DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Cattocomunismi. Così è nata la pericolosa commistione tra marxismo ateo e cattolicesimo disincarnato

Si è visto nelle puntate precedenti
come il comunismo abbia
rappresentato nella storia il più compiuto
tentativo di costruire una società senza
Dio, anzi contro di Lui. Con un fallimento
totale. Non si può dimenticare che
proprio il mondo cattolico, che avrebbe
dovuto costituire un argine all’ateismo
comunista, è stato ed è tuttora fortemente
contaminato da tale ideologia. Pigi
Colognesi, nel suo “Russia cristiana” (san
Paolo), ricorda che all’epoca del Concilio
Vaticano II il Pcus è interessato a dare di
sé un’immagine positiva per
“assecondare e consolidare le prime
timide aperture a sinistra che si stanno
manifestando in campo cattolico” dopo la
morte di Pio XII. Di fronte a questa
tattica machiavellica padre Romano
Scalfi, sacerdote trentino e fondatore di
“Russia Cristiana”, comprende bene che
la mentalità marxista sta penetrando
anche all’interno della chiesa e che il
cavallo di Troia è un “ecumenismo
rarefatto e disincarnato” che vorrebbe
persino tacere la verità sulle
persecuzione religiose in Unione
Sovietica per giovare, più che al dialogo
con gli ortodossi, a quello col regime
comunista. La tendenza di questi anni in
certo mondo cattolico diventa quella di
“minimizzare la componente atea del
comunismo sovietico”. Sembra che molti
cattolici si vergognino del fatto che il
cristianesimo non ha eliminato il male
dal mondo, e rimangano ammirati dal
sogno utopico del comunismo, disposti a
perdonargli “qualche incidente di
percorso”. Ma come si realizza la
contaminazione tra comunismo ateo e
cattolicesimo? Avviene che molti
cattolici, presi nel vortice delle soluzioni
mondane, ritengono di poter battezzare il
divorzio tra Dio e l’uomo, tra la sua legge
e la società umana, tra Cristo e la storia.
Sembra che l’idea di una salvezza che
l’uomo si procura da solo sia compatibile
con l’idea, antitetica, di un Salvatore che
viene incontro all’uomo che lo cerca.
Eppure già Dostoevskij aveva capito che i
“demoni” rivoluzionari “pensano di
organizzarsi secondo giustizia, ma avendo
respinto Cristo, finiranno con l’inondare
il mondo di sangue”. L’umanesimo ateo
diventa così il punto di incontro tra cattocomunisti
e comunisti, in nome
dell’uomo, misura di tutte le cose, a cui è
stato tolto, per grazia ricevuta, il peccato
originale. “La dottrina che l’uomo è un
peccatore connaturato – scriveva il
comunista V.I. Prokof’ev – giustifica il
fatto dell’ingiustizia e del male, perché
indica la loro causa non nell’ordinamento
sociale, ma nell’imperfezione della
natura umana”. Così mentre i comunisti
si affannano a spiegare che l’uomo,
naturalmente buono, creerà il paradiso
egualitario sulla terra, molti cristiani,
abbagliati da cotanta promessa,
dimenticano “l’imperfezione della natura
umana”, e il peccato personale, e si
buttano nel tentativo di ribaltare d’un
colpo, se possibile, l’“ordinamento
sociale”, eliminando per sempre il
“mistero d’iniquità”. Lo sguardo si
abbassa da Cristo all’uomo, cadendo
nella maledizione biblica: “maledetto
l’uomo che confida (solo) nell’uomo”.
L’esperienza di Russia Cristiana
Pigi Colognesi ricorda come in mezzo
a tanta confusione i membri di Russia
Cristiana abbiano invece molto chiara
l’idea di Cristo Salvatore. Per questo, in
armonia con i fedeli russi perseguitati,
mantengono viva la liturgia bizantina
slava, mentre, riguardo agli esiti della
riforma liturgica post Concilio, ne
criticano le “traduzioni volgari, i brutti
testi, e in sostanza, la perdita della
sacralità”. Secondo Bruno Negri, per
tanti anni diacono di padre Scalfi “in
occidente ci siamo abituati all’abuso di
chi mette in primo piano innovazioni o
parole proprie, per cui il fedele ha più a
che fare con quello che pensa o dice il
prete, piuttosto che con il mistero che il
prete stesso deve servire. Nella liturgia
bizantina (come nella liturgia latina,
ndr) tutto questo non è possibile: priorità
assoluta va all’oggettività del gesto, delle
parole fissate, dei movimenti sempre
uguali.
Nessuno spazio per le invenzioni
umane, per quelle che Scalfi chiama ‘le
fantasiose intromissioni clericali’”.
Umanesimo ateo, dimenticanza della
natura decaduta dell’uomo,
preponderanza totale conferita alla
dimensione sociale e politica della fede,
insieme alla orizzontalità della nuova
liturgia, rafforzano nel mondo cattolico
l’equivoco catto-comunista, con una
ricaduta immediata sulle priorità
pratiche della vita cristiana. Il cristiano
“contaminato”, infatti, non ha presente
altro che il peccato sociale, l’ingiustizia
del sistema, le “colpe” della società.
Finisce così per cadere nello stesso
astrattismo dei comunisti, cioè di coloro
che, per dirla con Donoso Cortés,
“affermano la solidarietà umana” ma
“negano quella familiare”; predicano il
rispetto per i lontani, ma hanno continuo
bisogno del “nemico”, interno o esterno e
dimenticano il prossimo più prossimo (ad
esempio il figlio nell’ utero materno). A
costoro Cortes chiederebbe: voi che
negate, o dimenticate, un Padre comune,
“da dove arguite che gli uomini sono tra
loro solidali, fratelli, uguali e liberi?”. E
Dostoevskij farebbe aggiungere a uno dei
suoi bolscevichi senza Cristo ante
litteram: “In astratto si può ancora amare
il prossimo e talvolta anche da lontano,
ma da vicino quasi mai”. (4. fine)

Francesco Agnoli

© Copyright Il Foglio 18 marzo 2010