DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La strage delle bambine. Il settimanale denuncia il “Gendercide”. “MISSING GIRLS”, ARRIVA L’ONU

Uccise, abortite o lasciate morire, si
calcola che almeno 100 milioni di
bambine siano scomparse”. Leggete
l’Economist in edicola oggi. La copertina
è nera, il titolo di un
bel rosa, come le scarpine
da bambina col fiocco:
“Gendercide”. L’Economist
non è un bollettino
umanitario, per cultura
sta sempre attaccato ai
numeri, alla ratio stringente
dei fatti: “Il normale
rapporto numerico tra
i sessi è calcolato in 103-
106 nati maschi ogni 100
femmine, ma in Cina e
nel nord dell’India questo
rapporto è superiore
a 120 maschi ogni 100 femmine”. Una
stortura “biologicamente impossibile
senza un intervento umano”, le cui radici
culturali e tecno-mediche sono individuate
con chiarezza: “Una maligna
combinazione di atavico pregiudizio,
moderna preferenza per le piccole
famiglie e tecnologia a ultrasuoni”.
Le conseguenze di un simile obbrobrio,
scrive il settimanale, sono catastrofiche:
“Fra dieci anni un maschio
su cinque non riuscirà a trovare moglie.
Uno scenario senza precedenti in
un paese in pace”. Che
un giornale leader nell’opinione
pubblica occidentale
si sia accorto
dell’enormità, mentre
“in pochi si rendono conto
di quanto grave sia il
problema”, pone una
questione culturale, prima
che etica, alla nostra
civiltà globale. I lettori
del Foglio conoscono bene
questo tragico scandalo.
Se l’opinione pubblica
italiana ne è informata,
è quasi unicamente per il nostro
piccolo tentativo di bucare il muro
dell’indifferentismo morale e della
lingua di legno dell’ideologia abortista.
Ora a bucarlo è un settimanale
che ha il merito di chiamare la realtà
con il suo nome, senza falsa coscienza:
“Gendercide”, il genocidio abortista
delle bambine.

Giuliano Ferrara


Grande inchiesta dell’Economist sulla “guerra globale” contro il sesso femminile tramite l’aborto selettivo di massa. Ne mancano all’appello cento milioni. Un “genocidio di genere” con conseguenze devastanti

La distruzione selettiva delle bambine è globale”. L’Economist lancia un paio di scarpette rosa in copertina sotto il titolo “Gendercide”. E la domanda agghiacciante: “Cosa è successo a cento milioni di bambine?”. E’ il genocidio di genere. “La guerra globale contro le bambine”. Un tema sollevato più volte anche da questo giornale, quello delle “missing girls”, le bambine asiatiche scomparse a causa dell’aborto selettivo. Cento milioni secondo l’Economist, forse di più, stando a molti rapporti internazionali. La quarta Conferenza asiatica sui diritti riproduttivi aveva parlato di “163 milioni di bambine mancanti in Asia”. Sette anni fa un altro giornale dell’establishment anglosassone, il Financial Times, aveva posto la stessa domanda: “Dove sono andate a finire tutte le ragazze?”. L’Economist fornisce la risposta con quest’inchiesta impressionante. In Cina e nell’India del nord, per ogni 120 maschi nascono 100 femmine. La media mondiale è di 103-106 maschi ogni 100 femmine. In molti stati, siamo a 130 maschi contro 100 femmine.

Si sta riscrivendo la saga dell’evoluzione per mezzo dell’aborto, facendo venire meno una delle grandi costanti biologiche della specie umana. La superiorità delle femmine sui maschi. E’ un divario unico al mondo e senza precedenti nella storia. Il famoso dissidente dei laogai cinesi, Harry Wu, l’ha chiamata in un bel libro “La strage di innocenti”. In Cina un’ideologia mostruosa i figli li vuole unici, maschi e sani. Tramite slogan come “Allevare meno bimbi e più maiali” e “Casa distrutta, vacca confiscata se rifiuti la richiesta di aborto”. In India invece, per aggirare la legge che in teoria proibisce la selezione sessuale medici ed ecografisti indiani fanno con le dita la “V” di vittoria se il figlio è maschio. Sennò, niente, e allora il rimedio è semplice.

L’Economist utilizza l’aggettivo “catastrofico” per indicare la strage delle bambine. Nella sola Cina ci sono uomini senza controparte femminile quanto l’intera popolazione maschile statunitense. Traffico di spose, violenza sessuale, suicidi femminili fanno da contorno a quest’agonia demografica. “Non è una esagerazione chiamarlo genocidio di genere”, scrive l’Economist. “Le donne mancano a milioni – abortite, uccise e lasciate morire”. Nel 1990 fu il guru liberal Amartya Sen, premio Nobel per l’Economia, a lanciare l’allarme sulla New York Review of Books: “Almeno sessanta milioni di bambine sono state cancellate in seguito a infanticidi o aborti selettivi di feti femmine”. Quindici anni dopo Sen ha aggiunto: “E’ l’ultima delle discriminazioni, l’aborto selettivo. Una discriminazione ‘high tech’”.

