DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La pedofilia non è il “crimine assoluto”, la chiesa non ceda a false morali. Besancon e la Lettera del Papa

Parigi. Anche Alain Besançon ha letto
la lettera di Benedetto XVI alla chiesa irlandese,
ma a differenza del Monde o dell’Herald
Tribune, non crede sia un “esercizio
insufficiente” rispetto alla gravità dei
fatti. “C’è un pubblico per il quale non basta
mai niente. Vorrebbero che il Papa si
dimettesse, che i vescovi fossero impiccati:
non sono mai contenti”. Studioso del comunismo
e dell’iconoclastia, Besançon è
uno storico con la spiccata passione per la
teologia. Tra l’altro, ha appena scritto un
saggio sul celibato ecclesiastico, ponendo
il problema, ma non la soluzione. E sulla
pedofilia ha le idee chiare: “E’ diventato
un po’ un business. La chiesa americana
ha già pagato due milioni di dollari per risarcire
le vittime. Il vescovo di Boston si è
dovuto vendere il palazzo. Il fatto è che oggi
la prescrizione sta scomparendo. Eppure,
invenzione del diritto romano, era un
atto di civiltà fondato sull’idea che oltre
un certo lasso di tempo non si può più giudicare
un reato”. In inglese, in effetti, non
c’è nemmeno il termine, e per dire che un
reato cade in prescrizione bisogna usare
una parafrasi (“cease to be valid as a result
of the statute of limitations”). “Scelta
infelice e poco in sintonia col cristianesimo”
osserva lo storico. “Dimenticare è già
un inizio di perdono: e l’oblio come il perdono
è una prerogativa cristiana, del tutto
sconosciuta al mondo ebraico e al mondo
pagano. I cinesi non riescono a capire che
Francia e Germania dopo la Seconda
guerra mondiale si siano riconciliate: ai
loro occhi ciò che ha fatto il Giappone resta
imperdonabile”.
Mancando la prescrizione, argomenta
Besançon, la pedofilia finisce per essere
equiparata a un crimine contro l’umanità,
ed elevata al rango dell’antisemitismo e
del razzismo: “Non nego che sia un reato
grave, ma mi pare assurdo renderlo un crimine
superiore”, dice Besançon. “Un marito
che uccide la moglie oggi viene condannato
a sei anni di prigione, ma esce dopo
tre; un prete accusato di pedofilia ne
deve scontare 16, senza alcuna riduzione
possibile”. La chiesa però oggi si pente
per i preti pedofili, recita con la lettera di
Benedetto XVI un “mea culpa” che nessun
regime secolare si è mai sognato di fare
nei confronti di tragedie storiche come
i totalitarismi, argomentiamo. Concorda,
anche se il parallelo lo trova però non
strettamente pertinente: “La chiesa non è
stata capace di analizzare in profondità il
nazismo” replica Besançon, “e dal 1958 al
1978 ha mantenuto un silenzio colpevole
sul comunismo”. Quanto all’autocritica del
XX secolo, lo storico distingue i nazisti,
“che dall’ultima guerra non hanno fatto altro
che pentirsi”, e i comunisti: “Non uno
che sia stato condannato e giustiziato”.
Ma per tornare al caso presente, è anche
vero, poi, che la sollecitazione sessuale
non è mai stata tanto presente e pregnante
nel corso della storia umana come
oggi: e questo è un argomento che indebolisce
l’autorità del prete e per Besançon
(come ha scritto nel penultimo numero di
“Commentaire”) pare deporre contro lo
stesso celibato ecclesiastico: “Tra adulti
oggi tutto è permesso in fatto di sessualità;
ma se il male si concentra solo sui pedofili,
nel rapporto col bambino, questo impedisce
la filia e la pedagogia, fondata sulla
correzione. Dare una sculacciata è quasi
un crimine contro l’umanità. E tutto il sistema
etico contemporaneo è sconvolto
dalla gerarchia dei tre crimini imprescrittibili:
antisemitismo, razzismo, pedofilia”.
Il fatto è che noi viviamo in un mondo pelagiano,
osserva Besançon: “Da san Paolo
e sant’Agostino, l’uomo è peccatore: tutti
noi, compreso il Papa che non ha saputo
scegliere un buon governo per la chiesa e
resta in balìa del deficit di intelligenza del
clericalesimo, siamo peccatori. E per non
esserlo non bastano i nostri sforzi, come
pretendeva Pelagio: ci vuole la grazia”.
Il Papa però oggi invita tutti al pentimento;
invoca la riconciliazione in nome
della sofferenza patita dal Redentore. “Da
teologo, concede troppo alla morale umanitaria,
e quando scrive ‘i bambini hanno
il diritto di essere educati ai valori morali
autentici, radicati nella dignità della persona
umana, (…) di apprendere i modi di
agire che li conducano a una sana stima di
sé e alla durevole felicità’ cade nel luogo
comune”. Cos’altro avrebbe dovuto scrivere?
“Non so, ma è come se parlasse di stoicismo,
non di virtù critiane. Quali sono i
valori autentici? La morale cristiana non
è diversa da quella di Socrate e Cicerone,
molestare i bambini è sempre un male. Ma
insistere sui diritti e sulla sana stima di sé
lascia perplessi. Meglio parlare di santa
diffidenza di sé, per un cristiano, e insistere
sulla fragilità della condizione umana.
Lasciare che la chiesa venga invasa dalla
morale umanitaria è un errore”. E la morale
sessuale? “Altro errore. La chiesa farebbe
meglio a fermarsi ai principi, senza
entrare sotto le lenzuola dei fedeli”.

Marina Valensise

© Copyright Il Foglio 24 marzo 2010