DISCERNERE
Uno sguardo profetico sugli eventi
La sessualizzazione dei bambini. Dobbiamo insegnare ai bambini ad essere critici nei confronti di ciò che vedono, leggono, ascoltano, navigano e “videogiocano”
In base a vari studi condotti negli Stati Uniti, la televisione, la cultura pop, le dive della musica e le riviste giovanili, tra gli altri fattori, favoriscono l'inizio precoce dell'attività sessuale delle bambine, la visione della donna come oggetto e prodotto sessuale e una certa compiacenza nei confronti della pornografia hardcore.
Negli ultimi tempi è frequente sentire i genitori che hanno figlie femmine affermare che la figlia di nove anni “da molto tempo ha abbandonato le bambole”, perché “ora le piacciono altre cose”, o che “non le piacciono più le bambole, né Minnie, né la Barbie o cose del genere. Ora è tutto un Violetta, Lady Gaga, Rihanna e quelle pazze lì”.
In un documentario del National Geographic (NatGeo) intitolato “Innocenza perduta” si affronta il tema polemico della sessualizzazione infantile, soprattutto nelle bambine, che fin da molto piccole (tra i sei e i sette anni di età) sono bombardate da tutti i fronti possibili con messaggi in cui il centro tematico è costituito dal culto del corpo, dal sesso come centro dell'esistenza umana e dal corpo femminile come oggetto e merce sessuale.
E anche i bambini non sfuggono a questi messaggi, visto che per loro ci sono sono messaggi in cui la donna fa qualsiasi cosa, sessualmente parlando, per far contento il proprio “uomo”.
Docenti di varie università degli Stati Uniti hanno dedicato anni a studiare come la cultura attuale promuova l'inizio della vita sessuale dei bambini fin da molto piccoli.
Al centro di questa cultura c'è la televisione, visto che con le sue serie, le telenovele, i reality show e il resto si è dedicata a diffondere una visione distorta e deplorevole della sessualità umana in cui l'irresponsabilità, l'idea “io voglio e posso perché è il mio corpo”, “la vita va goduta” e uomo con uomo-donna con donna-nello stesso senso e al contrario sono il pane quotidiano.
Un altro aspetto importante, sottolineano i ricercatori, è la cultura pop. Le regine, le principesse, le dive e le vagabonde del pop, con i loro corpi esposti, i loro testi e i video carichi di contenuti sessuali in cui le parti anatomiche prevalgono sulla qualità artistica, invadono costantemente i mezzi di comunicazione, soprattutto la televisione, e sono elevate alla categoria di “immortali” da canali e riviste.
Osservando casi come Lady Gaga, Miley Cyrus o Kate Perry, gli esperti affermano che il sesso è diventato l'asse dell'esistenza e la sessualità umana è stata primitivizzata, perché l'unico modo che hanno per spiccare e mostrarsi al mondo è proprio questo: mostrarsi.
L'incitamento sessuale e il doppio senso fanno parte della cultura pop attuale. Cosa si può pensare quando l'ex principessa Disney Hanna Montana, dolce, sognatrice e femminile è oggi sessuale, esplicita e pornografica? E non esagero, né sono un bacchettone o un cavernicolo, come affermano coloro che più che argomentazioni hanno offese.
Mi baso semplicemente sul senso comune: mia figlia di 10 anni che vede la sua Hanna diventata Miley Triple XXX. E i più grandi artisti, di ieri e di oggi, hanno criticato la Montana per il suo atteggiamento, che nelle parole di suo padre è far parte del “business show”.
Uno studio realizzato dall'Istituto per la Familia dell'Università di La Sabana, in cui sono stati intervistati circa 10.000 bambini e bambine di tutto il Paese, indica che l'età media alla quale le bambine colombiane iniziano l'attività sessuale è 13 anni. E tra gli aspetti che adducono sul motivo di questo atteggoamento c'è il contesto sociale e mediatico.
Genitori: ora più che mai dobbiamo essere mediatori del consumo mediatico dei nostri figli. Dobbiamo orientarli, guidarli, aiutarli, insegnare loro ad essere critici su ciò che vedono, leggono, ascoltano, navigano e videogiocano.
Le principesse Disney oggi sono stelle sessuali senza limite e rispetto, si vuole normalizzare la confusione sessuale (alcuni lo chiamano “orientamento”...); il corpo umano, soprattutto quello femminile, viene volgarizzato e mercificato come oggetto sessuale da possedere; il corpo femminile si vende sulle copertine delle riviste come i prodotti al supermercato e in libreria (alcuni lo chiamano “progressismo”...) e ai bambini viene inculcato che devono essere “potenze” sessuali di una donna che ha il suo corpo e la sua sessualità per trattenerli.
