lunedì 29 marzo 2010
La crisi sempre più intensa che sta coinvolgendo il Vaticano per gli scandali degli abusi sessuali su minori rischia di annullare l’importante lavoro fatto da Benedetto XVI in questo campo. A ciò si aggiungono la campagna del New York Times, senza fondamento, e le voci sulle possibili dimissioni del Papa. Queste deliranti speculazioni del sensazionalismo tipico di certi media, con l’effetto accumulato del continuo stillicidio di rivelazioni, potrebbero indebolire il cattolicesimo in Europa, e altrove, per i prossimi decenni.
La gerarchia ecclesiastica in Paesi come la Francia e la Gran Bretagna è pronta a difendere il Pontefice dall’ondata di accuse, centrate su due aspetti: la deliberata azione di copertura e il celibato del clero. Innanzitutto, sia prima e poi dalla sua elezione a Pontefice, Joseph Ratzinger ha fatto molto più dei suoi predecessori per affrontare i casi di pedofilia tra il clero. Come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha esteso i procedimenti di riduzione allo stato laicale dei preti colpevoli e incluso nel codice canonico il reato di abuso di minori. Ha anche dato istruzioni ai vescovi diocesani di cooperare con la polizia, sospendendo le procedure canoniche fino alla fine della inchiesta criminale. Se tutto questo non fosse stato effettuato in maniera adeguata sarebbe di per sé scandaloso, ma il problema sarebbe a livello delle singole diocesi piuttosto che della Santa Sede.
Si prenda il caso sconvolgente del prete americano Lawrence Murphy, citato la settimana scorsa nell’articolo del New York Times, accusato di aver abusato di 200 ragazzi sordi nel Wisconsin. All’inizio degli anni ’70 la polizia fu informata di queste accuse, ma non credette alle accuse delle vittime e non prese alcuna azione contro il sacerdote. La decisione di Ratzinger, vent’anni dopo, di concedere a Murphy di morire prete e non ridotto allo stato laicale fu forse un gesto inappropriato di compassione per un uomo che stava per morire, ma da biasimare sono le autorità diocesane che hanno coperto la vicenda e non hanno allontanato questo prete dal contatto con i minori dopo le prime accuse.
La norma del celibato per il clero è spesso citata come la sorgente di turbe sessuali che possono portare agli abusi di cui si sta discutendo. Se però si guarda ai dati dell’Irlanda, uno dei Paesi con il più alto numero di abusi, le vittime di sacerdoti o laici che lavoravano nelle parrocchie cattoliche si rivelano essere il 5,8 per cento di tutti i casi di violenze sessuali su minori. Vale a dire che la stragrande maggioranza degli abusi è stato compiuto da persone senza obbligo di celibato e con nessun incarico nella Chiesa. Molte delle violenze avvengono in famiglia e coinvolgono spesso i figli adottati. Il maggior controllo dei funzionari preposti e le misure introdotte dall’allora cardinale Ratzinger hanno portato a una situazione in cui il rischio di violenze su minorenni all’interno delle strutture cattoliche è ora più basso rispetto alle altre comunità.
Il celibato come tale non è perciò responsabile dell’omosessualità tra preti, né tantomeno della pedofilia. Secondo molte ricerche (inclusa quella del già domenicano Richard Sipe), la maggioranza dei preti cattolici che hanno confessato di aver avuto rapporti sessuali, li hanno avuti con donne. Certo, vi può essere il rischio che il celibato possa attrarre uomini confusi sulla propria sessualità o che la rifiutano, ma è del tutto fuori luogo affermare che comunità in cui vige il celibato promuovano comportamenti sessuali aggressivi o instillino una cultura dell’omertà come parte di una obbedienza istituzionale. Di per sé il celibato non porta né agli abusi sessuali, né al loro occultamento.
A tutto questo si lega il tema della sessualità nel cattolicesimo. La Chiesa cattolica in generale e Benedetto XVI in particolare sono accusati di non capire la complessità insita nelle relazioni sessuali, ed è per questo che, si argomenta, il Vaticano non riesce a cogliere il legame tra la norma del celibato e la canalizzazione del desiderio in modalità terribili, con la conseguente omertà da parte dei preti compagni di celibato.
Ratzinger è stato sempre uno strenuo difensore del celibato dei preti, ma le sue opinioni sulla sessualità vanno oltre. Da Cardinale ha frenato la pratica di affidare i preti colpevoli di abuso a terapisti, riconoscendo che in molti casi la pedofilia non può essere risolta efficacemente con la sola terapia. Inoltre, ha riaffermato decisamente la differenza tra uomo e donna, un modo decisamente migliore per assicurare una vera uguaglianza e corrette relazioni sessuali rispetto alla cultura corrente centrata sulla scelta individuale e la volontà personale.
Questa posizione ha il suo fondamento ultimo nella Mariologia e nella Cristologia, ma si traduce in idee e comportamenti pratici riconducibili a una cultura alternativa, nella quale il matrimonio e la famiglia sono considerate la celebrazione della differenza tra uomo e donna che dà luogo a una unità che continuamente cresce alimentandosi reciprocamente. Un concezione che si contrappone a quella che vorrebbe la famiglia come un’istituzione che opprime le donne e che è socialmente regressiva.
Il crimine innominabile dell’abuso sessuale di minori richiede anche una forte enfasi sugli aspetti recuperativi della giustizia. La Chiesa cattolica dovrebbe riportare insieme, all’interno delle proprie comunità, violentatori e vittime per aiutarli a ripristinare relazioni corrette, provvedere ai bisogni delle vittime e impedire che vengano compiuti crimini su altri minori.
Il Sussidiario