Roma. Da una parte il “ramo maschile”
della chiesa cattolica degli Stati Uniti. E
cioè i vescovi guidati dal cardinale Francis
George, arcivescovo di Chicago, che inizialmente
si erano espressi contro la riforma
sanitaria di Barack Obama per tre motivi:
non impedisce il finanziamento all’aborto,
non offre un’adeguata protezione all’obiezione
di coscienza e non è abbastanza
inclusiva nei confronti degli immigrati.
Dall’altra parte il “ramo femminile”, ovvero
le suore degli Stati Uniti, più favorevoli
alla riforma perché, come ha detto la
portavoce di Network, suor Simone
Campbell, “noi religiose lavoriamo
ogni giorno accanto a chi soffre
poiché non ha l’assistenza sanitaria,
ne conosciamo bene
i bisogni e sappiamo che migliaia
di persone muoiono
ogni anno negli Stati Uniti
per questa ragione”. Ma le
cose stanno davvero in
questo modo? Davvero
la chiesa cattolica
americana è repubblicana
nel suo ramo
maschile e democratica
in quello femminile
come alcuni
commentatori anche
autorevoli hanno sostenuto?
“Le cose sono un po’ diverse” dice al
Foglio suor Joan McGlinchey, assistente
generale delle cabriniane per la provincia
degli Stati Uniti e, insieme, vicario dell’arcidiocesi
di Chicago per i religiosi e le religiose.
“E’ vero, la chiesa cattolica in merito
alla riforma proposta da Obama esprime
al suo interno punti di vista differenti.
Ma ciò non significa che le suore sono contro
i vescovi come alcuni hanno scritto. Tra
l’altro le cinquantanove religiose responsabili
di ordini femminili che hanno
espresso il proprio appoggio alla riforma,
lo hanno fatto perché hanno ritenuto che
alla fine, grazie a un ordine esecutivo, il
presidente riaffermerà le limitazioni imposte
all’uso di fondi federali per l’aborto.
Certo, adesso occorre aspettare e vedere
se le cose andranno davvero in questo modo
oppure no”.
Nel giorno in cui Obama firma la legge
che estende la copertura sanitaria a 32 milioni
di americani, trenta vescovi appartenenti
al comitato amministrativo della
Conferenza episcopale del paese sono riuniti
a Washington. In tarda mattinata diramano
un comunicato nel quale applaudono
lo sforzo di Obama di estendere la copertura
sanitaria ma, insieme, sottolineano
la necessità che i fondi federali non
vengano impiegati per favorire l’aborto.
Dice suor McGlinchey: “E’ comprensibile
che molte suore americane siano favorevoli
a questa riforma. Tutti i giorni hanno
a che fare con i poveri, lavorano in ospedali
che rischiano di chiudere, sono a contatto
con le tante ingiustizie
del sistema sanitario americano.
E del resto anche i
vescovi hanno lavorato per
modificare il sistema sanitario.
E credo quindi che
anche a loro parte di questa
riforma piaccia. Poi,
certo, su molti punti i cittadini,
e dunque anche i
cattolici, la pensano in
modo diverso. Ma la posizione
dei vescovi mostra
come non sia corretto
continuare a dipingere,
come fanno i giornali, la
situazione della chiesa
statunitense come polarizzata:
da una parte i pro Obama, dall’altra
i contro”.
Già, eppure i 400 ordini femminili americani
sembrano essere fonte di preoccupazione
per il Vaticano. Una visita apostolica
è in corso con lo scopo di valutare la
qualità della vita interna. Sui giornali il
dibattito in merito è aperto da tempo: c’è
chi sostiene che la visita è un gesto di attenzione
del Vaticano verso ordini religiosi
che rischiano di chiudere a causa della
pesante crisi vocazionale. E c’è chi sostiene
che lo scopo sia snidare quegli ordini
dove la “fedeltà al magistero” è andata
scemando nei difficili anni postconciliari.
Dice suor McGlinchey: “Ci sono studi che
dicono che negli Stati Uniti le suore che
hanno più di novant’anni hanno superato
per numero quelle con meno di sessant’anni.
E’ un dato che merita attenzione.
E infatti lo scopo principale della visita
vaticana è pastorale, non investigativo.
Credo che il Vaticano voglia valutare le
difficoltà in cui molti ordini versano e aiutarli.
Perché la chiesa crede ancora nelle
suore e la visita è questo che vuole dire”.
© Copyright Il Foglio 24 marzo 2010