E non parliamo dei costumi da bagno per le bambine tra i 6 e i 10 anni con ripieno di spuma, o delle feste infantili nelle spa, in cui vengono truccate, pettinate e vestite perché “brillino” per i bambini che parteciperanno alla festa.
È questo il panorama, questa è la realtà. Noi genitori ed educatori abbiamo un compito enorme che ci aspetta. La sessualità è una bella dimensione della persona umana, da affrontare con rispetto, responsabilità e maturità.
E dobbiamo lasciare che i bambini siano bambini, innocenti, creativi, allegri, e non farli crescere prima del tempo.
http://www.aleteia.org/
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]
L'educazione sessuale? «Democrazia totalitaria»
di LUCA PIACENTINI

Ormoni ai bimbi in crisi di identità sessuale
di Massimo Introvigne
“Tutti nudi”, il libro consigliato dal governo Hollande alle scuole per insegnare ai bambini a «essere disinibiti»


Tempi.it
Ragazzina, occhio al «sexting» Nuovo brevetto Apple per arginare la pratica dello scambio di messaggini erotici tra cellulari
HARD INTERCETTATO – La mela morsicata ha brevettato infatti una nuova tecnologia, chiamata Text-based communication control for personal communication device, capace di riconoscere segnali di sexting e inibirli sul nascere, attraverso il riconoscimento avanzato di una serie di parole ed espressioni proibite. La tecnologia viene proposta inoltre in associazione a una serie di filtri per migliorare la grammatica, in grado di identificare gli svarioni e segnalarli. Se implementata sul telefonino dunque la funzione dovrebbe intercettare qualsiasi riferimento hard. Chiaramente sarebbero mamma e papà a convertire il cellulare della prole, utilizzando l’intelligenza artificiale al posto delle prediche o delle campagne di sensibilizzazione.
DIRTY PICTURE – Il Sidney Morning Herald riporta le dichiarazioni di esperti e autorità australiani, preoccupati della crescita e della normalizzazione di un comportamento molto rischioso, e cita uno studio ormai datato sulle proporzioni del fenomeno nel 2008, anno in cui riguardava già il 39 per cento dei ragazzini australiani. Del reso, come spiega l’esperta di problemi infantili ed ex funzionario della polizia, Susan McLean, il rischio è che questa prassi si vada diffondendo, facendo perdere ai teenager la percezione della sua pericolosità: «Finché star come Kesha canteranno Dirty Picture, pronunciando frasi come "Allora scatta una fotografia sconcia per me", i giovani penseranno che fare sexting sia semplicemente normale».
Emanuela Di Pasqua
28 ottobre 2010
“Maschio e femmina li creò”: elogio delle differenze
L’utero stesso, in certo pensiero femminista, diviene un impiccio, in quanto “costringe” la donna ad essere madre, e a portare nel corpo i segni della inferiorità, impostale dall’uomo. Oggi questo pensiero è piuttosto dominante, anche se non sempre così esplicito. Le donne realizzate, quelle magari che occupano le copertine delle riviste e dei giornali che celebrano l’8 marzo, sono quelle che hanno avuto successo, come gli uomini, in politica, in banca, in televisione…
La casalinga è di per sé una “poveretta”, irrimediabilmente frustata, uccisa nella sua dignità. Anche la donna che per i figli rinuncia ad una carriera “migliore”, che esiga magari orari di lavoro troppo lunghi, è guardata con sospetto. Non voglio dire che il lavoro fuori casa non possa essere parte della realizzazione femminile, ma certamente, nella concezione cristiana della donna, esso non lo può essere principalmente. Anzitutto perché il lavoro è anzitutto una maledizione, divenuta, solo secondariamente, una benedizione. In secondo luogo perché tra uomo e donna vi è una grande differenza, che non può essere annullata o ignorata, come avviene in molta cultura occidentale contemporanea. Dire che l’uomo e la donna sono uguali in dignità, perché ugualmente creature di Dio, non esclude affatto che vi siano differenze per quanto riguarda i ruoli, le attitudini, le esigenze proprie dei due generi. Secondo l’attuale teoria del gender non siamo né uomini né donne, ma, gnosticamente, ciò che desideriamo divenire.
Sempre in quest’ottica la famiglia non è più necessariamente l’unione di un uomo e di una donna, e, di conseguenza, un figlio non ha bisogno di due genitori di sesso diverso, ma qualsiasi soluzione fattibile e sperimentabile, è di per sé lecita. Che problema esiste, secondo i sostenitori di questa visione del mondo, se il padre non c’è? Se il figlio viene programmato, con la fiv, già orfano della figura femminile? E analogamente, chi lo ha detto che sia necessaria una donna per la corretta crescita di un bambino (vedi matrimoni gay)? A me sembra che la realtà sia ben diversa: ognuno di noi nasce uomo o donna. Ha cioè una natura maschile o femminile, ben visibile, anzitutto, fisicamente. Il corpo dell’uomo e quello della donna sono diversi: complementari. Questa diversità fisica, data in origine, non sottoposta alla nostra libertà, si accompagna ad una diversità psichica, quella invece in fieri, affidata alla realtà, all’educazione, alle circostanze, eppure anch’essa con una sua sostanza immutabile.
