di  Daniele Zappalà 
In origine, le autorità francesi  auspicavano l’eccezione  abortiva. Ma  35 anni dopo l’introduzione  dell’aborto, raccolgono  invece un  frutto imprevisto. Un frutto  sintetizzato da un dato che a  ogni stagione torna in modo sinistro nelle statistiche ufficiali con la  regolarità di un macabro metronomo: oltre 200 mila aborti l’anno,  nonostante tutti gli investimenti pubblici riversati nel tempo in  politiche contraccettive di massa. Ovvero, un aborto per quattro  nascite. Un dato che, comparativamente, è all’incirca doppio rispetto a  quello della vicina Germania.
  
Alungo confinate nel cono d’ombra di  una sorta di  politically correct  alla  francese, certe domande cominciano a emergere nel dibattito  pubblico. Ma cosa c’è dietro il cosiddetto «paradosso abortivo  francese»? Perché, in altri termini, nulla sembra poter far calare quel  dato inquietante proprio nel Paese dove il «diritto alla contraccezione»  è divenuto più che altrove una sorta di stendardo delle politiche  sanitarie? Fino a che punto le autorità hanno rispettato lo spirito  della legge Veil sull’aborto? E quanto ha contribuito al paradosso  francese l’introduzione della pillola abortiva, autentica 'specialità'  industriale nazionale? 
Fra le voci che hanno rotto il ghiaccio, c’è  stata quella  del noto scrittore e  opinionista Eric Zemmour. In un editoriale sulla  radio di massimo ascolto, l’intellettuale ha interpretato in questi  termini quanto è accaduto a partire dal 1975: «All’epoca, la legge Veil  era un testo fondato sull’idea del male minore. L’aborto veniva  tollerato perché si preferiva la protezione della legge ai pericoli  dell’illegalità. Ma secondo una logica molto francese del diritto a  tutto, si è passati dalla tolleranza compassionevole a un diritto  acquisito che si vuole sviluppare sempre di più. Un miscuglio di  tentazione burocratica, di furore egualitarista e di ideologia  femminista che pensa sempre, come Simone de Beauvoir, che la maternità  sia incompatibile con l’emancipazione».
  Zemmour sostiene la tesi  che il paradosso francese sia in realtà alimentato dalle stesse autorità  pubbliche. A supporto di questa tesi, lo scrittore ha citato alcuni  esempi recenti. Come una vasta campagna di manifesti nella regione  parigina centrata sullo slogan «Sessualità, contraccezione, aborto. Un  diritto, una scelta mia, la nostra  libertà». O ancora, l’affermazione del ministro della Sanità, Roselyne  Bachelot, secondo cui l’aborto deve diventare dappertutto «una  componente obbligatoria dell’offerta sanitaria».
  La conclusione  dell’opinionista è che ormai in Francia si parla d’aborto «con l’aria  distaccata che si utilizzerebbe per parlare di operazioni  d’appendicite».
  
In chiave più  scientifica e sulla  base di uno studio  preciso, a sostenere la tesi di un ricorso vieppiù banale all’aborto  nella società francese è stato anche l’Istituto nazionale di studi  demografici (Ined), il  più autorevole organismo pubblico di ricerca. Per i demografi  dell’Ined, a parità di altri fattori «la stabilità dei tassi di Ivg  [interruzione volontaria di gravidanza,  ndr]  sembra proprio tradurre un aumento della propensione a ricorrere  all’aborto in caso di gravidanza non prevista».
  
Dal ricorso come via estrema e  legalizzata per «donne in  stato di  sofferenza», secondo la definizione della legge Veil, si è  passati a una crescente «propensione» che, fuori dal gergo scientifico,  vuol dire banalizzazione. La legge Veil è stata col tempo «sviata» dalle  stesse autorità, secondo un termine utilizzato da Zemmour e da altri  commentatori. Ma i comportamenti collettivi in Paesi democratici come la  Francia non possono certo essere condizionati solo da una corrente di  pensiero divenuta prevalente nelle alte sfere amministrative. Altri  fattori, soprattutto 'dal basso' hanno di certo contribuito al paradosso  abortivo francese. I sospetti convergono sull’introduzione Oltralpe  della pillola abortiva, la Ru486, avvenuta qui prima che altrove data  l’origine francese del prodotto. In pochi anni, l’aborto chimico ha  superato il 30% del totale e questa proporzione pare destinata a  crescere. Negli ultimi anni le autorità hanno infatti allungato la lista  delle strutture in cui sarà possibile ricorrere all’aborto chimico.  Inizialmente limitato agli ospedali, il cerchio si è poi allargato a  una rete sempre più ampia di ambulatori medici convenzionati. Dall’anno  scorso sono stati autorizzati persino i centri per la pianificazione  familiare, strutture la cui esistenza e i cui finanziamenti sono legati  ai risultati annuali. Intanto è stato introdotto un cambiamento senza  troppo clamore: nel libretto informativo dato alle donne indecise se  abortire o meno non compaiono più i dettagli dei sussidi pubblici a  favore della gravidanza e delle giovani madri.
  
Sui siti Internet 'femminili' francesi  crescono le richieste  di aiuto da parte di  donne sole e disorientate di fronte ai drammatici  'imprevisti' dell’aborto chimico. I principali segnali di resistenza  contro l’avanzata di una concezione banalizzata dell’aborto giungono non  a caso proprio dalle donne. Secondo un recente sondaggio pubblicato dal  settimanale cattolico  La Vie ,  il 61% delle francesi ritiene che si pratichino troppi aborti, mentre  l’83% ammette «conseguenze psicologiche difficili da vivere».
© Copyright Avvenire 25 marzo 2010