DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

ELOGIO DELLA SESSUOFOBIA CATTOLICA. Per secoli fu raffinata astuzia dell’ars amandi. Poi venne il sesso in pillole

di Umberto Silva

Lavate voi i piatti, mie buone signore,
non lasciate che le mani
delle vostre serve li tocchino. Voi non
sapete cosa esse veramente fanno
nelle ore libere, persino nelle vostre
dimore”. Tuonava dal pulpito il parroco
di Santa Maria Segreta, arrossivano
le dame milanesi, i mariti chinavano
il capo. Erano parole sregolate
anche per quel tempo di robusto
classismo e, benché appena quindicenne,
forse avrei protestato suscitando
uno scandalo, se un fremito ancora
più forte dello sdegno non mi
avesse travolto. Si gonfiavano i miei
pantaloni mentre la Bruna, una linda
camerierina venuta dal Friuli a dar
man forte alla tata lombarda, birichina
faceva capolino da una nuvola nera
accanto al predicatore, alzandosi
la gonna. Questi erano i miracoli! A
ottant’anni suonati il vecchio demonio
era riuscito a erotizzare ogni angolo
della chiesa e i suoi occhi fiammeggianti
vagavano soddisfatti. Dopo
quella predica tutto quanto, fuori e
dentro casa, prese a brillare di nuova,
conturbante luce: calzoni e calzette,
magliette e mutande, vasca da bagno
e lenzuola… cosa non toccavano le
mani delle cameriere!? Correva l’anno
1958, per poco tempo ancora il cattolicesimo
sarebbe stato quello di
una volta e così i desideri degli umani,
stretti tra Dio e Satana come certi
aderentissimi tailleur che facevano
esplodere i sederi delle sciure.
Legare l’eros al peccato fu fin da
subito la più divina delle invenzioni
cristiane: nessuno sguardo cadde più
nel nulla, ogni gesto era dedicato.
Non ci fu più bisogno di accanirsi in
ostentate nudità, complicate orge,
stravagante oggettistica e torbide droghe;
proibita, qualsiasi cosa si caricò
di eros. Se nell’antichità il mondo era
popolato di dei, col cattolicesimo si
popolò di diavoli tentatori ma anche
tentatrici; l’emancipazione della donna
passò di qui. Una donna capace di
portare l’uomo alla rovina, un onore
ancora più grande dell’essere la madre
di Dio, poiché da diavolessa la
donna entra in diretta e spesso vittoriosa
competizione con il suo Fattore.
Da riposo del guerriero la donna divenne
il perturbante intorno a cui interrogarsi
giorno e notte, vanamente.
Come conoscere quel che neppure ella
sa, la natura della sua jouissance?
perplesso si chiedeva Jacques Lacan.
Ma ben prima, per le mille travolgenti
pagine del “De Civitate Dei” sant’Agostino
cercò d’intendere se le dame
romane stuprate dai barbari avessero
o meno goduto, e se questo costituisse
peccato, e se potevano non godere
e se l’Onnipotente avesse dovuto
intervenire… Il cattolicesimo si tuffava
nella morale sessuale come un
diavolo in una vasca d’acqua santa,
provocando maremoti cui opporre dighe
che rovinavano in modo ancora
più travolgente. Tutto era fino allora
parso chiaro e semplice: c’è un uomo
e c’è una donna, ne consegue che. Dopo
più nulla fu naturale, tutto divenne
contronatura, sublime estenuante
artificio. Non che presso gli antichi
già così non fosse, ma costoro si rifiutavano
di prenderne atto e questo fa
la differenza. Il cristianesimo impose
la coscienza, sicché l’inconscio ebbe
modo di ridersela alla grande.
Al popolo ebraico interessava fare
tanti figli, il modo era secondario; per
la chiesa cattolica divenne primario.