La donna nasce donna e nello stesso tempo deve divenire donna; lo stesso l’uomo. Natura è infatti un participio futuro: nasciamo e continuiamo a nascere… Ecco perché è possibile quello che avviene oggi: una rivoluzione antropologica tale per cui esistono sempre più uomini effeminati, che si truccano, che preferiscono lo shopping al calcio, che mettono lo smalto sulle unghie, e donne che farebbero paura agli scaricatori del porto di Livorno. E’ la nostra “cultura” che lotta con la natura, la perverte, invece di assecondarla e di realizzarla. La differenza tra uomo e donna infatti è originaria, ma va coltivata, aiutata, non ostacolata e violentata. Quanto alla specificità della donna, scriveva Edith Stein: "non solo il corpo è strutturato in modo diverso, non sono differenti solo alcune funzioni fisiologiche particolari, ma tutta la vita del corpo è diversa, il rapporto dell'anima col corpo è differente, e nell'anima stessa è diverso il rapporto dello spirito alla sensibilità, come rapporto delle potenze spirituali tra loro".
Questa differenza a mio modo di vedere si sostanzia in questo: la funzione, il ruolo materno della donna, che è la sua natura più vera, la rende più attenta al particolare, mentre la natura dell’uomo, che è la natura paterna, è più incline all’universale. La madre custodisce, protegge, conforta; il padre taglia il cordone ombelicale, divide, introduce nella società. Scriveva sempre Edith Stein: “Il modo di pensare della donna, e i suoi interessi, sono orientati verso cio' che è vivo e personale e verso l'oggetto considerato come un tutto. Proteggere, custodire e tutelare, nutrire e far crescere: questi sono i suoi intimi bisogni, veramente materni. Cio' che non ha vita, la cosa, la interessa solo in quanto serve al vivente e alla persona, non in se stessa. E a cio' è connessa un'altra caratteristica: l'astrazione, in ogni senso, è contraria alla sua natura. Cio' che è vivo e personale è oggetto delle sue cure, è un tutto concreto, e dev'essere tutelato e sviluppato nella sua completezza; non una parte a danno dell'altra o delle altre: non lo spirito a danno del corpo o viceversa, e neppure una facolta' dell'anima a danno delle altre. (…) A queste disposizioni materne si uniscono quelle proprie della compagna. Saper partecipare alla vita di un altro uomo, cioè sapere prendere parte a tutto cio', grande e piccolo, che lo riguarda alla gioia e al dolore, come al suo lavoro e ai suoi problemi: ecco il dono e la felicita' della donna. L'uomo è tutto preso “dalle sue cose” e si aspetta dagli altri che mostrino per quelle interesse e pronta collaborazione; per lui in genere è difficile mettersi alla dipendenza di altri, dedicarsi alle cose altrui. Cio' invece è naturale per la donna; ella è in grado di penetrare con sentimento e comprensione nell'ambito di quelle realta' che di per sé le sono lontane, e delle quali non si prenderebbe cura, se non fosse l'interesse per una persona che le mette in contatto con esse”.
Cosa significa tutto questo? Semplicemente quello che vediamo ogni giorno: la donna nota il particolare, il calzino sbagliato, il colletto della camicia alzato, la smorfia del bambino diversa dal solito; legge con un solo sguardo ciò che il marito ha in testa, ne capisce con una enorme lucidità i pensieri, i problemi, le domande; ricorda le date, gli anniversari, tutto ciò che ha a che vedere con la vita di tutti i giorni…Sa essere madre sia del figlio che del marito, perché coglie la realtà così come si presenta a lei; si dedica interamente alla realtà, con spirito di servizio, di donazione.
“La donna, scriveva Gustave Thibon, in ‘Vivere in due’, è fatta per sacrificarsi alle persone che la circondano, per assicurare il futuro immediato dell’umanità. L’uomo, al contrario, è destinato a un’attività più universale: la sua missione consiste nel prodigarsi, spesso nello sciuparsi, per scopi altrettanto concreti, ma assai meno prossimi nel tempo e nello spazio. La donna vigila sulle sottostrutture, l’uomo sulle sovrastrutture. Non credo che queste due funzionino ad essere invertite come spesso accade ai nostri giorni”.
Questa attitudine della donna (generalmente intesa, con le dovute eccezioni), questo suo essere fortemente “incarnata”, come incarnato in lei è il figlio che porta nel grembo, la rende per molti aspetti più concreta, più capace di muoversi nella realtà immediata, come diceva Montale, alludendo a sua moglie Mosca nel suo “Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale”. L’attenzione della donna al particolare, così essenziale per la vita nascente e per la famiglia, si vede per converso anche nei suoi difetti: mentre il vizio dell’uomo può essere l’astrattezza, e la superbia, la donna rischia di cadere molto di più nelle piccole invidie e nelle piccole gelosie, legate appunto al particolare.
