Prepariamoci ad amare sorprese. Nel
2008, comunica l’Istat, abbiamo raggiunto
con 577 mila il punto più alto delle
nascite dal 1995, allorché scendemmo a
quota 526 mila (la metà delle nascite rispetto
al massimo del 1964) e all’indice di
fecondità più basso al mondo: 1,19 figli in
media per donna durante l’intera vita riproduttiva.
Sempre nel 2008 questo indice
è risalito a 1,42: ancora uno dei più bassi,
ancora lontanissimo dalla soglia della pura
sostituzione (due figli in media a donna),
ma non più un indice da “dissolvimento”
tout court della popolazione. Ma
577 mila nascite e 1,42 figli in media per
donna sono valori che potremmo non toccare
per chissà quanti anni a venire. La
popolazione italiana, pur continuando nella
sua crescita quantitativa, dovuta esclusivamente
al saldo del movimento migratorio
con l’estero, è infatti destinata nei
prossimi anni: a fare meno nascite, a vedere
l’indice di fecondità tornare ad abbassarsi,
a diventare ancora più vecchia. E
probabilmente l’Italia sta entrando in una
nuova vera e propria depressione di nascite
e fecondità.
Entriamo nel merito della tanto decantata
(nei giorni scorsi) ripresa della fecondità
nel nostro paese. Niente di più passeggero,
perché è fatta di due componenti,
entrambe in fase calante: le nascite ritardate
e quelle dovute alla popolazione immigrata.
Prima componente: le cosiddette
nascite ritardate, ovvero quelle dovute a
donne di almeno 35 anni che, per fare un
figlio, hanno prima atteso di aver raggiunto
tutte le tappe della vita: studi universitari,
lavoro, matrimonio, casa. Sono aumentate
moltissimo perché erano moltissime
le donne nate tra la seconda metà degli
anni Sessanta e la prima metà degli anni
Settanta che hanno alimentato in questi
anni il fenomeno dei “figli procrastinati”.
Ma trascorsa la metà degli anni Settanta
l’Italia è entrata in un periodo di forte caduta
della natalità, ragione per cui negli
anni che si preparano saranno sempre
meno le donne con almeno 35 anni che entreranno
in scena. Così, nei prossimi venti
anni (perché tanto è durato il calo delle
nascite) le donne con almeno 35 anni sono
destinate a una tale contrazione da ridimensionare
in modo significativo anche il
numero dei “figli procrastinati”.
Non va poi meglio alla seconda componente
della ripresa della fecondità in Italia,
ovvero alle nascite dovute alla popolazione
immigrata, che nel 2008 sono arrivate
a rappresentare quasi il 17 per cento
delle nascite. Certo, siccome il saldo del
movimento migratorio con l’estero sarà
positivo di trecentomila persone o giù di lì
ancora per qualche anno, la popolazione
immigrata continuerà per un po’ a dar luogo
a un numero ancora crescente di nascite,
che rappresenteranno a loro volta quote
via via maggiori delle nascite in Italia
nei prossimi anni. Ma intanto, e per prima
cosa, il movimento migratorio annuo in entrata
è destinato a contrarsi – e, anzi, sta
già riducendosi – e, seconda e ancora più
importante cosa, la popolazione immigrata
sta progressivamente acquisendo ritmi
di nascite che si allontanano da quelli dei
paesi di origine per avvicinarsi ai nostri. E
infatti il numero medio dei figli a donna
immigrata, che superava quota 2,5 appena
qualche anno fa, è sceso a 2,3 nel 2008 ed è
destinato a scendere ancora.
Insomma, stante le condizioni attuali,
non sembra esserci scampo. Del resto, basta
leggere nei dati della cosiddetta “ripresa”
per rendersi conto della sua fragilità.
Tra il 1995, anno della massima depressione
delle nascite e della fecondità,
e il 2008, ultimo anno per il quale sono disponibili
dati definitivi, l’età media delle
donne italiane alla nascita del figlio si è
innalzata di quasi due anni, passando da
meno di 30 a quasi 32 anni: una età da record.
In tutte le regioni del centro-nord i
nati da donne ultraquarantenni sono molti
di più dei nati da donne con non più di
25 anni. La fecondità fino a trent’anni della
donna continua a ridursi senza tregua.
Il sud, una volta vera e propria colonna
della demografia italiana, ha un tasso di
fecondità più basso della media nazionale
(1,35 contro 1,42): anche per il minore apporto
degli immigrati, indubbiamente, ma
non meno per il propagarsi a quest’area
del modello del figlio unico tra le coppie
italiane. I risultati di tutto questo stanno
già cominciando a profilarsi. Primi dieci
mesi del 2009: meno 9 mila nascite rispetto
ai primi dieci mesi del 2008. A fine anno
la perdita sarà di oltre 11 mila nascite.
Potrebbe non essere che l’inizio. Le premesse
e le condizioni per un nuovo scivolamento
di proporzioni rimarchevoli della
fecondità per un verso e della famiglia per
l’altro ci sono tutte. A meno che la politica
non si decida a metterci finalmente una
mano. Meglio sarebbe entrambe.
Roberto Volpi
© Copyright Il Foglio 26 marzo 2010