Tutto regolamentò e proibì sennonché,
come già avevano fatto esperienza
Adamo ed Eva, nella proibizione
v’è un invito irresistibile. Il figlio peccherà,
eccome, soltanto che, génie du
christianisme, lo farà con lei, la Madre
chiesa. Il divieto crea la legge, la
legge del desiderio che prospera sulla
mancanza, e a un certo punto tutto
sembrò mancare… e nello stesso momento
essere lì a portata di mano,
una mano che però poteva essere
mozzata da un angelo vendicatore. Il
Signore vegliava giorno e notte sulle
nostre mani, così prensili e serpentiformi
con tutte quelle dita protese,
sicché anche giungendole nella più
mortificata preghiera quel porco del
mio compagno di banco in chiesa riusciva
a accarezzarle una contro l’altra
in maniera tanto lubrica e ammiccante…
I preti se n’erano da tempo
accorti e, previdenti, nei cori secenteschi
avevano proibito ai ragazzi di
tenere la bocca chiusa: le labbra non
dovevano baciarsi l’una con l’altra,
potevano solo desiderarsi al suono
della musica di Bach. Secoli più tardi
il perfido e lussurioso Puccini celebrerà
l’encomio solenne di tutto ciò:
la testosteronica voce del famigerato
Scarpia che urla le sue voglie s’insinuerà
nel coro dei bambini che hanno
intonato il Te Deum. Una bestemmia
che indica con precisione Colui
che è divenuto l’oggetto sessuale preferito
dai libertini più insaziabili e, è
il caso di dirlo, paranoici. Le santerelline,
le lucie e le justine ma anche
Tosca redenta dall’amore, erano la
via per arrivare al Padre, a quel Dio
che Sade si dichiarava ansioso d’incontrare
pour le foutre. D’altronde, a
detta di Jean Paulhan, il Marchese si
considerava un teologo e “divino” lo
chiamò Baudelaire.
Certo è che in alcuni secoli la machine
célibataire ecclesiastica fu una
sontuosa macchina da guerra che non
perse un colpo; ogni orefizio riempì
dei suoi precetti, inaugurando un discorso
sulla sessualità cui Freud e discepoli
cercarono, invano, di dare un
senso, essendo a sua volta quel discorso
sessualissimo, dal momento
che, ricorda san Juan de la Cruz, “male
si dice delle viscere dello spirito se
non con sviscerato spirito”; il misticismo
è la punta di diamante dell’eros
cattolico. La chiesa ha regalato agli
umani la colpa, l’insonnia, gli incubi,
la vergogna e naturalmente i primi a
eccitarsi furono i preti stessi. Non coloro
che trasgredirono, troppo facile,
quanto coloro che eroicamente rispettarono
i precetti: è molto più erotico
resistere alla tentazione, allora sì
il corpo a corpo con Satana diventa
un gran bel sesso. Ricordo certi preti
tormentati dal desiderio di una donna
o di un uomo e che tuttavia resistevano,
li si riconosceva a occhio nudo
per via di certi torcicolli e tratti
sfigurati. Combattevano contro il loro
stesso desiderio, contro se stessi, e
vincersi, atterrarsi, infierire sulla
propria carne era il premio. Li ammiravo,
di più, li temevo, temevo che
un giorno anch’io potessi diventare
come loro, e ripetevo tra me la supplica
di Agostino: “dammi la castità e
la continenza, ma non ora…”.
Le suore furono altrettanto beneficate.