L’uomo ama la storia e la politica, discute di massimi sistemi, si crede il ct della nazionale, anche quando non fa politica o non sa per nulla giocare a calcio. La donna, di massima, preferisce la letteratura, la poesia, la psicologia, quando hanno a che fare con vicende, pensieri, emozioni concreti, sperimentati e sperimentabili nella quotidianità. Prendiamo un esempio concreto: la donna tragicizza talora il particolare, una lite col vicino, un malore del figlio, mentre l’uomo lo minimizza, alla luce dell’universale, e alleggerisce pesi che la donna farebbe troppo grandi, ma che lui, però, magari neppure noterebbe. Si instaura così un perfetto bilanciamento che evidenzia la complementarietà tra le due creature. La concretezza della donna, legata al suo compito di madre e di moglie, ha una grande funzione: la rende, tutto sommato, ottimista. E’ più difficile che la donna si ponga davanti problemi immensi, astratti, perché preferisce affrontarli e risolverli di volta in volta, ed è più raro, quindi, che ne rimanga schiacciata. E’ l’uomo che, intellettualizzando quello che invece andrebbe vissuto, con slancio di cuore, si rifugia, molto più spesso, statisticamente, nella droga, o nel suicidio. L’ atteggiamento femminile, più umile, più amoroso, più incarnato, la rende anche naturalmente più religiosa. La madre si inginocchia più facilmente del padre; l’amore è più umile dell’autorità. Sono più numerose le donne che pregano, che vanno in Chiesa, che sentono la loro dipendenza, degli uomini. Essi invece cercano le soluzioni più in grande, quelle sociali, politiche: possono essere, per dirne una, grandi inventori di splendide macchine, di grandi trovate, economiche, politiche, ecc., ma possono anche degenerare nell’astrattezza dell’ideologia e dell’utopia. Non è un caso che le ideologie e le utopie di morte, nate dalla sottovalutazione dei “particolari”, dalla astrattezza e dalla superbia, siano frutto di menti maschili, e non femminili. L’insoddisfazione nociva infatti nasce più facilmente in chi cerca di imporsi sulla realtà, piuttosto che in colei che, per sua natura, serve una realtà, la vita nascente, sperimentata fin da principio come dono.
Alla Madonna Dio ha dato il compito di curare e crescere Cristo stesso; a Pietro di guidare la sua Chiesa. All’uomo il compito di guidare la famiglia nelle sue scelte verso la società, verso l’esterno; alla donna il compito di guidare i figli e l’uomo, nelle scelte, fondamentali, della famiglia. Per questo una donna tutta “fuori” è una negazione della femminilità, nociva per la famiglia e quindi per la società intera; esattamente come un uomo tutto “dentro”, non può che creare problemi, dentro e fuori. Primati diversi, dignità diverse, dunque, per una identica dignità, lontano dalle miopi guerre tra i sessi.Parte di questo articolo è uscuito sul Timone di ottobre 2010
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QUEI MEDICI INGLESI AVALLANO LA PEDOFILIA. Più di mille bambine tra gli 11 e i 13 anni hanno ottenuto un anticoncezionale
Nicoletta Tiliacos
BELL’AMORE E SESSUALITÀ. Card. Angelo Scola
Pubblichiamo di seguito il testo integrale della riflessione svolta dal Patriarca di Venezia, il Cardinale Angelo Scola, in occasione dell’edizione 2010 della festa veneziana del Redentore svoltasi tra sabato 17 e domenica 18 luglio. Il tema scelto quest’anno è stato ”Bell’amore e sessualità”.
1. L’immagine biblica del bell’amore
La liturgia della Festa del Santissimo Redentore ci riempie della più grande consolazione, quando afferma: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5). Dio Padre, mediante le sue “due mani” – come Ireneo di Lione chiamava il Figlio e lo Spirito Santo – si prende cura di noi e ci sostiene con la speranza che non delude (Rm 5, 5). Lieti nel Signore possiamo affrontare l’esistenza, nel suo intreccio di affetti lavoro e riposo, come figli e figlie nell’Unigenito Figlio di Dio.
L’esperienza comune ad ogni uomo traccia la via maestra per imparare questa tenera figliolanza. È la via del desiderio in senso pieno, cioè in grado di attingere la realtà, non ridotto a pura mossa interiore al soggetto. Il desiderio, in mille forme diverse, dice ad ogni uomo la necessità di essere amato definitivamente, perfino oltre la morte, e lo urge ad amare definitivamente, a sua volta. Qual è allora il criterio che verifica l’apertura totale del desiderio, consentendo questo definitivo reciproco amore?
