Un nemico s’aggira intorno a noi e turba e inquieta i nostri sonni: è il prete. Il prete di questi giorni amari per la Chiesa, immersa come non mai nel tempo di Quaresima. Il prete spodestato se non dagli altari, dalla stima e, più ancora, dalla coscienza scossa di chi oggi viene a trovarsi, innaturalmente, dall’altra parte del confessionale. E dalle grate spalancate dei mass-media, come per un contrappasso spietato, non filtra più il silenzio dei colloqui, bensì esplode il clamore di rivelazioni che sconvolgono e danno angoscia. È un fronte che ormai non sembra dare più tregua, preso dalla furia di un cupio dissolvi tanto implacabile quanto impietoso, e per il quale l’attesa della lettera del Papa ai cattolici d’Irlanda si è fatta spasmodica. Al prete, non si fanno sconti. E, paradossalmente, è proprio questo, ora, l’unico punto a favore, poiché ciò che non si accetta, e perciò fa scandalo, è proprio la figura di un sacerdote parametrato alla mediocrità corrente, uomo tra gli uomini, compagno di strada come tanti altri, peccatore tra i peccatori. A un prete così diventa facile voltare le spalle, dal momento che si presenta a difesa sguarnita: che razza di prete può mai essere chi accetta di giocare la sua partita unicamente sul terreno delle vicende umane? Se perde, non si tratta di sconfitta, ma di una rovina: nessun prete cade mai da altezze normali. E anche per questo il baratro, quando si spalanca davanti ai suoi passi, diventa subito più profondo e più cupo. È qui, in questi antri insondabili che è andato a depositarsi il grumo maligno di abusi che, per i preti, sembrano non poter avere altra connotazione che quella riguardante la carne, il sesso. E nelle sue deformazioni più aberranti, come la pedofilia, di fronte alla quale cifre e statistiche più che numeri sono macigni.
Se vale qualcosa, è stato chiarito che su quattrocentomila sacerdoti nel mondo, «solo» per trecento di essi, nel giro degli ultimi nove anni, si può parlare in modo specifico di quest’abominevole reato. Si tratta, pur sempre, di trecento casi di troppo, di trecento tradimenti perpetrati da coscienze annerite, uomini spergiuri di quel solenne e irrevocabile sì alla chiamata di vocazione. Ma questo prete, che pure deborda da cronache che sembrano non raccontare fatti, ma dare conto di un assedio, non riesce a togliere dalla mente e a sradicare dal cuore, l’immagine di un altro se stesso: di quei sacerdoti di cui si è imparato a conoscere, e si è fatto esperienza, di altri «abusi», come quello di una generosità e di una misericordia che hanno dispensato a piene mani - e anche oltre - dovunque è toccato loro di mettere piede. Contrapporre, ora, altre statistiche, mettendo in campo i martiri della fede - 264 dal Duemila, i missionari morti per le persecuzioni al Vangelo - avrebbe solo un misero senso contabile. Non si tratta, infatti, di pareggiare nessun conto al passivo, perché non c'è macchia che non sbiadisca di fronte alla fatica e allo splendore di una «cura d’anime» che, non da oggi, rappresenta la più improba delle imprese e il più arduo tra tutti i mestieri. Non occorre pensare unicamente alle lontane terre di missione, o all’assistenza ai diseredati in ogni parte del mondo; la parrocchia sotto casa è spesso il più impegnativo banco di prova dal quale prendere le misure del prete; e neppure è necessario rifarsi al «diario» di Bernanos per entrare nella vita di un curato di campagna, zelante «contadino» di una fede da preservare, forse da rinvigorire, senza meno da purificare. Preti che dall’altare delle celebrazioni alla sacrestia delle pratiche da sbrigare e poi all’aperto nelle piazze dei loro paesi, seguono lo stesso passo di una vocazione che, da quel primo sì, li ha resi nient’altro e niente di meno che «amministratori dei misteri di Dio». Preti ai quali può bastare, come al curato d'Ars, o a San Pio da Pietrelcina, lo spazio angusto di un confessionale per esplorare il mondo dalla parte delle anime, o che trovano piccolo un continente per esprimere tutta l'ansia di farsi messaggeri del Vangelo. Senza preti così, la nostra storia, anche quella personale, avrebbe molte pagine in bianco, e l'educazione alla vita troppi capitoli vuoti. Egli è, più di tutti, l’uomo per gli altri, perché egli stesso, per prima - come ha detto Benedetto XVI - è l’uomo di un Altro. «Alter Christus» è il suo nome, e anche la sostanza della sua grandezza. Il prete lo abbiamo preso a nostro servizio per la vita, prim’ancora che per la fede. E preservarlo, custodirlo, proteggerlo da questo lato è più affar nostro che loro, più convenienza nostra che loro. Il prete è, in larga misura, un riflesso ampio di noi stessi; è entrato nella nostra vita da molti lati, e non solo dalla parte della fede. Se non è arrivato a mettere mano alla nostra formazione - e tra parrocchia e tutto il vasto indotto di campi scout, o di azione cattolica, di catechismo o di oratorio - appare ben difficile che non ci abbia messo del suo - ha incontrato un po’ tutti al varco di quelle vie sacramentali che fanno della Chiesa, credenti o no, una delle case comuni del nostro cammino, il luogo dove - quantomeno - lacrime e speranze trovano sempre una forma condivisa e solenne. Al prete abbiamo imparato a chiedere molto, senza mai badare al rischio di chiedergli troppo. Proprio come scriveva in un suo famoso «ritratto» Igino Giordani, «i laici esigono dal sacerdote che sia santo; che stia sempre in Chiesa a pregare e stia sempre in strada ad aiutare; che istruisca i piccoli e faccia convenevoli ai grandi; che dia e non chieda; che non si occupi di politica e scagli fulmini contro il partito dirimpetto; che sia colto ma si lasci dire ignorante; che sia povero come San Francesco ma elargisca generosamente i suoi averi come un Rockfeller; che costruisca chiese di un’arte moderna per chi detesta l’antico e antica per chi detesta il moderno; che sia eloquente e non apra bocca: che sia intransigente nell’interpretare il Vangelo ma non esiga cose incomode ai parrocchiani; che sia insomma sacerdote, maestro, artista, tesoriere, consolatore, amico di tutti e nemico dei nostri nemici: fornito di tutte le qualità e di tutte le virtù, inclusa quella di lasciarsi dire ogni sorta di male».
Lo scempio di prete che esce dalle cronache di questi giorni, pur nel suo dramma, non può essere altro che lo specchio rotto di una realtà deformata.
Tratto da: Il Mattino-edizione consultabile online dopo le 14 di ogni giorno su www.ilmattino.it/