Spingendole nella clausura, la
chiesa invitò i diavoli a nozze. Niente
come le mura, le iaculatorie e le penitenze
invogliano al sesso. La mancanza
fa ben più che la presenza, robetta
l’uomo in carne ed ossa a confronto
della sua visione allucinata
dal desiderio. L’esaltazione della castità,
del matrimonio con Cristo quale
più glorioso status di una donna,
fomentò, per l’insostenibilità stessa
di tale divina unione, l’amplesso col
diavolo. Le suore scoprirono le mortificazioni
che tanto piacciono alla
carne, quegli indemoniamenti che
squassano assai più di un amante in
calore e che Medjugorje oggi cerca di
riportare in auge. Gran vita, gran teatro,
come scoprirono le dame del
Tout Paris, che a Loudun correvano a
frotte. E quel povero Urbain Grandier
che credeva che tutto fosse dedicato
a lui! Nemmeno Tancredi ebbe
questo onore, che spetta solo a
Lui: “Segue egli la vittoria, e la trafitta
/ vergine minacciando incalza e
preme./ Ella, mentre cadea, la voce
afflitta / movendo, disse le parole
estreme;/ parole ch’a lei novo un spirto
ditta,/ spirto di fé, di carità, di speme:/
virtù ch’or Dio le infonde, e se
rubella / in vita fu, la vuole in morte
ancella”. Torquato Tasso, lui sì divino,
tra audacia e angoscia il supremo
cantore dell’eros cattolico. Ma anche
il teatro da camera che andava in
scena nei collegi maschili negli anni
Cinquanta non era uno scherzetto. La
cenerentola delle pratiche erotiche,
la masturbazione, nei beati anni del
castigo saliva diritta al cielo, radunando
attorno a sé occhiuti stormi di
angeli. Un gran bel peccare, che mai
aveva fine. Altro che le futili sveltine,
la sessuofobia ecclesiale si faceva garante
di un preliminare infinito, dove
il teatro dell’innocenza e della colpa
esibiva portentose scenografie, la
confessione in primis. Si vuotasse il
sacco, mai del tutto, un po’ doveva restarne
per la prossima confessione
che avrebbe sanato il sacrilegio della
prima; salvo anch’essa… Le immagini
della lussuria non svanivano
mai, inseguivano fin sull’altare; ricevendo
l’ostia si pensava a… Insomma,
diciamola tutta: la chiesa è riuscita a
conferire grandezza e destino anche
all’atto francamente bislacco d’introdurre
un pene in una vagina. E noi
dovremmo rinunciare a tutto questo
per l’igiene spirituale propugnata da
Vito Mancuso, per la sua anima pulita
e sincera come un uovo pasquale?
Purtroppo sono già cinquant’anni
che il popolo cattolico – fatte alcune
meritevoli eccezioni – ha rinunciato a
tutto questo bendidio. Il Papa ha un
bel richiamare le pecorelle all’osservanza
dei precetti, quelle s’inchinano
ma poi fanno come tutti. Non sanno
cosa perdono. Il pontificato di Papa
Pacelli propiziò gli ultimi tenebrosi
bagliori dell’eros prima dell’avvento
della plastica, quando le anime cominciarono
a essere modellate dai
designer. Peggio per loro. Fino al fatale
1958 il peccato rese gloriosa ogni
cosa: una sbirciata alle gambe di una
ragazza in bicicletta, su su fino al
buio dove qualcosa di bianco pareva
intravvedersi, conduceva difilato nel
regno infero ove da vivi solo gli eroi
omerici avevano avuto accesso. Però,
però, esistevano davvero le candide
fanciulle da insozzare con le nostre
bramosie? Magari! Le birbe uscivano
sì dalle scuole delle suore ma non vedevano
l’ora di dartela, anche nell’androne
del loro palazzo, in piedi.
Le borghesi si scandalizzavano solo
del fatto che tu pensavi di scandalizzarle
e le contessine erano le più
svelte coi preservativi. Eri costretto a
contartela su, a sforzarti di vederle
sante, oppure dovevi cercarle altrove,
tra le proletarie comuniste. Lì trovavi
le ragazze timorate di quel gran dio
onnipotente e misterioso che è… il
Capitale, e che tu, per grazia ricevuta,
rappresentavi. Le vedevi combattere
coraggiosamente le piccole commissarie
del popolo, tormentate dubitavano,
chiedevano consiglio persino al
parroco, finché, tra le lacrime, ti donavano
il corpo e l’anima, che tu ne
facessi quel che volevi nella garçonnière
che spartivi con due rampolli
dalla faccia da schiaffi.