Una suggestiva risposta ci viene dalla Bibbia: «Io sono la madre del bell’amore» (Sir 24, 18). Qui all’amore viene accostata la bellezza.
Cosa vuol dire bell’amore? Quando l’amore è bello? Tommaso parla della bellezza come dello “splendore della verità”. Per Bonaventura la persona che “vede Dio nella contemplazione”, cioè che lo ama, è resa tutta bella (pulchrificatur) .
La tradizione cristiana, con le parole del Salmo, definisce Gesù Cristo come «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal45,3). Il bell’amore pertanto non è un’Idea astratta, ma la persona di Gesù, bellezza visibile del Dio invisibile, che per amore si è fatto come uno di noi. Il bell’amoreimprime la sua forma in chi lo accoglie aprendolo a relazioni nuove e partecipate. Questo ci permette di dire che l’amore è bello quando è vero, cioè oggettivo ed effettivo. San Paolo, nel capitolo 5 della Lettera agli Efesini, lo rinviene nell’amore tra Cristo e la Chiesa intrecciato a quello tra il marito e la moglie (cfr Ef 5, 32-33).
2. Una nuova grammatica dell’amore?
Con la dottrina del bell’amore il cristianesimo ha dunque la pretesa di intercettare una delle dinamiche fondamentali della vita dell’uomo. Questo dato, tuttavia, non può ignorare le pesanti prove cui oggi sono sottoposte le relazioni, anche le più intime, come quelle tra uomo e donna, tra marito e moglie, tra genitori e figli. L’amore non è mai stato una realtà a buon mercato, tantomeno lo è oggi. Proprio nelle relazioni amorose si avvertono gli effetti della difficile stagione che stiamo vivendo. È mutata la grammatica degli affetti, anzitutto nel suo elemento determinante che è la differenza sessuale. E dalla sfera privata tale processo sempre più va dilagando nella stessa vita civile.
Tra quanto viene quotidianamente immesso dai codici culturali dominanti e il messaggio cristiano del bell’amoresembra essersi scavato un fossato invalicabile.
Nell’attuale e magmatico contesto culturale si può ancora ragionevolmente credere nella proposta cristiana del bell’amore? Tanto più che molti uomini, pure segnati da secoli di evangelizzazione cristiana – e tra di loro non pochi praticanti -, non comprendono e rigettano gli insegnamenti della Chiesa in materia di amore e sessualità.
Come tacere inoltre, di questi tempi, la bufera che ha investito la Chiesa cattolica per il tragico scandalo della pedofilia perpetrata da chierici e talora coperta per negligenza o ingenuità dal silenzio di autorità ecclesiastiche? Lo scandalo pedofilia, con l’effetto di un detonatore, sembra a molti aver ridotto in frantumi la proposta degli stili di vita sessuale e la visione dell’uomo ad essi sottesa che da secoli la Chiesa persegue. Riguardo al problema specifico della pedofilia mi ha colpito l’osservazione: «La parola spesa in questi mesi da chi opera nel settore, sia esso medico, psichiatra, ricercatore, psicologo, giurista, occupa uno spazio del tutto irrilevante rispetto al fiume di parole emerse in questi mesi da giornali, radio, televisioni, dibattiti… Perché questo silenzio?… È auspicabile che alla denuncia degli scandali, giusta e doverosa, segua anche una riflessione ed un approfondimento della questione, per poterla affrontare in maniera efficace» .
Come pastore non ho una competenza specifica per tentare una qualche risposta circa la natura e le conseguenze di simili inaccettabili abusi. Mi sembra tuttavia che le parole-chiave – “misericordia”, “giustizia in leale collaborazione con le autorità civili”, ed “espiazione” – indicate con addolorata forza da Benedetto XVI nella Lettera ai cristiani di Irlanda, consentano di affrontare ogni singolo caso, dal momento che, come bene è stato detto, anche uno solo è di troppo. Il Papa non si sottrae alla corresponsabilità che ne viene ad ogni membro dell’unico corpo ecclesiale e, in particolare, del collegio episcopale. È uno scandalo che tocca l’intera Chiesa, chiamata ad una profonda penitenza, ad andare alle radici della misericordia, cioè all’incontro personale con il Tu di Cristo. Si tratta di una riforma che non potrà non riguardare tutti i livelli della sua missione.
Anche per queste ragioni sento la necessità di affrontare di petto la domanda circa la credibilità e la convenienza della proposta cristiana in tema di sessualità e di bell’amore.
Come questa radice costitutiva del desiderio dell’uomo può essere da lui concretamente vissuta?