In Cina negli anni Ottanta il rapporto maschi/femmine era 108 a 100. Negli ultimi anni è salito a 124 a 100. In Cina fino alla ventesima settimana si abortisce in modo assolutamente legale e discrezionale, poi anche con la coercizione. Il professor Theodor Winkler, uno dei massimi esperti mondiali di discriminazione femminile, ha parlato di “una pratica eugenetica non riconosciuta e resa silenziosa. L’intera demografia asiatica entrerà in crisi se non fermeremo il massacro di Eva. In Cina c’è l’aborto forzato, mentre in India, dove pure ufficialmente la legge impedisce la selezione del sesso, si praticano ogni giorno decine di aborti di bambine. Nei fatti, è un aborto eugenetico di massa”.

Molti i paesi demograficamente fuori controllo, e non solo orientali. Come Taiwan e Singapore, gli stati balcanici e quelli ex comunisti dell’Europa orientale. “Il genocidio di genere esiste in ogni continente. Riguarda ricchi e poveri, istruiti e analfabeti, indù, musulmani, confuciani e cristiani”, spiega l’Economist. Non sarà il benessere a fermare la strage. Taiwan e Singapore sono economie ricche. “In Cina e in India le aree con le peggiori statistiche demografiche sono quelle più ricche e istruite”. L’Economist individua tre fattori: “L’antica preferenza per i maschi, un desiderio moderno per famiglie piccole e la tecnologia agli ultrasuoni che identificano il sesso del feto”. L’Accademia cinese delle scienze sociali ha appena spiegato che entro dieci anni, un cinese su cinque non riuscirà a trovare moglie.

Prima degli anni Ottanta, alle bambine indiane veniva riempita la bocca di troppo riso, per soffocarle, oppure finivano ammazzate con grandi dosi di oppio. O anche, semplicemente, gettate via, o lasciate morire di fame. Poi è arrivata l’ecografia. Oggi è possibile fare diagnosi ecografiche persino nei villaggi ancora privi di acqua potabile o di aspirine. “Nel Punjab, Monica Das Gupta della Banca mondiale ha scoperto che le seconde e terze figlie femmine di madri ricche e istruite morivano in misura maggiore entro il quinto giorno dei loro fratelli”, racconta l’Economist. Lo scenario è apocalittico. “Così come nel corso della storia gli eufemismi sono stati usati per mascherare l’assassinio di massa, termini come ‘feticidio femminile’, ‘preferenza maschile’ e ‘selezione sessuale’ sono oggi coperture per omicidi su larga scala”, dice il dottor Puneet Bedi, consulente del governo indiano. Le chiamano “kudi-maar”, omicidii di bambine.

Quando nel Punjab venne introdotta la prima macchina per l’ecografia, nel 1979, c’erano 925 femmine ogni 1.000 maschi. Nel 1991 erano scese a 875 e nel 2001 addirittura a 793. E’ in India che il fenomeno ha acquisito una dimensione in grado di oscurare il futuro stesso del continente e responsabile della scomparsa di un sesto della popolazione mondiale. Lo scorso novembre, un nuovo rapporto di Action Aid, intitolato “Disappearing daughters”, ha fotografato questo fenomeno crescente di selezione eugenetica su base sessuale. Il rapporto ha studiato cinque enormi distretti dell’India: Kangra nel Himachal Pradesh, Morena nel Madhya Pradesh, Dhaulpur nel Rajasthan, Rohtak nel Haryana e Fatehgarh Sahib nel Punjab. Rispetto al censimento del 2001, nei cinque distretti esaminati, il numero delle bambine rispetto ai maschi tra gli zero e i sei anni è ovunque in diminuzione.

L’India è così diventata la nazione al mondo con la percentuale più bassa di donne. E’ stato anche girato un film, “Una nazione senza donne”. Si apre con la sequenza di una bambina appena nata annegata dalla madre in un calderone di latte. Se il numero di cento milioni di bambine mancanti non riuscisse a scuotere abbastanza l’immaginazione, forse ci riuscirà un’altra statistica. Nel 2010, in Asia, una bambina in pancia ha il cinquanta per cento di possibilità di sopravvivere a una ecografia.