Quando morì Papa Pacelli, nel fatale
9 ottobre del 1958, lo stesso mese
e anno in cui la legge Merlin chiuse i
bordelli, l’archiatra pontificio Riccardo
Galeazzi Lisi, novello Griso,
tradì il suo padrone fotografandolo in
punto di morte e consegnando l’odioso
bottino ai giornali. Fu la prima
pubblica dissacrazione della più sessuale
intimità: l’agonia e morte di un
semidio. Ebbe così inizio l’inesorabile
decadenza dell’eros in occidente. I
figli dei fiori e il libero amore, le comunità
promiscue e fumate, il culto
della perversione, la tivù scollacciata
e la moda burina, hanno propiziato la
catastrofe. Che per eccitarsi, con risultati
deprimenti, si faccia ricorso
alle cassette porno, alla pedofilia e a
tutto il resto, la dice lunga ma anche
brevissima, dice frigidità. Sesso in
pillole, pillole del giorno dopo che
dovrebbero cancellare ogni conseguenza
dell’amore e invece cancellano
solo l’amore e il bambino generando
odio e mostri; droghe che sforzandosi
di potenziare l’eros in realtà
lo anestetizzano, sicché l’urlo interiore:
“chi sta scopando al mio posto!?”.
La parola d’ordine è “non pensare!”,
ma senza pensiero la sessualità langue.
E’ il pensiero di compiere qualcosa
di peccaminoso, di audace, d’irreparabile,
di unico ed eterno, che
conferisce all’atto sessuale una gloria
incancellabile nonostante tutti gli accorgimenti.
Il peccato provoca, interroga,
costringe a pensare, fa sudare,
stringe in una morsa dolorosa; scrollarsi
di dosso il peccato, per molti l’unico
appiglio al simbolico, comporta
svaporare nell’immaginario più
sfrangiato. Un tempo, per farmi fremere
dal desiderio bastava il tram,
quell’11 che sbucava dalla nebbia per
portarmi dal mio amore. E ora? Ora
basta il ricordo di quel tram, basta la
nebbia. La nebbia e i tram possono
molto di più di un esercito di trans e
di trans trans, tanto moderni e rutilanti.
Robetta il sesso quando privo di
quel cattolicesimo che gli dà sapore,
sorride il grande Luis Buñuel. Le trasgressive
che mostrano le loro scintillanti
grazie sulle riviste e in tivù
fanno pena a confronto delle ombrose
bruttine degli anni Cinquanta; assai
più piccante la foto pubblicata su
un numero di “Oggi” del 1965 ove appare
Galeazzi Lisi, bandito a vita dal
Vaticano e dall’Ordine dei medici,
che con la sua nera valigetta esce dalla
modesta casa di una vecchia cui ha
appena punto il sedere.
Quale ingenuità scusare o rimbrottare
la chiesa per una delle sue
maggiori glorie, la sessuofobia, raffinata
astuzia dell’ars amandi! Ci ho
provato in mille modi a metterla in
croce, la chiesa, ma non ce la si fa: patetico
ogni attentato al suo superiore
sapere. Davvero i cardinali non avevano
capito che è la terra a girare attorno
al sole? Massì, massì, avevano
solo il buon gusto di non andarlo a dire
in giro.
P.S. Questo mio umile scritto è un
elogio ma anche un requiem. Pare
che entro una ventina d’anni la chiesa
scomparirà dall’Europa e dovremo
dare il permesso di soggiorno ai missionari
africani se vorremo ancora
sentire qualche messa e inginocchiarci
a un confessionale. Sarà
tutt’altra cosa da quel che un tempo
assaporai. I cattolici africani non conoscono
la sessuofobia, sono spensierati
come l’acqua piovana. Si estinguerà
così la civiltà del peccato della
carne, la più folle e geniale che la storia
abbia – mai abbastanza – conosciuto.

© Copyright Il Foglio 10 marzo 2010