Una sofisticata risposta ci viene dalle neuroscienze. In particolare le neuroscienze dell’etica si sono poste il problema dell’amore nel quadro del loro tentativo di spiegare in termini puramente neuronali il decisivo interrogativo antropologico: cosa significa realmente esistere come esseri pensanti (coscienti)? . Helen Fisher, antropologa americana, considerata tra le esperte del settore, pubblica ormai da diversi anni libri e articoli scientifici, sia specialistici che divulgativi, sul tema dell’amore.
La studiosa, con il suo team di ricerca, ha attribuito un’importanza considerevole al cosiddetto stadio dell’amore romantico (romantic love) . Esso – con l’attrazione sessuale (libido o lust) e con l’attaccamento (attachment) – si ridurrebbe, a detta dell’autrice, ad una delle tre reti primordiali del cervello attraverso le quali si snoda l’intera parabola affettivo-relazionale tra uomo e donna .
Non mi pare azzardato ravvisare in simili posizioni il tentativo di considerare l’uomo come puro esperimento di se stesso, secondo la forte ma emblematica espressione del filosofo della scienza Jongen.
3. Il dato incontrovertibile: l’io-in-relazione
L’alternativa all’uomo come esperimento di se stesso nasce dall’ascolto dell’esperienza umana comune. Essa rivela che l’altro/gli altri non sono una mera aggiunta all’io, ma un dato a lui originario. La personalità di ciascuno è immersa in una trama di relazioni: il dato relazionale è incoercibile.
Fin dal grembo di sua madre ogni uomo, come figlio o come figlia, è situato in una relazione costitutiva. La sua stessa nascita, per quanto potrà essere manipolata in laboratorio, custodisce il mistero dell’alterità: nessun uomo potrà mai auto-generarsi.
La prospettiva antropologica dell’io-in-relazione, accolta in tutta la sua ampiezza, ci porta a considerare in modo adeguato la differenza sessuale . Essa si rivela anzi come il luogo originario che ci introduce al rapporto con la realtà. È la prima ed insostituibile scuola per imparare l’alterità .
Per l’autore del Libro dei Proverbi «La via dell’uomo in una giovane donna» è considerata tra le «cose troppo ardue a comprendersi» (cfr Prov 30, 18-19). A questo proposito un grande biblista commenta: «L’uomo/donna è la via attraverso cui ognuno di noi è inoltrato nel mistero della vita; è ciò che fa passare l’uomo attraverso la figura di colei che sta al suo inizio e che lo fa uscire da sé quando nasce. Questo fa dell’incontro tra i due al tempo stesso un ricominciamento e qualcosa di nuovo» . In altri termini, quando l’uomo e la donna si incontrano fanno l’esperienza da una parte di ricominciare qualcosa che in forza della loro nascita già conoscono, dall’altra di dar vita ad una novità. Questa è possibile quindi perché l’incontro amoroso pone inevitabilmente all’uomo la domanda circa la propria origine. Potremmo esprimerla così: chi sono io che incontrando te incontro me stesso? In quanto situato nella differenza sessuale l’altro da me mi “sposta” (dif-ferenza) in continuazione, impedendomi di rimanere rinchiuso in me stesso. Essere situati nella differenza sessuale si rivela pertanto come un grande dono che, bene inteso, diventa diffusivo di amore e di bellezza. Qui sta l’inestirpabile radice della fecondità. L’amore non è mai un rapporto a due. Infatti la differenza uomo-donna, con questo suo valore originario, trova il suo fondamento nella differenza delle Tre Persone nell’unico Dio. Il bisogno/desiderio dell’altro che a partire dalla differenza sessuale ogni persona, come uomo e come donna, sperimenta non è pertanto il marchio di un handicap, di una mancanza, ma piuttosto l’eco di quella grande avventura di pienezza che vive in Dio Uno e Trino, perché siamo stati creati a Sua immagine.
Cristo Gesù, forma piena del bell’amore trinitario nella storia, spalanca ad ogni uomo e ad ogni donna la possibilità di partecipare a questa esperienza.
4. Assicurare gli affetti
Con la sua morte e resurrezione Gesù Cristo ci ha liberati dalla paura della morte (cfr Eb 2,14-16). Ciò è decisivo per vivere in pienezza gli affetti che si inscrivono primariamente all’interno dell’uomo-donna (differenza sessuale). La paura della morte, infatti, appare spesso la segreta padrona delle relazioni tra l’uomo e la donna, tra i genitori e i figli. Essa è all’origine della smania del “tutto e subito” nei rapporti amorosi che, con la stessa rapidità, si bruciano e si moltiplicano. Ritroviamo questa dinamica nel rapporto tra le generazioni: la decisione di generare o di non generare figli, sovente è determinata dalla paura del carattere contingente dell’esistenza.
L’antidoto contro il veleno di morte che penetra ogni umana relazione è tuttavia già presente nella storia. Sta nella manifestazione della verità dell’amore offertaci dalla morte-resurrezionepro nobis di Cristo. La vittoria dell’Amore sulla morte fa brillare il senso pieno della differenza sessuale: il suo essere destinata al bell’amore che va oltre la morte.
