfiducia
che spinge a chiudere gli occhi di fronte al
carattere illiberale dell’idea di attribuire
alla scuola la formazione morale e persino
affettiva. Anche perché questa visione illiberale
si presenta in termini seducenti:
non viene più proposto un obiettivo educativo
sociale imposto dallo stato etico, bensì
un obiettivo di felicità personale assoluta,
di libertà di fare quel che si vuole senza
vincoli e freni morali di sorta. E’ il principio
dell’ottimizzazione delle preferenze,
quali che siano le conseguenze.
Il costruttivismo individualistico è già
largamente dominante nella nostra scuola.
Lo studente non ha più doveri ma soltanto
diritti: al successo formativo, a non stancarsi
studiando, a fare i propri comodi in
classe. L’ultima frontiera è il diritto a un
percorso personalizzato d’istruzione e a
farsi “co-creatore” dell’apprendimento e
persino di una nuova ortografia coniata sugli
sms dei cellulari (a detta dell’”esperto”
inglese Charles Leadbeater). Il dirigente
scolastico è il garante della “customer satisfaction”.
La famiglia è incoraggiata a
farsi sindacato dei figli e a sollevarsi del
ruolo educativo. La scuola è ridotta a un
emporio di “attività” in cui lo studio e la
conoscenza sono ingombri da ridurre al
minimo. Il preservativo a scuola è soltanto
un aspetto di questa fenomenologia, innescata
da anni di pedagogismo “progressista”,
frutto della trasmutazione “libertaria”
della mentalità illiberale. Ci manca
soltanto, invece di tornare all’insegnamento
delle discipline propriamente dette,
l’introduzione di corsi statali di “sentimento”…
Col rischio – somma beffa per chi li
auspica in buona fede – che si trasformino
in corsi per insegnare l’uso ottimale del
preservativo o persino le tecniche di masturbazione,
come è già accaduto in Spagna.
E, senza andare a questi eccessi, basta
scorrere i programmi per i corsi di affettività
già previsti dalle precedenti indicazioni
nazionali per l’istruzione: una lettura
raccapricciante.

Giorgio Israel

© Copyright Il Foglio 12 Marzo 2010