DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Belle, sane e bombardate di ormoni. Ecco le “donatrici” di ovociti

Roma. L’appuntamento era per ieri alle
18.30, Hotel Millennium Gloucester,
nel quartiere londinese di South Kensington.
Le coppie presenti (quasi tutte
over 40 e 50) si sono sorbite un seminario
su quanto è bella e miracolosa la fecondazione
artificiale, ma un’oretta di indottrinamento
si sopporta se in palio c’è una
gravidanza in provetta. E’ la famosa riffa
organizzata da una clinica americana, il
Genetics & Ivf Institute di Fairfax, in Virginia,
in collaborazione con il Bridge
Center di Londra, che ha assegnato a una
coppia un ciclo di fecondazione in vitro
gratis, ovulo compreso, nella libera America.
Non un ovulo qualunque: la clinica
ha un meraviglioso catalogo di donatrici
fra i 19 e i 32 anni, nessuna in sovrappeso,
da scegliere in base al colore degli occhi,
dei capelli (c’è anche il ramato, per i
sofisticati) e della pelle. Con la “ricerca
avanzata” si selezionano anche altezza e
gruppo sanguigno. Sul sito si possono
consultare le foto delle donatrici da bambine,
quelle più recenti soltanto quando
si sarà deciso di proseguire. Serve a concepire
figli il più possibile simili ai futuri
genitori, ma tutti finiranno per scegliere
donatrici-modelle. Tutte molto intelligenti,
assicurano, studentesse o laureate,
madri perfette per una perfetta selezione
della specie. Le “donatrici”, però, non
sono mosse da generosità: per una “donazione”,
a seconda della propria abilità
nel trattare, si ricevono anche 12 mila
dollari.
In Inghilterra, così come per la normativa
europea, la compravendita di ovociti
è vietata. Lì chi regala un ovulo prende
un rimborso di 250 sterline, ma donare
non è una passeggiata: è necessario farsi
bombardare di ormoni (ogni donna fertile
produce naturalmente un ovulo al mese,
troppo poco per andar sul sicuro), assentarsi
dal lavoro, subire un intervento
e poi spesso avere complicazioni. Così le
donazioni scarseggiano e per arrangiarsi
(e aggirare la legge) il Bridge Center ha
deciso di fare un accordo con la clinica
della Virginia e istituire la riffa. In più,
fra le coppie attratte dal premio in provetta,
probabilmente ci saranno futuri
clienti, che sborseranno fino a 13 mila
sterline a tentativo. “Ma che cosa si racconterà
un giorno al bambino che dovesse
scoprire di essere stato vinto a una lotteria?
– dice Josephine Quintavalle del
think tank britannico Core che si occupa
di fertilità – Il prossimo passo sarà il tre
per due al supermercato”. Il direttore
del centro londinese, Mohamed Menabawey,
non ci trova niente di strano. Dice
che “così fanno gli americani”, in fondo
tutti mangiamo McDonald’s come loro.
La joint venture per ora ha avuto dieci
prenotazioni per il pacchetto completo
nei prossimi tre mesi, ma le due cliniche
puntano a venticinque contratti al mese.
Celia, una donna in carriera che vive
nelle Midlands inglesi, a Natale ha ricevuto
due ovuli dall’America. Ora ha due
gemelli. La sua donatrice, ha raccontato
al Sunday Times, ha 27 anni, le assomiglia
molto e i suoi ovociti sono a colpo sicuro:
già quattro bambini per tre gravidanze.
Ma non dirà mai al suo bambino come è
nato. Nemmeno la coppia gay canadese
che ha usato gli ovuli di Heather, una ragazza
di Toronto, parlerà di lei al proprio
figlio, ma vuole assolutamente dargli un
fratello. Heather ha raccontato la sua storia,
esempio perfetto di come si aggira
una legge, al magazine Walrus. Dal 2004
in Canada è proibito vendere ovociti, ma
mancano le linee guida sui rimborsi per
le donatrici. Per quell’ovulo, nel 2003, lei
prese cinquemila dollari dal CReATe
Fertility center di Toronto. Per il fratello
ne ha chiesti settemila: “Prezzo equo”, la
sua compagna di stanza era riuscita ad
arrivare a 15 mila. Anche Ania, sposata
con un uomo sterile, è finita al CReATe
dopo tanto peregrinare. A trovarle una
donatrice è stata un medico che si è trasferita
in Florida dopo il passaggio della
legge canadese in materia. Il passaggio è
semplice: la futura madre paga un’agenzia,
che a sua volta paga la donatrice. Sulla
fattura di Ania la parte di spese per la
donazione era di 2.500 dollari, ma il totale
arrivava a più di 12 mila: il resto erano
spese legali, parcelle dello psicologo, la
camera, un’assicurazione, un regalo di
ringraziamento per la “donatrice”. Per
aver donato i suoi ovuli Heather ha rischiato
di morire per una pericolosa sindrome
da iperstimolazione ovarica e il
secondo tentativo è fallito. Per sua madre,
Bette, a sua volta donatrice in passato,
Heather è stata sottoposta a un “ricatto”
affettivo dai due “padri”, che le hanno
fatto recapitare tramite un’agenzia
specializzata in questo tipo di legami una
lettera strappalacrime. La clinica ha risposto
che Heather aveva fornito il proprio
consenso informato. Quando le hanno
chiesto di provarci ancora una volta
hanno parlato subito di soldi e lei si è offesa,
poi ha chiesto diecimila dollari. La
coppia ha deciso di tagliare fuori l’agenzia
e ne ha offerti tremila, senza intermediari.
Heather si è di nuovo bombardata
di ormoni, fino a quando un medico le ha
ordinato di smettere: donare altri ovuli
l’avrebbe probabilmente uccisa.

Valentina Fizzotti

© Copyright Il Foglio 18 marzo 2010