5. La castità: una pratica conveniente
La proposta cristiana circa la sessualità e il bell’amore indica un percorso di vita che conduce a quella soddisfazione e a quella gioia cui il desiderio rettamente inteso spalanca l’uomo. Come educarci concretamente a vivere gli affetti secondo questa integralità ed autenticità? Emerge in proposito una grande parola oggi purtroppo caduta in disuso: castità. Se correttamente intesa, essa si rivela inscritta nella struttura stessa del desiderio come la virtù che regola la vita sessuale rendendola capace di bell’amore.
Casto è l’uomo che sa tenere in ordine il proprio io. Lo libera da un erotismo apertamente rivendicato e vissuto, fin dall’adolescenza, in forme sempre più contrattuali e senza pudore. Certo, l’amore è uno in tutte le sue forme, compreso l’amore ridotto a venere, per usare un’espressione cara a Clive Staples Lewis, il quale definisce così il mero esercizio della sessualità e lo distingue dalla capacità di amare, che implica eros ed agape (Deus caritas est). Ma anche quando si riduce ad un comportamento quasi animalesco, l’amore esprime, in modo del tutto distorto, una domanda di verità.
Nessuno uomo può essere casto se non stabilendo liberamente una gerarchia di valori: «La castità esprime la raggiunta integrazione della sessualità nella persona e conseguentemente l’unità interiore dell’uomo nel suo essere corporeo e spirituale» (CCC 2337). Se noi disaggreghiamo venere, eros ed agape ci condanniamo alla rottura tra la dimensione emotiva e quella del pensiero, di cui la morte del pudore è il sintomo più grave.
A queste condizioni l’esperienza del bell’amore diviene impossibile e il rapporto amoroso è ridotto a una meccanica abilità sessuale, veicolata da una sottocultura delle relazioni umane che si fonda su un grave equivoco: sull’idea, del tutto priva di fondamento, che nell’uomo esista un istinto sessuale. Invece è vero il contrario, come dimostra certa psicanalisi : anche nel nostro inconscio più profondo tutto l’io è in gioco. La castità mette in campo un’esperienza comune a tutti. In ogni ambito della sua esistenza l’uomo sa bene di non poter trovare soddisfazione senza sacrificio. Il sacrificio è una strana necessità, ma è la strada che assicura il godimento. Nella sfera sessuale e nei rapporti amorosi questo è particolarmente evidente. Perché abbiamo definito “strano” il sacrificio? Perché tutti noi avvertiamo una resistenza sana di fronte ad esso. Se siamo fatti per la soddisfazione, perché il sacrificio? Non è forse contrario alla natura della soddisfazione? Il valore ultimo del sacrificio non può quindi risiedere in se stesso, né nel fatto che mi sia imposto dall’esterno, da una qualsiasi autorità. Devo giungere a scoprirne la convenienza, cioè la sua intrinseca ragionevolezza per la piena riuscita della mia umanità. Esso è condizione e non fine.
La croce e la resurrezione di Cristo hanno la forza di mostrare che l’inevitabile sacrificio presente in ogni umana azione ha come scopo positivo il raggiungimento del proprio destino. Il sacrificio spaventa quando non se ne sa il perché. La virtù della castità è una grande scuola al valore misteriosamente positivo del sacrificio. Essa chiede la rinuncia in vista di un possesso più grande. Posso rinunciare se sono certo che questa rinuncia mi fa possedere in pienezza il bene che voglio, come soddisfazione del mio desiderio. Il sacrificio non annulla il possesso, è la condizione che lo potenzia. Il puro piacere non è autentico godimento, tant’è vero che finisce subito. E se resta chiuso in se stesso lentamente annulla il possesso, lo intristisce, lo deprime. A ben vedere l’uomo cerca quel piacere che dura sempre, cioè il gaudium (godimento). Lo aveva ben capito Sant’Ignazio di Loyola. Mi colpisce sempre il fatto che, quando dico queste cose ai giovani, incontro più sorpresa ed interesse che obiezione. Intuiscono che un cammino di castità fin da adolescenti, attraverso la strada di un progressivo dominio di sé che rinuncia a comportamenti immaturi e presuntuosi, apre a una prospettiva di realizzazione nella quale si chiarisce il disegno amoroso di Dio su ciascuno di loro. Sessualità ed amore su queste basi si realizzano compiutamente come possesso nel distacco . In questa luce emergono in tutta la loro pienezza la vocazione alla verginità e al celibato così come quella al matrimonio indissolubile, fedele e fecondo tra l’uomo e la donna.
a) Verginità
La verginità come forma di vita riguarda solo alcuni chiamati alla imitazione letterale della umanità di Cristo, il quale ha vissuto in obbedienza povertà e nella perfetta continenza, e per questo rinunciano alla modalità comune dell’esercizio della sessualità, alla famiglia e alla generazione nella carne. Nella prospettiva del Regno di Dio la verginità anticipa il compimento finale che riguarda tutti gli uomini. Una simile forma di vita non prescinde affatto dal proprio essere situati nella differenza sessuale.
b) Celibato ecclesiastico
Per meglio comprendere questa affermazione conviene guardare in faccia a un’altra delle questioni oggi discusse, quella del celibato. La dedizione a Cristo che il ministero ordinato implica, sul modello del servo sofferente e del buon pastore pronto a spendersi per l’unica pecora perduta, consente ai sacerdoti di vivere il bell’amore.