Per la prima volta un rapporto
denuncia la strage. Si sono accorti
che ne mancano 96 milioni

Roma. Sono 96 milioni le bambine
“scomparse” in India e Cina a causa dell’aborto
selettivo. Per la prima volta le Nazioni
Unite ammettono ufficialmente che
l’aborto di genere è la principale causa di
squilibrio demografico in Asia. Non era
mai successo che l’Onu, difensore globale
della “libertà riproduttiva” oltre che responsabile
di controverse politiche di pianificazione
familiare, ammettesse la piaga
delle “missing girls”. Le bambine mancanti
perché mai nate. Finora la commissione
sullo Status delle donne, lo storico organismo
delle Nazioni Unite che si occupa
dell’“uguaglianza di genere” e della situazione
femminile nel mondo, aveva sempre
stabilito che l’aborto selettivo delle bambine,
responsabile della sparizione di decine
di milioni di femmine dalle statistiche
demografiche cinesi, indiane e di altri
paesi asiatici, non era cosa da meritare
un’esplicita e inequivocabile condanna.
Per questo è storico il rapporto del programma
dell’Onu per lo sviluppo (Undp)
dedicato alla discriminazione sessuale in
Asia. E’ stato presentato nella capitale indiana
Nuova Delhi, dove ci sono appena
82 femmine ogni 100 maschi, quando la
media mondiale è di 103-106 maschi ogni
100 femmine. Il rapporto “Power, Voice
and Rights”, voluto dal numero uno dell’Undp,
l’ex premier laburista della Nuova
Zelanda Helen Clark, evidenzia come la
strage di bambine in Asia sia in crescita,
nonostante i progressi economici in atto
nella regione. Un rapporto importante,
tanto più che da più parti si accusano le
Nazioni Unite di essere addirittura corresponsabili
delle “missing girls” in Cina, India,
Corea del sud e del nord. Il professor
Steven Mosher, massimo esperto mondiale
del tema, parla di “asse del male dell’aborto:
Nord Corea, Cina e Unfpa (l’agenzia
dell’Onu per la popolazione)”. Un anno fa
proprio il governo italiano si era impegnato
a promuovere, presso le Nazioni Unite,
una “moratoria sull’aborto obbligatorio”
in Asia. Una iniziativa lanciata dal Foglio
due anni fa. “La vecchia mentalità
della preferenza per i figli maschi si è
adesso combinata con la moderna tecnologia
medica”, denuncia il dottor Anuradha
Rajivan, studioso leader del team dei curatori
del rapporto dell’Onu sullo sviluppo
presentato due giorni fa a Nuova Delhi.
“Non è soltanto l’infanticidio femminile a
causare le ‘bambine mancanti’, ma anche
l’aborto selettivo di quelle non nate”. Poi
la denuncia più forte: “Le donne non possono
considerare come scontata la propria
sopravvivenza”. La cifra ufficiale è questa:
“96 milioni di donne in meno e il numero
sta crescendo in termini assoluti”. L’ultima
copertina dell’Economist ha lanciato
proprio il “Gendercide”, il genocidio di genere,
come piaga del XXI secolo da risolvere.
“La distruzione selettiva delle bambine
è globale”, scrive il settimanale inglese.
In Cina e nell’India del nord, per ogni
120 maschi nascono 100 femmine. La media
mondiale è di 103-106 maschi ogni 100
femmine. In molti stati, siamo a 130 maschi
contro 100 femmine. L’Economist utilizza
l’aggettivo “catastrofico” per indicare la
grande strage delle bambine. “Non è una
esagerazione chiamarlo genocidio di genere”,
scrive l’Economist. “Le donne mancano
a milioni – abortite, uccise e lasciate
morire”. E non c’è soltanto il settimanale
britannico. Ieri il quotidiano americano
Christian Science Monitor pubblicava un
articolo dal titolo “Selezione di genere: in
India, l’aborto delle bambine è in aumento”.
Si racconta come nel ricco stato indiano
dell’Haryana, il più prospero del paese,
ci sono appena 861 femmine ogni 1.000 maschi.
Uno squilibrio demografico impossibile
senza intervento umano. Nel Punjab,
regione che traina il terziario indiano, le
femmine sono scese addirittura a 793 ogni
1.000 maschi. Il rapporto dell’agenzia Onu
per lo sviluppo invoca per la prima volta
“misure forti contro la selezione sessuale
per mezzo dell’aborto al fine di bilanciare
il rapporto fra i sessi. Anche se le leggi
contro questo tipo di aborti esistono, manca
la loro effettiva realizzazione”. Serve
quindi un programma globale di “affirmative
action” a favore delle bambine che, in
paesi come India e Cina, hanno soltanto il
cinquanta per cento di possibilità di sopravvivere
a una comunissima ecografia.

