“Indignazione”. E’ questa la parola che ricorre con impressionante frequenza nel documentario “Il corpo delle donne” che tanta fortuna ha registrato non solo nella rete, ma anche in numerosi dibattiti televisivi. Il video, nato da un’idea di Lorella Zanardo e Marco Malfi Chindemi, ha il merito di svelare, senza indulgere nel voyeurismo e nella denuncia fine a se stessa, l’uso del corpo della donna in televisione. Meglio noto come “velinismo”, è il meccanismo televisivo che ha creato la donna oggetto del piccolo schermo. Questo essere impalpabile che si misura dai centimetri di coscia e dalla misura di reggiseno. Dal labbro a canotto, sino alla deformazione totale del volto in nome di un giovanilismo che rifiuta le rughe, ma in realtà mortifica l’intelligenza e l’anima delle donne.
L’avvio di questo nostro commento è in realtà solo un pretesto per parlare del corpo delle donne, ma in un’ottica completamente diversa. Questo mese scendono in campo solo donne che parlano di donne, con l’ambizione di raccontare “un’altra storia” sul corpo delle donne. Da punti di vista completamente diversi, proprio perché ogni realtà nella quale il femminile si mette in gioco, dalla politica alla famiglia passando per la relazione, la cultura e la comunicazione, ha l’intelligenza e la forza per cambiare lo stato delle cose. E non è vero che tutto sia perduto e che i meccanismi non possano essere rivisitati. Spesso è sufficiente mettere un granello di sabbia anche nel più oliato e perfetto dei marchingegni, culturali e non solo materiali, per costruire un ambiente sociale del tutto nuovo nel quale gli esseri umani possano muoversi con maggiore rispetto per se stessi.
Noi qui ci limitiamo a precisare che il nostro non è un approccio moralistico, ma siamo stanchi di dover subire senza che nessuno ponga riparo alla logica della “donna tangente”. Anche se proprio in queste ore ci tocca fare i conti con gli “uomini tangente”, prostituti offerti in cambio di piaceri inconfessabili a grand commis di Stato, naturalmente uomini e dai gusti eccentrici.
Il che ripropone una riflessione più ampia, tale da indurre tutti noi, donne e uomini, maschi e femmine, a una riflessione antropologica più sincera. Nella quale il rifiuto della mercificazione del corpo in ogni sua forma, anche solo simbolica, dovrebbe divenire uno dei capisaldi di una nuova cultura umana condivisa. Per certi versi è assurdo che all’alba del terzo Millennio noi si debba ancora ripetere l’essenziale che solo ieri avevamo dato per acquisito, ma sembra che gli uomini, i maschi del nostro tempo, non abbiano nessuna voglia di imparare la lezione. Anzi, pretendano di estendere il controllo sugli altri maschi, dal campo politico-funzionale a quello sessuale. Un arretramento culturale e antropologico dei maschi che sinceramente fa paura. E se questa parabola dovesse essere percorsa anche dalle donne nei confronti delle altre donne, allora dovremmo rimettere la lancetta all’ora zero.
Ecco perché riporre la speranza nel genio delle donne, nella loro capacità di scrivere una pagina nuova del femminismo che sappia operare un cortocircuito culturale e sociale, è legittimo e doveroso. Sperare che ancora una volta le donne sappiano salvare il mondo è realistico, non un’illusione ottica.
Domenico Delle Foglie
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