Chi è chiamato alla verginità e al celibato non è uno che si sottopone a mutilazioni psicologiche e spirituali, ma un uomo che, praticando la castità perfetta, deve pazientemente arrivare all’unità spirituale e corporale del proprio io. La sessualità intesa come differenza non è riducibile alla dimensione genitale, a cui in nome del celibato si rinuncia. Tuttavia nella Chiesa di oggi è necessario uno sforzo educativo in grado di illuminare la scelta del celibato fin nelle sue motivazioni antropologiche. Occorre approfondire un dato lasciato un po’ in ombra. Mi riferisco alla natura nuziale della scelta verginale e celibataria. L’amore, fin dentro la Trinità, possiede sempre una dimensione nuziale, fatta di differenza, di dono di sé e di fecondità. Il celibato quindi non può essere adeguatamente compreso in termini meramente funzionali. Nel celibato il sacerdote non rinuncia al matrimonio e alla famiglia principalmente o solo per aver più tempo da dedicare al proprio lavoro ecclesiastico.
Dal significato profondamente cristologico, escatologico, ecclesiologico ed antropologico del celibato si capisce la ragione della sua profonda convenienza e pertanto della disciplina della Chiesa latina in proposito. Il celibato sacerdotale affonda le sue radici nella stessa chiamata apostolica che chiede letteralmente di “lasciare tutto”. A conferma di questo suo valore originario sta anche tutta la tradizione orientale che per l’episcopato, pienezza del sacramento dell’ordine, ha sempre esigito la scelta del celibato.
c) Indissolubilità del matrimonio
La virtù della castità getta piena luce anche sul carattere indissolubile della relazione coniugale tra l’uomo e la donna nel sacramento del matrimonio. In effetti l’amore per sua natura chiede il “per sempre”, nonostante l’umana fragilità. È nell’indissolubilità del matrimonio che la relazione tra l’uomo e la donna raggiunge la sua vera dignità. L’idea di una revocabilità del dono ferirebbe mortalmente il mistero nuziale e renderebbe inautentica la relazione stessa. Al contrario, l’indissolubilità garantisce la profonda aspirazione dell’uomo e della donna ad un sì irrevocabile. Il “sì” che si esprime nella scelta della verginità e nel celibato si pone così obiettivamente in relazione al “sì” che i coniugi si promettono per sempre nel matrimonio. La fedeltà non è una proprietà accessoria dell’amore. Semplicemente là dove non c’è fedeltà non c’è mai stato propriamente parlando amore. Pertanto i coniugi sono chiamati a vivere nel loro amore fedele, indissolubile e fecondo quanto viene espresso anche nella scelta della verginità e del celibato. Così come i vergini e i celibi incontrano nel matrimonio indissolubile una testimonianza convincente della dimensione nuziale della loro chiamata.
6. Bell’amore e amore casto
Tornando, in conclusione, al tema del bell’amore, siamo ora in grado di identificarlo con l’amore casto, quell’amore che entra in rapporto con le cose e le persone non per la loro immediata apparenza, in sé transitoria, né per il tornaconto che ne può ottenere: infatti «passa la scena di questo mondo» (1Cor 7). Il distacco chiesto nell’amore casto in realtà è un entrare più in profondità nel rapporto con Dio, con gli altri e con se stessi. Neppure l’umana fragilità sessuale rappresenta ultimamente un’obiezione fondata alla castità. Infatti la caduta non viene ad annullare la natura profonda dell’umano desiderio che continua a domandare riconoscimento della differenza sessuale e ad urgere il possesso vero, quello che mai si dà senza distacco. La figura morale compiuta dell’umano non è l’impeccabilità ma la “ripresa”. Essa registra, sempre più col passare degli anni, il dolore per ogni singolo peccato mentre per la grazia del perdono di Dio approfondisce l’amore. Agostino descrive con potenza questa umana condizione: «David ha confessato: “riconosco la mia colpa” (Sal 50, 5). Se io riconosco, tu dunque perdona. Non presumiamo affatto di essere perfetti e che la nostra vita sia senza peccato. Sia data alla nostra condotta quella lode che non dimentichi la necessità del perdono» .