L’ombra delle bambine mancanti
si allunga sull’occidente, nelle
comunità di immigrati asiatici

Roma. La strage delle bambine in Asia
raccontata nell’ultimo numero dell’Economist,
e quantificata in almeno cento milioni
di femmine “scomparse” dalle statistiche
demografiche, getta la sua ombra anche
in occidente. E non soltanto, come
scrive lo stesso settimanale inglese, nei
paesi dell’ex Unione sovietica (Armenia,
Arzerbaijan, Georgia) dove l’aborto è stato
promosso per decenni come mezzo contraccettivo
d’elezione e dove ora, in una situazione
di generale calo demografico, nascono
comunque meno femmine (ovvero:
vengono abortite più frequentemente). Di
femmine “scomparse” si parla ormai apertamente
anche per le comunità asiatiche
di immigrati. Negli Stati Uniti, uno studio
sui dati del censimento del 2000 di Douglas
Almond e Lena Edlund, della Columbia
University, pubblicato nel 2008 dall’Accademia
nazionale delle scienze, indica
significativi squilibri nel rapporto tra
nascite maschili e nascite femminili tra
coreani, indiani, cinesi immigrati. Uno
squilibrio che non riguarda il primo figlio,
ma i successivi: nelle famiglie di origine
asiatica (fanno eccezione i giapponesi), se
il primo nato è una femmina, è più probabile
che il secondo sia maschio – il rapporto
diventa di una femmina per 1,17 maschi
— e nel caso in cui ci sia un terzo figlio,
cresce ancora la percentuale di maschi
(1,51 a 1). L’origine di questo squilibrio,
che negli Stati Uniti sembra riflettere in
scala ridotta quello dei grandi numeri dei
paesi asiatici, secondo i demografi nasce
dalla possibilità di mettere al servizio della
tradizionale e radicata preferenza per il
figlio maschio delle culture orientali sia
l’aborto dopo test di gravidanza che sempre
più precocemente indicano il sesso
del nascituro, sia la fecondazione in vitro
con selezione dei gameti.
E in Italia? Qualche tempo fa, sull’onda
delle notizie americane, il quotidiano Avvenire
si era chiesto se anche qui, nelle
comunità di immigrati asiatici, si fosse manifestato
lo stesso tipo di squilibrio nelle
nascite.
L’indagine del quotidiano
della Cei si è concentrata sulle comunità
cinesi, vista la non altrettanto significativa
presenza in Italia di coreani e
indiani, e in particolare sugli immigrati cinesi
a Milano, a Firenze e a Prato.
Sorpresa (ma è davvero una sorpresa?):
le statistiche anagrafiche mostrano ancora
una volta una forte sproporzione, soprattutto
tra i terzogeniti, a favore dei maschi.
Per quanto riguarda il comune di Milano,
per esempio, nel periodo fino a tutto
il dicembre del 2007, tra i residenti cinesi
il rapporto maschi-femmine era 1,12 a 1
per i primogeniti; 1,07 a 1 per i secondogeniti
e 1,51 a 1 per i terzogeniti. Nel comune
di Firenze, per quanto riguarda i terzogeniti,
nello stesso periodo, il rapporto era
di 1,33 maschi contro una femmina. E nel
comune di Prato, al giugno del 2008, per i
terzogeniti della folta e importante comunità
cinese, il rapporto tra maschi e femmine
era di 1,32 a 1.
Questi numeri mostrano, in pratica, che
lo stesso squilibrio rilevabile in Cina nel
numero assoluto di maschi e femmine
(1,20 contro 1, con punte di 1,45 contro 1,
con la differenza che lì secondo e terzogeniti
sono rarissimi, perché vige la politica
del figlio unico obbligatorio, con qualche
eccezione per alcune zone rurali) si trova
replicato, in particolare per i terzogeniti,
nelle comunità cinesi in Italia. Ed è, a sua
volta, molto simile a quello rilevato negli
Stati Uniti (sempre per i secondi e terzi figli)
nelle comunità cinese, coreana e indiana.
Si tratta di uno squilibrio impossibile
da spiegarsi in modo “naturale”. I ricercatori
della Columbia citati all’inizio
hanno scritto che i dati indicano come
“nel segmento di popolazione considerato,
le tecnologie vengono utilizzate per assicurarsi
la nascita di bambini quando i
parti precedenti hanno prodotto figlie
femmine”. Entrano in gioco le ecografie, o
le analisi del sangue che già alla quinta
settimana danno un’indicazione sul sesso
del nascituro. Un arsenale che non era ancora
all’opera quando il precedente censimento
americano, nel 1990, dava un sostanziale
equilibrio tra maschi e femmine
nelle comunità asiatiche immigrate.

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